Alla convention repubblicana di Milwaukee dopo un primo giorno dedicato alla nomina ufficiale di Donald Trump, è arrivato il momento della cosiddetta “unità” voluta dallo stesso ex presidente. Che tradotto vuol dire una parata di ex candidati intenti a elogiarlo, passando oltre le precedenti critiche.

Anzi, rimangiandosele ed elogiando le grandi doti del tycoon. In alcuni casi però ponendosi in continuità con lui, magari per un prossimo futuro. Sappiamo che lo ha fatto il suo ex critico J.D. Vance, trasformandosi da scrittore di memoir “Never Trumper” a scatenato paladino del trumpismo, mutazione che gli ha fruttato prima un posto come senatore dell’Ohio poi la candidatura alla vicepresidenza nel ticket repubblicano dopo soli due anni a Capitol Hill.

I discorsi però hanno coinvolto tutti i suoi ex avversari, alcuni dei quali addirittura provenienti dalle primarie 2016. Ovviamente non c’è l’ex governatore dell’Ohio John Kasich, che ha sostenuto Joe Biden alle presidenziali del 2020, una “colpa” dalla quale non c’è redenzione. Però c’è Ted Cruz che otto anni fa era stato definito da Trump «un dannato competitor» e che alla convention di quell’anno si era rifiutato categoricamente di dargli il suo endorsement.

Poi qualche mese più tardi aveva ritrattato, facendo telefonate per conto del tycoon per scongiurare «il pericolo dell’elezione di Hillary Clinton». Stavolta invece nessun dubbio: offre il suo sostegno totale.

Così come fanno altri due rivali del 2016, il dottor Ben Carson, che già è stato segretario all’urbanistica nella prima amministrazione Trump, e il senatore della Florida Marco Rubio, che è stato fino all’ultimo una scelta potenziale come vicepresidente, nonostante entrambi risiedano nel Sunshine State (e Trump, alla fine, non ha voluto aprire un ulteriore contenzioso legale).

Nonostante questo, Rubio ha elogiato la spinta di Trump “alla grandezza” e la sua leadership, mentre ha avuto buone parore anche per il suo rivale Vance, definito come l’esempio vivente che «anche chi discende da gente semplice può fare cose straordinarie».

I nuovi ex rivali

E passiamo ai rivali di questa tornata: il senatore Tim Scott, che pure lo aveva sfidato alle primarie con un programma conservatore pieno di alti riferimenti a Reagan e Lincoln, ha evocato il Creatore nel suo discorso di lunedì per dire che è stato proprio l’intervento divino a salvare il tycoon e che la sua salvezza è stata un autentico “miracolo”. Perché da questa elezione dipendono «i prossimi quarant’anni».

I sostegni sono piovuti anche da parte di candidati minori come l’imprenditore tech di origine indiana Vivek Ramaswamy e il governatore del North Dakota Doug Burgum, anche lui in lizza per un posto da vicepresidente fino a qualche giorno fa.

Si è concluso con due maggiori rivali: uno, Ron DeSantis, a novembre 2022, veniva definito “DeFuture” sulla copertina del New York Post, quotidiano del gruppo Murdoch e per mesi ha criticato Trump definendolo «disperso in battaglia» per il suo costante rifiuto di partecipare ai dibattiti per le primarie repubblicane, adesso invece dice con chiarezza e sfoggiando un gran sorriso che bisogna rendere «il quarantacinquesimo presidente il quarantasettesimo». Senza mancare di elogiare la sua Florida «dove la libertà regna sovrana» e «il virus woke è morto», mostrandosi quindi come buon esempio di governo anche in ottica 2028.

Infine, è arrivata anche chi non era attesa, l’ex ambasciatrice presso le Nazioni Unite Nikki Haley, perché anche lei, come Cruz nel 2016, inizialmente si era rifiutata di dare l’endorsement a Donald Trump, cosa che invece DeSantis aveva fatto subito dopo essersi ritirato in seguito ai caucus dell’Iowa lo scorso gennaio. Quindi senza endorsement, in teoria, le porte della convention erano sbarrate. Poi è arrivato l’attentato di Butler di sabato 13 luglio e l’invito “unitario” a parlare dal palco.

Haley aveva detto che andava “convinta” della bontà della causa trumpiana, però già lo scorso 22 maggio aveva detto che comunque avrebbe votato per Trump.

Nella serata di martedì ha detto che il tycoon ha il suo «forte endorsement» e che bisogna votarlo «anche se non si concorda con lui al 100%», postilla che ricorda quindi la sua diversità di vedute mostrata nei mesi di campagna per le primarie.

Persino l’ex governatore del New Jersey Chris Christie, che si era candidato con l’esatto scopo di «impedire che Trump tornasse alla Casa Bianca» pur rimanendo fuori dal palco a Milwaukee, ha scritto un commento ottimista sul New York Times dicendo che «Trump ha la possibilità di correggere i peggiori istinti repubblicani» e di «scegliere che nazione si vuole diventare».

Le critiche, quindi, si sono liquefatte e gli ex dissidenti come il senatore dello Utah Mitt Romney non sono invitati, mentre il leader uscente del gruppo al Senato Mitch McConnell è stato fischiato solo per aver detto «il Kentucky sostiene orgogliosamente Donald Trump» durante la conta dei delegati.

Come aveva commentato Trump privatamente a gennaio riguardo ai suoi ex critici dicendo che «alla fine si inginocchiano sempre», alla convention repubblicana piegarsi è d’obbligo, in ossequio al nuovo culto trumpiano che ha sostituito il partito di Lincoln e di Reagan.

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