Nella due giorni i lavori sono stati sovrastati dallo screzio diplomatico con Macron. La premier punta sull’immigrazione per poter vantare un successo oltre ai fondi per Kiev
Un G7 da raddrizzare. Giorgia Meloni prova a chiudere le trattative spingendo su quelli che vorrebbe fossero i temi per cui si dovrà ricordare il primo summit mondiale a cui ha partecipato un pontefice: immigrazione e rapporti con l’Africa.
La presidente del Consiglio ha bisogno di una nota positiva per concludere il vertice dei grandi del mondo, dopo la querelle intorno all’utilizzo (oppure no) del termine «aborto». Venerdì 14 c’è stata una seconda puntata: a metà mattinata l’agenzia Bloomberg ha anticipato che nella dichiarazione finale era saltato il riferimento alla protezione delle persone Lgbtq+.
Grande sconcerto per quello che appare come uno strascico dello screzio con il presidente francese Emmanuel Macron. Stavolta la smentita è immediata e in effetti, nel documento finale, il riferimento c’è.
Ma palazzo Chigi ha ovviamente bisogno di coprire con qualche successo l’unica notizia che fino a quel momento ha colpito la stampa italiana e quella internazionale: Macron che, un minuto dopo che Meloni ha finito di spiegare ai media che sulle conclusioni del vertice c’è «consenso», dichiara pubblicamente di essere dispiaciuto per l’eliminazione del riferimento esplicito all’interruzione di gravidanza. Seguono sguardi gelidi e freddezza tra i due capi di governo. Solo l’ennesimo capitolo della rivalità tra Roma e Parigi e tra due leader che non hanno mai avuto un buon rapporto? Ieri, forse per chiudere la vicenda, Macron ha comunque assicurato che non c’è alcun problema con Meloni sul tema dell’aborto.
La presenza del papa
Un’occasione può arrivare dalla sessione sull’intelligenza artificiale allargata anche ai paesi invitati nella giornata dedica all’“outreach”.
Meloni, nel discorso introduttivo, ribadisce che il G7 «può affrontare le sfide globali che ci si aprono davanti solo se siamo in grado di cooperare con rispetto e con un approccio da pari». È il momento in cui la premier cala l’asso: papa Francesco viene accolto con calore dai leader presenti.
Javier Milei e il re giordano si lanciano in un abbraccio, il pontefice a sua volta è particolarmente affettuoso nei confronti del presidente brasiliano Lula. Meloni lo ringrazia di nuovo per la sua presenza e, nel suo discorso, Francesco segnala come l’intelligenza artificiale, strumento «affascinante e tremendo», vada governato per evitare che porti l’umanità verso una «cultura dello scarto».
Insomma, nessuna macchina dovrà mai poter decidere su vita e morte degli umani, ma la «sana politica» deve creare le condizioni per cui si possa fare un «buon uso» dell’Ia.
Dopo l’intervento del pontefice al media centre a Bari, qualcuno prova a rilassarsi tra i biliardini e il ping pong griffati con il simbolo del G7 mentre arriva qualche nota dall’Arena della vittoria, dove Renato Zero sta facendo le prove per il concerto della sera (i leader prima della cena hanno ascoltato Andrea Bocelli).
Le conclusioni
A stretto giro però iniziano a filtrare i primi dettagli della bozza delle dichiarazioni finali: il vero successo tangibile del vertice sono i 50 miliardi per l’Ucraina, un «segnale inequivocabile» a Vladimir Putin, che ha già parlato di un «furto» ai danni della Russia.
Un risultato che Meloni ha tentato di intestarsi già nel primo giorno del vertice, ma che era già praticamente deciso ancor prima dell’arrivo dei leader a Borgo Egnazia, tanto che Casa Bianca ed Eliseo non avevano esitato a diffondere la notizia. La Francia, di nuovo. Per il resto, una raccomandazione a Israele di non precedere con l’offensiva di terra a Rafah e una all’Iran di non sostenere la Russia con ulteriori armi per la guerra in Ucraina. E poi, l’auspicio che si mantenga la pace e la stabilità a Taiwan, questione che sta sempre a cuore a Washington.
È il bilaterale con Joe Biden l’altro fiore all’occhiello della due giorni di Meloni: il presidente le copre le spalle esprimendo apprezzamento per il suo sforzo a favore dell’Ucraina. L’obiettivo resta una «pace giusta», con la garanzia di un sostegno che durerà «tutto il tempo necessario» e la rassicurazione reciproca che vengano esplorate tutte le opzioni «per generare ulteriori costi» alla Russia.
Poco importa che Putin abbia già promesso che la decisione di intaccare gli asset congelati «non resterà impunita». La sua proposta di pace è stata definita «hitleriana» da Zelensky, che è il vero beneficiario del vertice: a margine della sessione outreach ha anche avuto modo di ringraziare Francesco per la sua vicinanza e le sue preghiere. Sembrano appartenere al passato gli screzi con un pontefice considerato fin troppo pacifista.
Ma per Meloni il vero traguardo è l’inserimento della sua linea sull’immigrazione nel documento finale. La premier ha proposto un approccio a tre direttrici: una ricerca più sistematica dei trafficanti, si promette maggiore impegno per combattere le cause della migrazione e per ripristinare la legalità nel governo dei flussi migratori. Ad arrivare direttamente nelle dichiarazioni conclusive è stata la coalizione internazionale per la caccia ai trafficanti.
«Attraverso questa iniziativa, promuoveremo una maggiore cooperazione sulle capacità investigative, coinvolgendo le autorità competenti nei paesi di origine, transito e destinazione» si legge nella dichiarazione. Non finisce qui: Meloni riesce a far precipitare nel documento anche l’altro suo progetto del cuore, il Piano Mattei, che ottiene la benedizione dei leader al summit. Si parla di un rapporto con l’Africa caratterizzato da uno «spirito di partnership strategica ed equa»: in quest’ottica, c’è un riferimento all’accoglimento favorevole da parte del summit del piano. Resta il dubbio di cosa resterà più impresso del primo G7 a firma Meloni.
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