In una guerra che gli strateghi, prima di ciò che sta accadendo in Ucraina, immaginavano sempre più elettronica e smaterializzata, il ritorno dei tank, i carri armati, ci riporta alla cruda realtà di un conflitto di artiglieria. In pochi giorni, ciò che sino a pochi mesi fa era considerato fuori discussione, è diventato realtà con l’escalation e le forniture di carri dai paesi Nato che aprono nuove e pericolose prospettive.
Le immagini del carro armato Abrams che scivola indietro e non riesce a superare una collinetta fangosa hanno fatto il giro del mondo e sono diffusamente usate dalla propaganda russa per screditare il mito dell’arma invincibile made in Usa. La minacciosa risposta di Mosca che annuncia che gli Abrams e i Leopard bruceranno nelle pianure ucraine, al netto della propaganda putiniana, è realistica? L’Abrams, soprannominato “the beast”, la bestia, può essere vulnerabile? E il tank tedesco Leopard II è effettivamente all’altezza della sua reputazione?
Anche se esteticamente appaiono molto diversi, in realtà i carri americani e tedeschi sono da considerare cugini essendo frutto di una comune ricerca militare sviluppatasi negli anni Settanta. La differenza più sostanziale appare essere il propulsore, un motore a turbina nell’Abrams contro un classico motore diesel nel Leopard, con importanti differenze nella manutenzione, più intensa e complicata per il motore a turbina rispetto al diesel.
L’Abrams raggiunge una velocità massima di 72 chilometri all’ora contro i 67 del Leopard, ma il carro americano ha consumi maggiori.
Nonostante l’imponenza della blindatura tutti i carri armati hanno numerosi punti di vulnerabilità. La blindatura, nell’Abrams composta da lega metallica che include uranio impoverito, si concentra essenzialmente sul frontale anche perché, se fosse estesa all’intera superficie, lo renderebbe inamovibile a causa del peso.
Il precedente iracheno
L’Abrams, che non ha mai avuto rivali tra i carri russi, anche quelli più moderni, in dotazione all’esercito baathista, è stato lo strumento principale dell’invasione terrestre americana in Iraq. Gli incidenti non sono mancati. In un letale corteo soprannominato “Rolling Thunder” hanno il loro rapido ingresso a Baghdad il 9 aprile del 2003. Nello stesso giorno un colpo sparato da uno degli Abram sull’hotel Palestine, che ospitava la stampa occidentale, ha causò la morte di due reporter.
Il capitano Philip Worlford aveva confermato il tragico errore ammettendo che i suoi uomini avevano scambiato un bagliore di luce da uno dei balconi dell’hotel (probabilmente il luccichio provocato da un binocolo in uso ai giornalisti) per un’arma irachena.
All’epoca pochi di noi avevano visto l’Abrams in azione. Ho avuto modo di osservarlo da vicino per molte settimane, semplicemente affacciandomi dal balcone del Palestine poiché questi colossi di acciaio, che gli iracheni prontamente avevano soprannominato “la bestia”, erano stati messi davanti a ogni obiettivo sensibile della capitale irachena tra cui l’hotel in cui vivevamo.
La sua enorme massa di metallo ci appariva come inviolabile a qualunque minaccia. Eppure in poche settimane la guerriglia sunnita aveva dimostrato la propria capacità di attaccarlo e persino distruggerlo. Una serie di attentati avevano rivelato che due o tre obici di artiglieria convenzionale collegati a un telecomando e nascosti sotto la polvere, bastavano a penetrare dal basso il colosso americano. L’esperienza irachena dell’Abrams M1 rivela che armi del livello del missile filodiretto Milan, possono facilmente provocare danni irreparabili o letali, a seconda di dove il colpo sia diretto.
Durante l’invasione irachena gli Abrams erano stati vittime anche di semplici attacchi con Rpg, il classico lanciamissili a mano russo che, se usato a distanza ravvicinata e in alcuni particolari punti, è in grado di penetrare la corazza soprattutto nella parte posteriore e superiore della torretta. In complesso solo nei primi due anni di attività 80 Abrams sono stati messi fuori uso da attacchi nemici, 17 sono stati totalmente distrutti e 63 “curati” e riutilizzati.
Nel 2017 almeno altri due Abrams in uso all’esercito iracheno sono stati distrutti da missili anticarro Milan, forniti dall’esercito tedesco per operazioni contro l’Isis e lanciati da miliziani curdi. Gli Abrams, a Baghdad e nelle zone urbane densamente popolate, quindi molto simili alle città ucraine, sono stati spesso oggetto di imboscate.
