Per papa Francesco l’entrata nel tredicesimo anno di pontificato è segnata dal lungo ricovero per l’aggravarsi delle condizioni di salute, ma anche dalla prima ricostruzione non apologetica della sua vita. Ne è autore Loris Zanatta, che conosce perfettamente la storia contemporanea dell’America latina e dal 1989 studia la chiesa argentina. Il risultato è un libro indispensabile (Bergoglio. Una biografia politica, Laterza), critico e fondato con rigore sulla conoscenza di archivi e documenti, sull’analisi dei testi papali e su una bibliografia molto estesa, in prevalenza argentina: una novità.

Lo storico romagnolo ha scritto per Carocci Il peronismo e Il populismo, profili brevi e chiari (soprattutto il primo). Del pontefice trattano anche altri due suoi libri editi da Laterza: La nazione cattolica, appassionante e tragico racconto del quarantennio dal colpo di stato del 1943 alla fine della dittatura militare nel 1983, e Il populismo gesuita, che da Perón – ed Evita, d’importanza simbolica capitale – arriva a Fidel Castro e Hugo Chávez, e si conclude su Jorge Mario Bergoglio.

Zanatta non simpatizza per il protagonista della biografia, ma lo indaga con scrupolo storico e onestà. Soprattutto ne conosce a fondo la storia politica, inseparabile da quella intellettuale, che ricostruisce nei dettagli e mette a confronto con i fatti, spesso distanti dalle parole di Bergoglio. «Il principio di realtà, sempre necessario, lo è ancor più – scrive – dinanzi a una personalità poliedrica, spesso indecifrabile. Una personalità “gesuitica”, affascinante o irritante a seconda dei gusti e delle sensibilità».

L’autore si dichiara non credente senza «partiti né scuole» e definisce il suo ritratto di Bergoglio come «modesto manifesto laico in un’epoca in cui la laicità è chiamata con disprezzo “laicismo”. Un’epoca di “ritorno delle religioni” sulla scena pubblica che, come ogni altra in cui tale ritorno è avvenuto, distilla violenza e intolleranza, fanatismo e messianismo». Ammesso con schiettezza, il punto di vista non interferisce però nella ricostruzione storica di questa prima vera biografia del papa. Che risulta attendibile e convincente.

Un giudizio severo

Di fronte al profluvio di titoli acritici il giudizio di Zanatta è severo e condivisibile perché i libri su Bergoglio sconfinano nell’agiografia. «Distorcono il contesto storico, ne danno un’immagine mistificata»: utili, certo, ma scritti «da autori digiuni di storia argentina, dipendono oltremisura da fonti ricche ma scivolose», come i ricordi di una miriade di amici e conoscenti.

Mancano tra queste le testimonianze dei numerosi avversari perché è «meglio tacere che rivangare il passato se in passato hai pestato i piedi al futuro papa». Vanno aggiunti i racconti autobiografici, di cui il papa è stato prodigo negli ultimi anni con il chiaro intento di riscrivere la propria storia e gli anni del pontificato. Ma non bisogna muovere dal presente per risalire al passato bensì, al contrario, indagare il lungo passato «per capire il presente»: è il metodo scelto dall’autore.

«Bergoglio è incomprensibile senza il peronismo. Ma i biografi non ci aiutano. Alcuni fingono di non vedere la tigre nel salotto. Altri la vedono ma gli sembra un gattino», scrive sferzante Zanatta, per il quale – la tesi è centrale nella sua visione storica – «il peronismo fu il braccio secolare della “nazione cattolica”». La famiglia del futuro papa era legatissima ai salesiani, segnati dal mito nazional cattolico: «argentinità e cattolicità erano tutt’uno».

Ma chi influenza soprattutto il giovane Jorge sono il prete di origine italiana Lucio Gera, uno dei fondatori della “teologia del popolo”, e su quello politico il “peronista uruguyano” Alberto Methol Ferré. Con loro i gesuiti Hernán Benítez, il confessore e consigliere di Eva Perón che definisce il peronismo un «comunismo di destra», e Leonardo Castellani, lo scrittore che nel 1964 immaginerà nel romanzo Juan XXIII (XXIV), un pontefice argentino dai tratti molto simili al futuro papa Francesco. Entrambi saranno costretti a lasciare la Compagnia di Gesù, pur rimanendo preti.

