- Per negoziare occorre lucidità e mente fredda. L’avventurismo di Putin ha messo la Russia in un vicolo cieco.
- Adesso va offerto alla Russia un quadro negoziale che indichi una via di uscita prima di scelte inconsulte, questo è il momento per trattare prima che tutta l’Ucraina sia ridotta in cenere.
- Visto che gli americani non paiono per ora intenzionati a promuovere una tregua, è necessario che l’Europa prenda la leadership del negoziato.
Le parole al consiglio della Nato, a quello europeo e al G7 sono state forti. In questa situazione esacerbata ogni parola e ogni gesto vanno calibrati con attenzione. Vi sono leader occidentali e media famosi che sembrano non avere paura di una guerra generalizzata. Soffiare sul fuoco è da irresponsabili: occorre smettere di ragionare unilateralmente e cessare tifoserie inutili.
È evidente che leadership russa è colpevole di aver scatenato un gravissimo conflitto. Tutti gli europei sono convintamente dalla parte degli ucraini. Ora la vera leadership di cui necessitiamo deve ideare un piano per uscire dalla guerra in modo politicamente lucido.
Gli errori di Putin
È sempre più chiaro che Vladimir Putin ha preso una folle decisione avventurista: da ogni punto di vista non si capisce cosa Mosca potrebbe guadagnare da questa guerra, forse solo pezzi di territorio vuoto e bruciato. Se si aggiungono a tale evidenza anche le difficoltà apparenti dell’armata rossa, il quadro è decisamente negativo. La Russia non è riuscita a dividere l’Occidente; ha rafforzato il nazionalismo ucraino; ha resuscitato la Nato e il G7; ha perso la battaglia mediatica e propagandistica; si è auto-isolata economicamente e si è attirata lo sdegno generale.
Tuttavia ciò non deve esaltare gli occidentali ma renderli più saggi e prudenti perché una Russia così pilotata può far aumentare la tensione fino a livelli impensabili.
Gli errori dell’occidente
Prima di tutto c’è da considerare che molti paesi non si sono schierati: non solo la Cina ma l’India e tanta parte di Africa e di Asia ecc. Questo avviene perché l’Occidente in questi ultimi trent’anni si è alienato molte simpatie: ha commesso errori, ha condotto guerre inutili e dannose (non sempre rispettando le regole internazionali), si è occupato essenzialmente di sé stesso e non è stato particolarmente solidale con il resto del pianeta.
Ad esempio l’astensione all’assemblea generale dell’Onu di molti paesi africani sulla risoluzione di condanna della Russia si deve, più che a un moto di vicinanza a Mosca, ad un segnale di irritazione per la guerra di Libia: quella malaugurata scelta euro-americana che ha gettato nel caos numerosi Stati d’Africa Occidentale, oggi abbandonati a sé stessi. In sintesi: non è perché la Russia ha commesso l’errore più grande che i nostri sono cancellati. Gli altri continenti non dimenticano.
Rischio gesti estremi
In secondo luogo occorre tenere conto che è proprio quando viene messo con le spalle al muro che il sistema russo può compiere scelte più azzardate. I riferimenti fatti da Mosca sul possibile utilizzo dell’arma nucleare devono essere presi assolutamente sul serio. Non si tratta di un bluff ma può diventare una scelta reale. La delusione per non essere stati accolti dagli ucraini orientali (russofoni) come dei liberatori, è fonte di grande frustrazione per Mosca e può condurre a gesti estremi, anche se localizzati.
In terzo luogo va evitata un’escalation delle parole e delle decisioni da parte europea: è più saggio non schierarsi con i più scalmanati tra noi. I grandi Stati membri dell’Ue, in particolare i fondatori, devono riprendere il controllo per arrestare il crescendo di bellicismo che risulta anch’esso avventurista ed irresponsabile.
Gli obiettivi
Infine è necessario elaborare ora un piano di uscita dalla crisi. Gli obiettivi su cui lavorare sono tre:
- ottenere una tregua, indicando alla Russia di Vladimir Putin la via di uscita per un vero negoziato;
- stabilire le nuove regole di sicurezza e cooperazione in Europa;
- elaborare un piano per la gestione delle relazioni con la Russia.
Visto che gli americani non paiono per ora intenzionati a promuoverlo, sul primo obiettivo è necessario che l’Europa prenda la leadership del negoziato (anche con il supporto turco se utile), abbassando i toni e tenendo a bada i propri estremisti interni. Germania, Francia e Italia dovrebbero ingaggiare la Russia seriamente nella cessazione delle ostilità e nella costituzione di un vero tavolo negoziale.
