Lo speaker repubblicano Mike Johnson ha finalmente rotto gli indugi riguardo all’approvazione di un disegno di legge sui fondi militari. La procuratrice distrettuale Fani Willis, che indaga sull’ex presidente, dovrà decidere se farsi da parte o licenziare il capo degli inquirenti
La disfunzionalità del Congresso americano è uno dei temi su cui da anni c’è un fervido dibattito. Negli ultimi mesi la Camera è finita sul banco degli imputati per aver rallentato soprattutto il disegno di legge relativo agli aiuti militari a Ucraina, Israele e Taiwan, votato dal Senato circa un mese fa.
Sotto accusa c’è lo speaker Mike Johnson, che i dem additano come eccessivamente fedele a Trump. Dal canto suo, fino a qualche giorno fa, il diretto interessato affermava che c’erano temi «più importanti» di cui discutere, senza specificare quali.
Anche se il riferimento per alcuni era non solo alla discussione relativa al budget, ma anche ai tentativi di messa in stato d’accusa del presidente Joe Biden, prospettiva ormai tramontata dopo che l’audizione del procuratore speciale Robert Hur ha prodotto ben pochi risultati relativamente a eventuali “crimini” commessi dal presidente nel periodo lontano dalla Casa Bianca.
Ed ecco che quindi anche lo speaker Johnson si è deciso a muoversi. A scoprirlo in esclusiva è la testata Politico: ci sarà il voto per gli aiuti e ci sarà il sostegno decisivo dei democratici, ha affermato il leader dei repubblicani alla Camera durante un evento riservato del partito repubblicano nel resort di White Sulphur Springs, località termale del West Virginia.
Del resto, i numeri sono impietosi: con le improvvise dimissioni del deputato Ken Buck, il gruppo congressuale repubblicano è calato a 218 voti su un totale di 435, il minimo per mantenere la maggioranza.
Escamotage
Per evitare rivolte interne dalle file ipertrumpiane del Freedom Caucus, lo speaker avrebbe scelto di far approvare la legge in modalità di «sospensione delle regole»: un binario poco conosciuto che può essere chiesto solo dal vertice dell’assemblea e che prevede, dopo un dibattito di 40 minuti, l’approvazione della legge con una maggioranza qualificata di due terzi, senza possibilità di chiedere emendamenti.
Non ci sarà però quello che chiedono i dem per velocizzare ancora di più l’approvazione dei tanto sospirati aiuti per l’Ucraina: l’abbinamento a uno dei provvedimenti di legge di spese che stanno venendo approvati in questi giorni per continuare a finanziare il governo federale. Nonostante i rischi di una rivolta dell’ala destra repubblicana non siano del tutto spariti, ci sono buone possibilità che la legge passi in fretta.
Del resto, come suggeriscono alcuni retroscena, c’è la possibilità che il Senato tenti di forzare la mano dell’altro ramo del Congresso tenendo in blocco a tempo indefinito il provvedimento riguardante la vendita forzata di TikTok, votata alla Camera con ampio sostegno bipartisan. Qualora gli aiuti a Kiev venissero sbloccati, si potrebbe parlare di TikTok anche alla Camera alta del Campidoglio.
Un gioco di specchi che fuori dal gruppo degli addetti ai lavori sicuramente non contribuisce alla già pessima nomea del Congresso, una delle istituzioni più impopolari agli occhi dell’opinione pubblica americana: la media dei sondaggi raccolti dal sito di analisi politica RealClearPolitics ci dice che oltre il 73 per cento dei cittadini statunitensi disprezza l’operato dell’assemblea legislativa federale.
Contro Netanyahu
Sui media continuano a finirci invece le intemerate di alcuni esponenti, anche di primo piano, come il presidente dei senatori dem Chuck Schumer su Israele, che durante un discorso in seduta ha pesantemente attaccato il governo israeliano, definendo la coalizione di destra «inadeguata ai bisogni» dello stato ebraico e chiedendo a Tel Aviv di cambiare rotta con «nuove elezioni».
Non solo: c’è stato anche un attacco diretto al premier Benjamin Netanyahu, che starebbe rendendo Israele «uno stato paria». Una mossa che stupisce molto, dato il sostegno incrollabile che finora era venuto dal senatore newyorchese allo sforzo militare di Tel Aviv.
Ovviamente c’è stata una levata di scudi da parte israeliana: un comunicato del Likud, il partito di Netanyahu, ha detto che Israele «non è una repubblica delle banane» e voterà a tempo debito, ovvero nella seconda metà del 2026, secondo la scadenza della Knesset, posizione condivisa anche dal leader dell’opposizione israeliana Benny Gantz, recentemente ricevuto a Washington dalla vicepresidente Kamala Harris e dallo stesso Chuck Schumer la scorsa settimana. L’uscita di Schumer non è stata peraltro gradita alla Casa Bianca.
Trump in Georgia
Dalla Georgia è arrivata ieri una notizia in parte sgradita per Trump. Un giudice ha stabilito che la procuratrice distrettuale Fani Willis, che indaga su Trump per aver tentato di manipolare il voto nello stato, può continuare a svolgere il suo ruolo.
La circostanza era contesa perché Willis aveva nominato a capo del team inquirente una persona con cui aveva avuto una relazione. La condizione perché Willis possa continuare è che il suo ex sia rimosso dall’incarico, cosa che permette a lei di continuare nel suo lavoro ma allo stesso tempo dà credito ai legali di Trump, che per due mesi hanno incessantemente denunciato le compromissioni dei magistrati georgiani.
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