Ciò ha imposto all’esercito americano la creazione di uno speciale kit, chiamato urban survival, con protezioni aggiuntive per il mitragliere esterno e un sistema di comunicazione che consentisse la comunicazione rapida tra l’interno e i marines che scortavano il carro armato. Le successive esperienze hanno mostrato altri punti deboli: bastavano uno o due chili di esplosivo per far saltare un cingolo e, nonostante la blindatura della torretta, non mancavano mai minuscoli punti deboli nei quali anche una semplice pallottola di calibro 7.62 poteva generare un danno irreversibile negli impianti idraulici che consentono il movimento dello stesso cannone.
Manutenzione e costi
Ma il vero punto delicato dei moderni carri armati è il loro cuore tecnologico. Secondo gli standard dell’esercito americano l’esigenza di manutenzione è pressoché costante, con una profonda revisione almeno una volta ogni 45 giorni con l’impegno di circa 450 ore di lavoro.
Nei documenti riservati, ma disponibili sulla rete, si scopre che la manutenzione annua per ogni carro Abrams costa circa 300.000 dollari. Chiunque abbia infilato la testa nell’angusta torretta di tiro, si sarà reso conto della complessa rete di sistemi idraulici, elettronici, ottici, sistema d’arma e munizione che occupa gran parte dello spazio interno del carro.
Ognuna di queste singole componenti può cedere per qualsiasi ragione. E poi ci sono le necessarie munizioni e combustibili: per ciò che riguarda l’armamento, il cannone da 120 mm richiede una riserva di almeno 168 colpi di cui almeno 42 a bordo, circa 40.000 colpi per alimentare la mitragliatrice, 72 granate fumogene e migliaia di altri proiettili per le armi accessorie.
Il costo di un obice è di circa 700 dollari e, complessivamente, ogni chilometro percorso ne costa circa 280, con una riserva di almeno 6.000 litri di gasolio, oltre un’impressionante massa di fluidi e oli speciali per tutta la parte idraulica che alimenta i movimenti.
La complessità degli equipaggiamenti a bordo, che sale di livello a ogni nuova generazione, spiega l’esigenza di un addestramento complesso e profondo e giustifica ampiamente la previsione che l’effettiva messa in campo dei nuovi arsenali non avvenga prima di tre mesi.
Leopard e Abrams necessitano di un equipaggio che va da un minimo di tre a uno standard di quattro componenti i quali impongono una riserva di almeno 40 litri di acqua potabile a bordo più una riserva di cibo per circa tre giorni. L’esperienza irachena insegna anche che carri senza un’adeguata scorta di fanteria sono particolarmente soggetti a essere colpiti da armi anticarro.
Sul terreno di battaglia
Ai 31 Abrams americani, ai 14 Leopard tedeschi e ai 14 tank britannici Challenger, è facile prevedere, se aggiungeranno quasi sicuramente altri: in totale potrebbero diventare una novantina di carri Mbt (Main Battle Tanks) a cui si aggiungerebbero gli Apc (Armoured Personal Carrier), una categoria cui appartengono gli annunciati 40 Marder tedeschi e i 50 Bradley americani, blindati da trasporto truppe e da combattimento più leggeri rispetto ai tank.
Se simuliamo la realtà sul terreno di battaglia fra circa tre mesi, ovvero a fine aprile, è facile immaginare che lo schieramento di molte decine di nuovi carri di nuova generazione occidentali, potrà produrre la capacità, da parte degli ucraini, di penetrare il fronte russo.
Molte variabili però restano da considerare. Oltre all’addestramento, la capacità di manutenzione, la capacità di rifornimento di munizioni e combustibili, in generale l’utilità di mezzi corazzati che richiedono una costante sorveglianza allo scopo di proteggerli da parte di imboscate e, possibilmente, una copertura aerea.
L’Ucraina con le sue pianure è in effetti il perfetto terreno di azione per questi colossi di acciaio pesanti anche più di 60 tonnellate, con l’unica non piccola controindicazione di terreni fangosi e di trincee anticarro, che i russi in effetti hanno già iniziato a realizzare diffusamente.
Inoltre, la molteplicità di carri aumenterebbe considerevolmente il rischio di “friendly fire”, anche qui la storia recente della guerra in Iraq, ci mostra quanto ciò sia frequente nella “fog of war”. Ma i carri armati, pur ribilanciando la potenza di fuoco tra i due fronti, da soli non potranno certamente costituire quell’elemento in grado di generare una vittoria militare che, da entrambe le parti, appare sempre di più inattuabile.
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