Quanto è importante il Vietnam nella politica internazionale? Basta un solo dato per rendersene conto: è l’unico paese ad avere ricevuto nel giro di pochi mesi le visite di Biden, Xi Jinping e Putin.

Artefice di quella che lui stesso aveva definito «diplomazia del bamboo» era Nguyen Phu Trong, segretario generale del Partito comunista del Vietnam, morto il 19 luglio dopo un lungo periodo di malattia. Sotto la sua guida Hanoi ha saputo sfruttare a suo vantaggio le tensioni economiche e geopolitiche fra Stati Uniti e Cina.

Tra Usa e Cina

L’immagine forse più utile è quella di un giocoliere che sa tenere in aria contemporaneamente più palle. Hanoi è uno dei paesi più esposti alle mire di Pechino nel Mare Cinese Meridionale e questo lo ha fatto avvicinare a Washington, senza però farsi imbrigliare in una politica di contenimento della Cina. Ai difficili rapporti fra i governi di Pechino e Hanoi fa d’altra parte da contraltare il rapporto fraterno fra i rispettivi partiti comunisti, accomunati dal timore di un possibile “regime change” orchestrato da potenze ostili.

Per gli Stati Uniti e per l’Unione europea il Vietnam è centrale per le strategie di “deriskingper ridurre la dipendenza dalla Cina in settori importanti come i semiconduttori, le terre rare, i motori elettrici.

Ma la delocalizzazione dalle regioni meridionali della Cina verso il nord del Vietnam fa anche parte di una strategia cinese di affrancamento da produzioni ad alta intensità di lavoro e basso valore aggiunto, concentrandosi su produzioni più redditizie.

Le statistiche sul commercio internazionale di Hanoi mostrano che gli Stati Uniti sono di gran lunga il principale mercato di esportazione, mentre le importazioni sono prevalentemente di origine cinese. Il Vietnam importa dalla Cina macchinari e prodotti intermedi e poi esporta verso gli Stati Uniti (e l’Unione europea) prodotti finiti, con un peso crescente dell’elettronica di consumo.

L’eredità di Nguyen Phu Trong

Il primo mandato di Trong come segretario del Partito, dal 2011 al 2016, fu contrassegnato dalla contrapposizione con il potente primo ministro Nguyen Tan Dung. Con Dung il paese aveva accelerato le riforme economiche in senso liberale e l’integrazione nel sistema regionale di divisione del lavoro attraverso una forte attrazione di investimenti esteri.

Ma si era fortemente diffusa anche la corruzione politica, a cui si dice non fosse estraneo lo stesso primo ministro. Trong, un ideologo considerato incorruttibile, rappresentava invece quei settori che volevano riportare il partito ad una posizione di comando.

Nel congresso del 2016 fu Trong a vincere, ottenendo un secondo mandato, nonostante Dung avesse trovato un certo sostegno verso il progetto di sostituirsi a lui come segretario del partito. Da quel momento Trong ha consolidato il suo potere, facendo della lotta alla corruzione la principale priorità politica adottando lo slogan «fornace ardente».

L’elezione per la terza volta nel 2021, nonostante il vincolo del secondo mandato, i limiti di età e condizioni di salute non buone, è stata vista più come il segno di una difficoltà a raggiungere il consenso sul nome del suo successore che come la volontà di Trong di restare alla guida del partito.

Da quel momento, infatti, lo scontro all’interno del partito non ha fatto che crescere di intensità. La campagna anticorruzione è stata utilizzata dalle diverse fazioni per rimuovere avversari politici facendo vittime eccellenti.

Nel gennaio 2023 è stato costretto alle dimissioni il presidente Nguyen Xuan Phuc, che da primo ministro aveva saputo gestire l’epidemia Covid con grande consenso in patria e grandi riconoscimenti internazionali.

A distanza di poco più di un anno è poi caduto anche il suo successore Vo Van Thuong, questa volta un giovane leader considerato vicino a Trong e suo possibile successore.

A portare alla caduta di Thuong si ritiene sia stato l’intervento dell’allora ministro della Sicurezza pubblica To Lam, che poi ne ha poi preso il posto come nuovo presidente.

Le sfide di To Lam

Alla morte di Nguyen Phu Trong lo stesso To Lam è riuscito a farsi nominare prima reggente e poi, il 3 agosto, segretario generale del partito, cumulando le due posizioni di maggiore potere nel sistema politico vietnamita.

Viste le fratture e gli scontri all’interno del gruppo dirigente è legittimo chiedersi quale direzione prenderà il Vietnam sotto la guida di To Lam. L’ipotesi più probabile è che non cambi molto dal punto di vista della strategia economica e delle relazioni internazionali. I cambiamenti potrebbero invece riguardare la politica interna.