Argentina di sangue

La storia del secolo scorso è scandita in Argentina da colpi di stato e da tragedie sanguinose. Nel paese – aveva scritto Zanatta nel libro La nazione cattolica – alla chiesa nessun ruolo «fu estraneo: vittima e carnefice, rivoluzionaria e reazionaria, pacifista e violenta, militarista, sindacalista, peronista, marxista, tradizionalista». L’uruguayano Methol, «faro politico» di Bergoglio, «fu il primo a traghettare il vetusto paradigma corporativo d’impronta medievale verso il moderno populismo», perché bisognava impedire che «la cristianità americana si smembrasse come quella europea», e dunque difenderla: «il programma politico di Bergoglio era scritto, non cambiò mai».

Dopo il golpe del 1955, messo in atto da militari cattolici che estromettono dal potere Perón entrato in conflitto con la chiesa, il giovane Bergoglio, militante di Azione cattolica, partecipa alle manifestazioni del gruppo Resistenza peronista. Dopo l’entrata nel 1958 nei gesuiti, si avvicina molto a un gruppo simile – la Guardia di Ferro – e alla sua ideologa Amelia Podetti. A questi anni risale la conoscenza con Antonio Quarracino, seminarista a La Plata, futuro arcivescovo e cardinale di Buenos Aires, che sarà decisivo nell’ascesa di Bergoglio. «Senza di lui, niente papa Francesco» riassume icastico Zanatta. E coglie nel segno.

Il giovane novizio gesuita «non tollerava il clero “illuminato”, propenso al marxismo: sminuiva la religiosità popolare». Dopo il concilio Vaticano II, nel caos politico dell’Argentina, dove si succedono i colpi di stato, gli ambienti dove si forma il futuro papa proiettano il conflitto sociale globale su uno scenario globale di scontro «tra centro e periferia»; in questo quadro «i poveri erano vittime dei ricchi, il Sud del Nord».

Come Gera, il futuro papa «temeva la “tentazione liberale ed europeizzante” sprigionata dal Concilio. E come lui ne combatteva le minacce alla cristianità americana: la liberal democrazia nel paese e la democrazia cristiana nella Chiesa». Nella vulgata corrente «la teologia della liberazione, radicale e marxista, cadde talvolta nella violenza, la teologia del popolo, nazionale e popolare, mai: eletto papa, così fu scagionato Bergoglio. Comodo, ma inesatto» chiosa Zanatta perché «tale distinzione rimase a lungo questione di sfumature più che di fratture. Nacquero entrambe dallo stesso albero nazional cattolico».

Pugno di ferro

Dal 1970 l’Argentina precipita verso la guerra civile con l’assassinio del generale Pedro Aramburu, vittima dei montoneros, guerriglieri peronisti, e poi con l’effimero ritorno dall’esilio di Perón (e della seconda moglie Isabel); fino al golpe del 1976 e ai sette anni della feroce dittatura della Junta Militar, travolta dopo la disastrosa guerra per le Malvine. In questo contesto cupo Bergoglio è nominato nel 1973 provinciale dei gesuiti. Resterà dieci anni dimostrando «polso fermo e pugno di ferro, fedeltà alla Chiesa e devozione a Dio, patria e popolo contro la minaccia “sovversiva”».

Sul tema scottante del comportamento di fronte al terrorismo di stato Zanatta analizza freddamente le fonti e traccia un quadro in chiaroscuro, molto probabilmente vicino alla realtà. «Bergoglio fu connivente o salvò vite? O l’uno e l’altro? Calunnie, montò il coro quando diventò papa! Pur di “assolverlo” i più zelanti s’esposero al ridicolo: era stato lo Schindler argentino. È tema da grigi più che da bianchi e neri».

Il ventennio successivo al provincialato occupa il capitolo Morto e risorto. Dopo pochi mesi in Germania nel tentativo fallito di ottenere un dottorato, Bergoglio guida «l’opposizione gesuita all’ordine gesuita», che al rientro in Argentina gli costa l’allontanamento da Buenos Aires e l’esilio a Córdoba.

Da dove lo ripesca l’amico ultraconservatore Quarracino che, arcivescovo della capitale dal 1990, lo fa nominare, tra la sorpresa generale, vescovo ausiliare nel 1992 e coadiutore nel 1997. Abile e spregiudicato, il gesuita diviene un vero protagonista della politica argentina. Con la sponda in Italia della rivista TrentaGiorni, espressa da un gruppo di ciellini e diretta da Giulio Andreotti.

Divenuto nel 1998 arcivescovo, nel 2001 è creato cardinale. Inizia allora la campagna elettorale per il papato: «camaleontico come Perón», viene eletto nel 2013. Da quel momento, polarizzando le opposte tendenze cattoliche, «Francesco ha tradotto sul piano globale le idee e le azioni coltivate» in Argentina per tutta la sua vita.

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