I repubblicani lo dicevano: Joe Biden può chiudere il confine con il Messico con un decreto esecutivo. Senza bisogno di una legge del Congresso. E nella giornata di martedì lo ha fatto. Con un tratto di penna ha annunciato in conferenza stampa che a partire dalla mezzanotte ai varchi d’entrata non sarebbero state accettate nuove domande d’asilo. A partire da oggi, dunque, la frontiera con il Messico rimane sigillata perché l’ultima settimana ci sono stati 2500 accessi irregolari al giorno. La restrizione dovrebbe rimanere in vigore fin quando il flusso non si restringe fino a 1500 persone su base quotidiana.

Nel frattempo, le autorità federali avrebbero il potere di deportare in Messico gli irregolari senza strascichi legali. Una decisione politica che ricorda molto da vicino quella presa da Donald Trump nel novembre 2018, quando aveva deciso di sospendere le domande per il diritto d’asilo in modo ancora più arbitrario. Allora ci fu un tribunale federale a bloccare il provvedimento e anche oggi ci può essere lo stesso destino per questo ordine esecutivo, dato che l’American Civil Liberties Union (Aclu), la principale organizzazione per la difesa dei diritti civili statunitense ha annunciato l’intenzione di farlo.

La decisione a sorpresa di Biden peraltro fa ben poco per sedare la retorica repubblicana sull’immigrazione fuori controllo. Basta vedere la dichiarazione del senatore texano John Cornyn, che ha detto: «Perché non è stato fatto prima? Questo prova che il presidente non è serio nel voler risolvere la situazione». E in effetti durante i difficili negoziati che si sono svolti proprio al Senato tra ottobre 2023 e inizio febbraio 2024 una delle principali accuse fatte dai trumpiani a Biden era proprio quella: per bloccare i flussi bastava un decreto esecutivo. Cosa che è puntualmente avvenuta.

Con qualche consenso tra i dem, come quello del sindaco di New York Eric Adams e della governatrice del Massachusetts Maura Healey, due stati che hanno dovuto gestire grandi flussi di irregolari “spediti” con autobus e aerei dai governatori repubblicani di Texas e Florida per far sentire anche agli stati liberal gli oneri della situazione. Al Congresso però la situazione è più complicata: se da un lato il leader del gruppo democratico alla Camera Hakeem Jeffries ha annunciato il suo sostegno al provvedimento prima ancora di conoscerne i dettagli, dall’altro progressisti come la deputata Pramila Jayapal si sono detti «profondamente delusi».

Un’ulteriore punto di divisione tra la Casa Bianca e l’ala sinistra dopo mesi in cui il presidente è finito sotto accusa per il suo sostegno allo sforzo militare di Israele nella striscia di Gaza, che a loro avviso sarebbe mitigato solo da alcune blande critiche sulle eccessive perdite di civili mentre il flusso di aiuti alla popolazione palestinese procede ancora troppo a rilento.

Sembra lontano comunque il tono di Biden che definiva Trump come “xenofobo in capo” durante la campagna elettorale 2020 e prometteva nuovi percorsi di cittadinanza per chi arrivava dall’America Latina. La sensazione è che rispetto al primo anno di presidenza, l’attuale inquilino della Casa Bianca sia passato dal voler smontare le politiche di Trump sul tema al voler inseguire l’avversario giocando a chi è più duro per mostrare a stati come l’Arizona e il Nevada che stanno sfuggendo dalla presa dei dem che sulle politiche migratorie ci può essere il pugno duro senza far tornare al potere il tycoon.

Segno che i dem hanno completamente fallito sul tema che sin da subito era apparso quello più difficile da sanare data la riluttanza dei repubblicani a collaborare su un tema che fornisce loro facili argomenti per attaccare l’attuale presidente. Quindi la decisione di chiudere il confine in questo modo da un lato rischia di saltare per mano di un tribunale, dalll’altro non porterà i democratici a diventare più credibili su un tema su cui hanno mostrato di non avere una coerenza.

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