Questa settimana la giuria si esprimerà sul presunto pagamento di 130mila dollari alla pornostar Stormy Daniels in cambio del silenzio. Una sentenza di colpevolezza totale è improbabile, ma se la giuria converge su accuse minori può fare del caso un formidabile spot
Aggiornamento 31 maggio 2024 – Donald Trump è stato condannato per i pagamenti, considerati illeciti, alla pornostar Stormy Daniels per coprire uno scandalo sessuale durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2016.
Dopo un mese e mezzo di dibattimento, il processo relativo al pagamento di 130mila dollari alla pornostar Stormy Daniels che vede coinvolto l’ex presidente Donald Trump si avvia questa settimana a un verdetto di primo grado che sicuramente avrà delle conseguenze anche sulla corsa alla presidenza degli Stati Uniti.
All’atto pratico però, difficilmente ci saranno conseguenze immediate. Un breve riepilogo: nel caso condotto dal procuratore Alvin Bragg ci sono trentaquattro capi d’imputazione che pendono sulla testa dell’ex inquilino della Casa Bianca e che riguardano non solo il pagamento in denaro fatto a Daniels per coprire una presunta relazione extraconiugale avvenuta nel 2006, ma anche la falsa voce inserita nel bilancio della Trump Organization per coprire l’esborso, l’associazione a delinquere che c’è stata dietro la decisione di procedere con la somma (ampiamente dettagliata nella testimonianza chiave dell’ex consigliere del tycoon Michael Cohen, che nel frattempo si è trasformato nel suo grande accusatore) e persino un coinvolgimento dello staff della campagna elettorale presidenziale del 2016.
Un caso piuttosto intricato che però è giunto a essere discusso prima di altri potenzialmente più dirompenti, come quello relativo al tentativo di ribaltare il risultato delle elezioni del 2020 a livello federale e quelli relativi alle pressioni indebite sul segretario di Stato della Georgia e al furto di interi faldoni di documenti riservati stipati nella residenza di Mar-a-Lago.
I casi estremi
Partiamo dal caso più improbabile: l’assoluzione con formula piena su tutti e trentaquattro i capi d’accusa che per Trump vorrebbe dire l’impossibilità di essere perseguito nuovamente sui reati in questione. Estremamente difficile che avvenga anche secondo le ipotesi più rosee del collegio difensivo. Così come sembra difficile che si arrivi a un pieno verdetto di colpevolezza. In quest’ultimo caso sicuramente l’ex presidente farebbe appello e l’eventuale pena detentiva sarebbe sospesa in attesa del nuovo grado di giudizio che quasi sicuramente inizierebbe dopo novembre.
In quest’ultima possibilità però, i democratici potrebbero usare in campagna elettorale l’argomento che il candidato repubblicano è un condannato. Un epiteto che non scalfirà la base del tycoon ma che potrebbe essere convincente con qualche elettore in bilico.
Le vie intermedie
A questo punto c’è tutto quello che è nel mezzo. Intanto per un verdetto chiaro ci vuole l’unanimità dei dodici giurati che sono stati accuratamente scelti per la loro neutralità politica, anche se potrebbe prevedersi una maggioranza di simpatizzanti per i dem, visto che sono tutti residenti a Manhattan, quartiere newyorchese dove nel 2020 Joe Biden ha raccolto l’86 per cento dei consensi. D’altro canto, la difesa spera di aver convinto i giurati che il testimone chiave Michael Cohen è noto per essere un mentitore seriale e per questo inaffidabile.
C’è quindi la concreta possibilità che finisca tutto con una sentenza di “mistrial”, ovvero un disaccordo che non porta a un minimo comune denominatore ma che nemmeno chiude la porta a futuri processi, che però andrebbe presumibilmente riscritti da capo. Di fatto, una vittoria di Pirro per il tycoon che quantomeno avrebbe la possibilità di star lontano dalle aule del tribunale di Manhattan dove ha dovuto presenziare per oltre quaranta giorni. E più la discussione tra i giurati va per le lunghe, più c’è la possibilità che questo sia l’esito del processo.
C’è un’altra possibilità, paventata dal giudice Juan Merchan alla fine del dibattimento: che la giuria si accordi su una sentenza di colpevolezza minore. Ad esempio: se una parte dei membri crede che Trump abbia falsificato dei documenti per coprire l’esborso per mere ragioni fiscali mentre altri pensano che lo abbia fatto per non essere danneggiato alle elezioni, Trump può comunque venire condannato per aver falsificato dei documenti ufficiali.
Una sentenza di colpevolezza che comunque danneggerebbe il nome del presidente tra gli indipendenti e tra gli indecisi. A quel punto però il tycoon userebbe il verdetto per raccogliere piccole donazioni tra i suoi sostenitori e con esse continuare a pagare le crescenti spese legali per questo e per altri processi che si cerca in tutti i modi di rimandare per i motivi più svariati. Una tattica dilatoria che finora ha evitato al candidato repubblicano grattacapi ben peggiori.
E gli consente di affermare che è in corso una persecuzione giudiziaria nei suoi confronti senza subirne appieno le conseguenze. Musica per le orecchie di chi lo sostiene e che già prima credeva che la giustizia americana fosse in mano a una misteriosa congrega facente parte del presunto “Deep State”. Un’ipotesi che sembra lunare, ma è credibile per la base trumpiana che lo sostiene strenuamente ormai da oltre otto anni e che rimane tuttora l’arma maggiore del tycoon.
Però l’elettorato generale potrebbe non bere questa teoria bislacca e allora potrebbero esserci conseguenze a favore del suo avversario Joe Biden. Gli analisti rimangono con il fiato sospeso fino al potenziale verdetto, che potrebbe arrivare nelle giornate di giovedì o venerdì.
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