Con l’elezione di To Lam alla guida del partito, tutte le massime cariche politiche sono nelle mani di dirigenti che provengono dai ranghi della polizia. Così come To Lam anche l’attuale primo ministro Pham Minh Chinh è un ex generale della polizia. Mentre si ritiene che i due non facciano parte di una stessa fazione all’interno del partito è evidente che condividano un approccio più autoritario dei loro predecessori.

Fino a tempi recenti il Vietnam si distingueva rispetto alla Cina per una relativa maggiore libertà. Non era consentito organizzare il dissenso, ma c’era una certa libertà di espressione anche in pubblico e sui social media. Persino alcune forme di protesta spontanea – per esempio da parte di contadini a cui erano state espropriate le terre per la costruzione di parchi industriali – o di sciopero nelle fabbriche trovavano ascolto da parte delle autorità locali senza essere represse.

Concentrazione del potere

Negli ultimi due o tre anni il clima si è progressivamente irrigidito. Un’ulteriore stretta si è avvertita nelle ultime settimane, man mano che le condizioni di salute di Trong diventavano più precarie e quindi aumentavano le fibrillazioni all’interno del gruppo dirigente.

È probabile che questo clima di tensione e di sospetto permanga fino all’inizio del 2026, quando si terrà il prossimo congresso del partito. To Lam arriverà a questo congresso come segretario in carica e punterà a farsi rieleggere. Dalla sua ha il controllo delle principali leve del potere anche grazie ad un uso strumentale della campagna anticorruzione.

Non è detto, però, che questa concentrazione del potere non possa provocare dei contraccolpi – cosa di cui si è già iniziato a parlare. Il Vietnam ha una tradizione di direzione politica più collegiale rispetto alla Cina ed è possibile che se Lam se ne dovesse discostare troppo potrebbe trovarsi di fronte ad una reazione da parte del resto della leadership.

Si deve anche sottolineare che all’interno del partito non sono finora emerse linee politiche distinte e che lo scontro è piuttosto fra cordate e fazioni legate alla provenienza geografica e a rapporti personali. Se Lam dovesse produrre troppo scontento anche la sua posizione sarebbe a rischio. Se invece sarà in grado di trovare un accordo con i diversi gruppi potrà consolidare il suo potere con una piena legittimazione al prossimo congresso del Partito.

Dal punto di vista della strategia economica sono improbabili dei cambiamenti di rilievo. Il processo di liberalizzazione economica imposto da Nguyen Tan Dung è proseguito nonostante la sua caduta nel 2016.

A differenza della Cina, la campagna anticorruzione non ha comportato un rallentamento della crescita economica. Nonostante anche Hanoi abbia dovuto fronteggiare grandi scandali, questi non comportavano un rischio economico importante come il dissesto del settore immobiliare cinese.

Né in Vietnam si è assistito a qualcosa di simile allo scontro fra Xi Jinping e il settore high tech. Nell’ultimo anno, tuttavia, man mano che la campagna anticorruzione permeava sempre più la società a tutti i livelli, si è iniziato ad avvertire un certo timore anche nel settore privato.

Il timore cioè di poter essere puniti per pratiche illegali o paralegali che fino a qualche tempo fa erano comuni e tollerate. Il livello di corruzione, infatti, era così dilagante da essersi in qualche misura istituzionalizzato. Oggi, infatti, in modo imprevedibile e discrezionale, questi comportamenti possono essere sanzionati in modo severo.

Dal punto di vista della politica internazionale, invece, non è ragionevole ipotizzare che ci siano delle discontinuità. Per quanto To Lam possa essere visto come più vicino alla Cina per il suo stile nella gestione del potere non è probabile che ciò comporti un cambiamento nelle politiche.

Già nel 2011, quando Trong prese la guida del Partito, si immaginò che la sua leadership potesse portare ad un riavvicinamento alla Cina a scapito delle relazioni con gli Stati Uniti. Eppure, fu proprio Trong, con una visita alla Casa Bianca di Obama nel 2015, a inaugurare più stretti rapporti fra due paesi che solo 40 anni prima si erano combattuti in una guerra durissima.

Lo slogan adottato da Trong – più amici, meno nemici – ha consentito di migliorare le relazioni economiche e strategiche con gli Stati Uniti mentre venivano rinsaldati i rapporti politici con la Cina. A simboleggiare il rapporto anche personale fra i due leader, Trong fu il primo politico straniero a visitare Xi Jinping dopo la sua elezione per la terza volta alla guida del Pcc. Anche da To Lam ci si aspetta a breve una missione a Pechino, ma difficilmente questa metterà in discussione gli ottimi rapporti con Washington e Bruxelles.

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