Nella visione geopolitica della presidenza imperiale Trump, fatta di minacciose ipotesi di annessione e fantasiose ridenominazioni sovraniste, non poteva mancare Gaza. Contrariamente ad altri mari, artici o continentali, in riva al Mediterraneo non si tratta di prospettare inesistenti domini diretti, bensì di ridefinire nuove convergenze tra alleati: vassalli o meno che siano.

Gli imperi funzionano in questo modo: a suon di pressioni e concessioni, tanto più se di comune interesse. Così, per la Striscia, il neocesarismo di Trump prospetta una soluzione assai gradita a Israele, e in particolare alla destra messianica attivista che, dissenso o meno sulla tregua, continua a sostenere Netanyahu in nome del superiore fine del possesso dell’intera Terra di Israele biblica.

“Ripulire Gaza!” è, dunque, il messaggio della nuova diplomazia della brutalità che promana dall’America trumpiana. Espressione che non significa solo la messa fuori gioco da quel territorio di Hamas – che, peraltro, con la liberazione-show delle soldatesse israeliane esibisce apertamente la sua mancata eradicazione manu militari da parte dell’Idf –, ma dell’intera popolazione palestinese della Striscia. Obiettivo che un Trump volutamente riduzionista quantifica come mero problema organizzativo: in fondo si tratta di trovare alloggi altrove a ”solo un milione e mezzo di persone”.

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La strategia delle macerie

Ipotesi, quella dell’esodo provvisorio destinato a diventare definitivo, che sa tanto di pulizia etnica mascherata. Prospettiva mai scartata sia dalla destra nazionalreligiosa e suprematista di Smotrich e Ben Gvir, che non a caso esultano alle parole del nuovo inquilino della Casa Bianca, sia, in nome della sicurezza, dall’ala dura del Likud.

Come evidenzia la stessa conduzione politica della guerra imposta da Netanyahu, che tante riserve ha sollevato tra gli alti comandi di Tsahal: soffocare Gaza con la strategia delle macerie – scelta insensata in un teatro bellico destinato non solo alla distruzione del dispositivo militare di Hamas ma alla liberazione degli ostaggi, non a caso rivelatasi obiettivo secondario –, presupponeva lo sgombero della popolazione palestinese, da evacuare verso l’Egitto e la Giordania. Opzione stoppata, allora come oggi, dal rifiuto di Al Sisi e di re Abdallah, decisi a evitare che le tensioni israelo-palestinesi si scarichino nei loro paesi.

Trump fa ora propria quell’ipotesi in una prospettiva capace di soddisfare le molteplici aspettative, e interessi, della multiforme galassia che lo appoggia. Uno schieramento composito che comprende, tra gli altri: un ambiente ben radicato a Washington attento alla logica di potenza – persino la tecnodestra ha bisogno di una dimensione terranea in cui situare quel dominio della politica che non può essere esercitato esclusivamente nell’infosfera; uno scalpitante settore legato agli affari che non si lascia esaurire nelle sofisticate vestigia del nuovo capitalismo digitale: una Striscia totalmente da ricostruire suscita molti appetiti e stuzzica persino il Trump già immobiliarista.

Tanto più se, dopo aver “ripulito” il terreno dall’enorme quantità di macerie e dagli irriducibili sfollati palestinesi – dunque, anche dai ruderi dei vecchi falansteri eretti in loco dopo la Nakba del 1948, la catastrofe politica e militare che ha provocato il massiccio esodo di profughi palestinesi nell’area, e dai loro eredi –, che danno volto spettrale al paesaggio dopo la battaglia, l’annunciata catarsi politico-edilizia made in Usa si concretizzasse nel fare di Gaza una nuova Palm Beach: grandi alberghi, resort, vertiginosi edifici residenziali e direzionali, industria dell’intrattenimento.

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Scenario, quello dello spopolamento e delle sue implicazioni annessioniste, che sul versante americano trova appoggio strumentale in non pochi evangelici sostenitori del sionismo cristiano, fenomeno politico e religioso di stampo millenaristico, prodotto di una apocalittica lettura della tradizione biblica che vede nella fondazione di Israele lo scenario destinato a produrre lo scontro decisivo tra Bene e Male.

Scontro che, dopo la preventiva sconfitta dell’islam, avrà come esito finale la conversione finale degli ebrei al cristianesimo.

Disegno, quello di Gaza “ripulita”, che anche l’Anp, sapendo che significherebbe ogni residuo tracollo della già fragile prospettiva dei “due stati”, cercherà di scongiurare.

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