Fermare le armi
Ciò non significa rinunciare al proprio giudizio sulla scellerata guerra ma ridare priorità alla politica. Servirà per questo coinvolgere il presidente Volodymyr Zelenskye diminuire (per poi cessare) la consegna di armi agli ucraini: divengono anch’esse un tema negoziale.
Qualcuno dirà che occorre continuare ad armarli perché la loro vittoria è possibile: è proprio un giudizio così poco lucido che può far precipitare le cose.
L’Ucraina con coraggio sorprendente si sta difendendo, nessuna grande città è ancora caduta, i russi hanno subito gravi perdite: é questo il momento per andare al negoziato a testa alta, prima che il paese sia ridotto in cenere.
La parte più difficile non è tanto il cessate il fuoco (si ottenne anche nel 2014) ma sfidare i russi su un vero negoziato che includa non solo i vecchi temi (Crimea, Donbass, neutralità) ma anche nuovi contenuti che introducono alla seconda tappa. Si potrebbe dire che senza gli Usa non si può fare nulla ma la situazione sul terreno è talmente insabbiata che c’è da scommettere che Mosca coglierebbe l’occasione.
Temere la democrazia
Il secondo punto è una nuova conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Qui Mosca accusa la Nato di essersi allargata forzando: l’Occidente avrebbe mentito. Su tale tema a gennaio i russi avevano consegnato agli americani una bozza di nuovo trattato, sdegnosamente respinto.
Qual è il nodo? All’epoca di Helsinki non si pose il problema della democrazia in sé ma si decise che i due sistemi potevano convivere a patto di mettersi d’accordo su alcune regole comuni, rispettando le rispettive sfere. Oggi la Russia di Putin invece contesta la democrazia stessa.
La diffidenza è reciproca. Ciò che spaventa il sistema russo è il “contagio democratico” (con l’appoggio della Cina di Xi Jinping): malgrado i leader dei due colossi ripetano continuamente che i loro sistemi sono migliori e più efficienti della democrazia occidentale, in realtà ne sono ossessionati. Dall’altra parte gli occidentali, pur continuando ad autocommiserarsi parlando di declino, sfruttano tutto il loro soft power in termini culturali e di abitudini umane, non fosse che per ragioni commerciali
In cerca del compromesso
Non bastano dei russi o dei cinesi occidentalizzati per farne dei democratici ma -secondo alcuni- pare che i loro leader lo temano. Si tratterebbe cioè di una questione di potere mascherata da modello politico-culturale, ammantata da culturalismo identitario manipolando anche la religione.
Ecco perché una nuova Helsinki sarebbe diversa dalla prima: il “terzo cesto” (la parte sui diritti umani) diverrebbe il primo. Una nuova conferenza andrebbe ripensata: gli occidentali non cedono sul fatto che ogni paese sia libero di scegliere il proprio sistema e con chi stare, mentre per i russi vale ancora la vecchia regola delle sfere di influenza. Esiste un compromesso possibile tra le due visioni?
Prima che sia troppo tardi
Un'altra questione cruciale è riprendere i colloqui sui trattati di disarmo, progressivamente abbandonati da russi e americani. La questione è centrale: più ci si riarma e più si creano le condizioni per un’altra guerra. I processi di riarmo in corso –fortemente contestati da Papa Francesco- vanno arrestati al più presto e per tutti: si deve ricominciare a disarmare.
La terza fase riguarda il recupero di una relazione ragionevole con la Russia. E’ impensabile un’Europa senza rapporti con Mosca: la Russia non scompare ma lo sciovinismo russo va contenuto. Il confronto tra Russia ed Europa è sempre stato difficile. In ogni caso anche i russi sono cambiati. Visto che già 8000 coraggiosi accademici e ricercatori russi hanno firmato il manifesto contro la guerra, ripartiamo dalla cultura e dalla ricerca per un nuovo viaggio comune. Recidere anche questi legami in nome delle sanzioni non è saggia politica: occorre parlarsi.
Infine è bene rammentare che la guerra sta creando gravi problemi al sud del mondo: penuria di grano e di fertilizzanti che si potrebbe tradurre in fame e rivolte. Fermare questa guerra significa bloccare la maturazione di altri conflitti che potrebbero derivare dal caos attuale. Facciamolo prima che sia troppo tardi.
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