A Naypyidaw gli edifici si sono letteralmente accartocciati su se stessi, in molte città l’elettricità e le comunicazioni sono interrotte. La giunta militare decreta lo stato d’emergenza e fa appello agli aiuti internazionali. Nella capitale thailandese è crollato un grattacielo
Il vagone dello Skytrain, la metropolitana aerea di Bangkok, alla fermata di Chong Non si è messo a dondolare come una culla, ma l’unica allarmata ero io. Tutti gli altri passeggeri pacifici, immersi nelle loro chiacchiere o nei loro telefonini. «Qui balla tutto», ho detto mezzo in inglese mezzo a gesti alla ragazza che avevo vicino. «Sì», mi ha sorriso lei, serafica. Non va bene, pensavo io.
Infatti, non andava bene. Mentre io sperimentavo una volta di più che l’Asia è un mondo a parte - dove forse morire è soltanto una possibilità come molte altre - in Myanmar stava succedendo l’inferno. Come se quel disperato paese avesse bisogno di un’altra tragedia. Un terremoto devastante, di cui a Bangkok stavamo avvertendo l’onda.
Conteggio di morte
La prima scossa, di magnitudo 7.7, ha colpito a nord ovest della città di Sagaing, secondo lo United Geological Survey a profondità ridotta. Pochi minuti dopo è arrivata quella di magnitudo 6.4, accanendosi sull’area. Nella capitale Naypyidaw gli edifici hanno cominciato ad accartocciarsi; la gente, a fuggire dopo poteva.
La gente ha cominciato a morire. Nel momento in cui scriviamo le vittime confermate sono 144, i feriti 500, molti dei quali in condizioni gravissime, le persone che risultano scomparse oltre 60. Ma sono cifre che invecchiano a ogni secondo che passa. La verità è che si temono «migliaia di morti». Forse centinaia di migliaia.
«Ho paura che stia venendo giù Mandalay», mi ha scritto su WhatsApp l’amico Professore, che in quei minuti era a Phnom Penh, Cambogia. Il Professore è un geologo, di terremoti ne sa, di Sud est asiatico pure, e la Birmania l’ha girata in lungo e largo. Ne conosce la bellezza e la fragilità. «Però state tranquilli voi a Bangkok: non dovreste correre grossi rischi, siete ben lontani dall’epicentro».
L’epicentro era Monywa. Le scosse si sono sentite in tutto il Myanmar centrale e settentrionale e nei paesi vicini, dall’India al Bangladesh alla Thailandia. Sono state avvertite persino nella provincia cinese sud-occidentale dello Yunnan, secondo l'agenzia sismica di Pechino, per la quale la scossa ha misurato una magnitudo di 7.9.
A Napydaw, una città pensata come una distopia in 3D, con autostrade larghe decine di corsie che non riescono a dissipare il senso insopportabile di vuoto della capitale birmana, la terra ha tremato per circa un minuto. Il panico è stato veloce nel propagarsi a tutto il paese.
«Sarà l’ennesima tragedia per loro, e ancora una volta la giunta rifiuterà gli aiuti internazionali», mi dice Max. Francese, lavorava a New York alle Nazioni unite, oggi è in pensione e vive nel mio stesso condominio di Bangkok.
Dopo la scossa i residenti sono tutti scesi giù in strada, si parla e ci si tranquillizza a vicenda, e un po’ ci si spaventa mostrando i video che documentano che anche a Bangkok è crollato un palazzo, alcuni sono stati seriamente danneggiati, altri sono stati fatti evacuare.
Lutto nazionale
Max stavolta si sbaglia, però. La giunta militare al potere in Birmania, di cui è leader Min Aung Hlaing, ha decretato lo stato di emergenza, dichiarato tre giorni di lutto nazionale e fatto appello agli aiuti umanitari internazionali.
Croce Rossa, Nazioni unite e paesi vicini hanno risposto e organizzato i primi soccorsi. India e Thailandia hanno inviato squadre di emergenza e aiuti, l’Asean ha promesso 5 milioni di dollari in fondi di emergenza.
Del resto la situazione del paese lo imponeva: ospedali di Monywa e Mandalay sopraffatti dall’emergenza; grave carenza di medicine, sangue, acqua pulita, rischio incombente di malattie da condutture dell’acqua in pessime condizioni, comunicazioni interrotte nelle zone più remote del paese, mancanza di elettricità in molte città; ponti e strade devastati dal sisma, infrastrutture fatiscenti. La tempesta perfetta.
A Bangkok la situazione è meno grave, per fortuna. Certo, il terremoto ha danneggiato edifici e reso necessario far evacuare alcuni grattacieli per ovvie ragioni di sicurezza, in particolare nelle zone di Sathorn, Silom, Sukhumvit.
Fino a sabato i servizi di metropolitana e Skytrain sono sospesi e il primo ministro, Paetongtarn Shinawatra, ha interrotto una visita ufficiale in corso nell'isola di Phuket per mettere in piedi un’unità di crisi e gestire l’emergenza.
Ma al momento l’evento più grave che ha colpito la capitale della Thailandia è senz’altro stato il crollo di un edificio in costruzione nell’area di Chatuchak (lontano dal centro), l’Office of General Auditor (Revisore dei Conti). Trenta piani crollati sugli operai che ci lavoravano, molti dei quali probabilmente birmani - perché è qui in Thailandia che si rifugiano molti giovani del Myanmar per sfuggire alla situazione catastrofica del loro paese, e spesso restano a lungo a lavorare nell’illegalità e clandestinità.
I morti certi al momento sono 8, ma è facile previsione che questo numero aumenti: al momento del crollo a rimanere intrappolate sarebbero state 81 persone.
Zona disastrata
Bangkok è stata dichiarata zona disastrata, ma gli aeroporti sono operativi, i mall temporaneamente chiusi sono di nuovo in funzione, sia pure con orari ridotti. Gli ospedali, dal BNH al MedPark, avvisano su Line, il servizio di messaggistica diffusissimo nel paese: siamo aperti e lavoriamo, pazienti e personale medico sono al sicuro, la situazione è sotto controllo.
Su TikTok impazzano i video di indovini che assicurano di aver previsto il terremoto.
Intanto i miei vicini continuano a fare capannello, giù in strada. Bangkok è una megalopoli verticale piena di grattacieli vertiginosi, ma nei suoi soi, i vicoli, gli resta annidato un indomito spirito da villaggio. Kate, inglese espatriata qui da anni ormai più thailandese dei thailandesi, si è portata giù da casa un paio di birre, da offrire agli altri e offrirsi.
Ma si è un po’ troppo rilassata e ha appoggiato una bottiglia sul bordo della “casetta degli spiriti” del nostro condominio, dedicata secondo la tradizione thailandese al culto dei defunti, e la guardiana è saltata subito fuori a redarguirla. A dirle senza troppe cerimonie di appoggiarla da qualche altra parte, per non offenderli.
Con gli spiriti, in questo paese, non si scherza mai.
© Riproduzione riservata