- La Turchia ha dichiarato persona non grata dieci ambasciatori occidentali che avevano firmato un appello per la liberazione del filantropo Osman Kavala, detenuto da quattro anni senza una sentenza di condanna
- Nel 2020 la Corte europea dei diritti dell’Uomo era intervenuta sulla vicenda chiedendo la scarcerazione di Kavala, ma ad oggi gli appelli per la sua liberazione sono sempre caduti nel vuoto.
- A dover lasciare il paese anatolico dopo l’annuncio del ministero degli Esteri sono i rappresentanti diplomatici di Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Svezia e Stati Uniti. Nell’elenco degli espulsi manca però l’Italia.
La Turchia ha dichiarato persona non grata dieci ambasciatori occidentali che avevano firmato un appello per la liberazione del filantropo Osman Kavala, detenuto da quattro anni senza una sentenza di condanna. Kavala è accusato di aver preso parte al tentato golpe del 2016, di aver partecipato alle manifestazioni antigovernative del 2013 di Gezi Park e di essere vicino al magnate George Soros, figura particolarmente invisa al presidente Recep Tayyip Erdogan. Nel 2020 la Corte europea dei diritti dell’Uomo era intervenuta sulla vicenda chiedendo la scarcerazione di Kavala, ma ad oggi gli appelli per la sua liberazione sono sempre caduti nel vuoto.
A dover lasciare il paese anatolico dopo l’annuncio del ministero degli Esteri sono i rappresentanti diplomatici di Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Svezia e Stati Uniti. Nell’elenco degli espulsi manca però l’Italia. Un’assenza che fa riflettere sullo stato delle relazioni tra Roma e Ankara e sulle priorità del nostro paese in politica estera. L’Italia continua a chiudere gli occhi sulle continue violazioni dei diritti umani in Turchia e sul crescente numero di oppositori rinchiusi in carcere senza una sentenza di condanna, come nel caso di Kavala. Fin dal fallito golpe del 2016, Erdogan ha usato i poteri conferitigli dallo stato di emergenza per incarcerare o licenziare attivisti per diritti umani, insegnanti, accademici, scrittori, avvocati, giudici, funzionari pubblici, sindacalisti, ex militari e parlamentari curdi. Il tutto con l’obiettivo ultimo di mettere a tacere ogni forma di opposizione e di dissuadere la popolazione civile dal ribellarsi al suo presidente.
Interessi violati
Eppure neanche la politica neo-ottomana messa in campo da Erdogan nel Mediterraneo è riuscita a far cambiare posizione all’Italia, che vede i suoi stessi interessi costantemente lesi dall’espansione turca in quello che continua ad essere descritto come il mare nostrum. Nel 2019, solo per fare un esempio, la Turchia ha stipulato un accordo con il governo di Tripoli per la definizione dei confini marittimi e per la gestione delle risorse minerarie presenti al largo delle coste libiche, a discapito degli interessi energetici e geopolitici italiani. Ma Ankara ha anche cercato di mettere le mani sulla controversa Guardia costiera libica, addestrata ed equipaggiata da un’Italia ben poco attenta all’uso che veniva fatto delle sue motovedette. La Turchia è stata abile nello sfruttare a suo vantaggio l’ambiguità di Roma nei confronti del dossier libico, arginando l’influenza italiana nel paese africano e giocando sulla debolezza dell’allora premier Fayez al-Serraj per mettere definitivamente piede in Libia. Ankara inoltre continua a sfruttare la presenza di 5 milioni di profughi sul suo territorio per ricattare l’Italia e l’Unione europea, dicendosi costantemente pronta ad aprire i propri confini e a scatenare una nuova crisi umanitaria. A partire da questa posizione di forza, Ankara ha anche potuto minacciare gli interessi greci ed europei nel Mediterraneo senza incorrere in alcuna sanzione, grazie anche alla posizione conciliante assunta dall’Italia in sede comunitaria.
I rapporti economici
Per Roma, quindi, la tutela dei rapporti economici con la Turchia continua ad essere la vera priorità. D’altronde secondo i dati Istat l'interscambio commerciale con il paese anatolico nel 2020 ha fruttato 15 milioni all’Italia, nonostante i danni causati dalla pandemia. Il nostro paese è il quinto partner commerciale della Turchia a livello mondiale e il secondo tra gli Stati Ue dopo la Germania. Nel mercato turco inoltre sono attive oltre 1.500 imprese italiane e gli investimenti diretti nel 2018 hanno raggiunto i 523 milioni di euro. Non vanno poi dimenticati gli interessi del settore militare e della difesa: nel 2020 le autorizzazioni per le esportazioni di materiale di armamento hanno raggiunto un valore di 34.6 milioni, dopo i 63.7 del 2019 e i 362.3 del 2018.
Alla luce di questi dati è facile farsi un’idea di quanto profondi siano i legami economici tra Italia e Turchia, ma tutto ciò è abbastanza perché il governo italiano continui ad avere un atteggiamento così tanto accondiscendente nei confronti di Ankara? La Turchia non ha riguardi verso gli interessi geopolitici di Roma o dell’Unione europea, né tantomeno per quei diritti umani che la stessa Italia si è impegnata a promuovere anche al di fuori dei propri confini. Eppure neanche il governo guidato da Mario Draghi sembra intenzionato a modificare la posizione dell’Italia nei confronti della Turchia. Ad aprile il premier ha definito il presidente Erdogan un “dittatore”, ma non ha mai messo in discussione i rapporti con la Turchia, specificando che con il leader turco bisogna continuare “a cooperare per gli interessi del paese”. Anche se questi non vengono in realtà rispettati.
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