Il leader venezuelano resta al potere ma attorno a lui c’è il vuoto. Presenti solo i Capi di Stato di Cuba e Nicaragua. E la premier italiana, Giorgia Meloni, non riconosce il presidente venezuelano
Maduro inizia il suo terzo mandato davanti ai soli capi di Stato di Cuba e Nicaragua. L’opposizione è debilitata, ma la breve detenzione (vera o presunta) della leader Machado alza la tensione internazionale, e fa confermare a Meloni che non riconoscerà Caracas.
Lontanissimo è il tempo di quando Hugo Chávez, che fondeva il pensiero di Simón Bolivar a quello di Antonio Gramsci, agiva da global player, rompendo il Washington Consensus degli anni Novanta. Oggi il suo successore, Nicolás Maduro, giura con tutte le parafernalia bolivariane, e si reinsedia nel palazzo di Miraflores ospitando infinite sfumature di grigio di delegazioni internazionali di minor prestigio, tra le quali spiccano però il presidente della Duma russa e un delegato cinese.
«La Costituzione [bolivariana] è vittoriosa e il Venezuela è in pace» ha affermato in un classico discorso antimperialista Maduro che ha poi sostenuto che «il Venezuela ha definitivamente sconfitto il fascismo». Amen, ma non ha detto nulla su come consolidare una ripresa economica che ha visto nel 2024 il paese crescere di oltre il sei per cento dopo anni catastrofici.
Qualcosa è andato storto
Al di là dell’apparente stabilità, nei mesi che ci separano dal 28 luglio è stata evidente la scarsa fiducia che hanno dimostrato nell’opposizione le maggiori cancellerie regionali e occidentali, ancora scottate dal circo inscenato nel 2019 con Juan Guaidó, presidente a interim inventato da Trump e dal presidente dell’Organizzazione degli Stati Americani Luís Almagro.
Inizialmente riconosciuto anche da paesi centrali come la Germania, ha presto dilapidato ogni credibilità tra insipienza e corruzione, dispensando prebende e tangenti per tutti, senza neanche la seccatura di dover governare un paese di 30 milioni di abitanti.
Perfino il «presidente eletto», Edmundo González ha giurato per mesi che il 10 gennaio sarebbe stato a Caracas, cosa che ben si è guardato dal fare, e che nessuno si aspettava facesse davvero.
Tutto ciò in nessun modo legittima Nicolás Maduro che, pur di restare a Miraflores è riuscito a inimicarsi i suoi maggiori alleati sudamericani, Brasile e Colombia, che sono stati presenti al giuramento con il solo ambasciatore.
Nel 2013 vinse con la spinta emozionale della morte, ad appena 59 anni, di Hugo Chávez. Nel 2018 per il boicottaggio dell'opposizione. La terza volta, lo scorso 28 luglio, ha perso ma resta lì.
Il caos venezuelano
Come sempre in Venezuela, almeno dal colpo di stato contro Hugo Chávez dell'11 aprile 2002, come e più di altre realtà politiche contese al mondo, narrazioni strabiche e verità alternative inducono a schierarsi.
La leader della destra, María Corina Machado, che aveva appoggiato Edmundo González nelle elezioni di luglio non potendosi candidare in prima persona perché proscritta, fashion come solo le classi alte caraibiche sanno essere, è comparsa in pubblico dopo mesi nel quartiere borghese di Chacao, piena Caracas, roccaforte dell'opposizione.
Alle 19.00 italiane di giovedì tiene un breve discorso sul tetto di un fuoristrada e poi va via in moto. Belle foto; qualcuno sui social, forse esagerando, scrive «per la storia», ma ben fatte. C’è perfino un padre cappuccino che la benedice. Son tutti giovani e belli gli eroi dell'opposizione venezuelana, Leopoldo López, Lilián Tintori, Henrique Capriles, pure Juan Guaidó. Anche Machado, 57 anni splendidamente portati, ha un che di kennediano, di nuova frontiera, anche se il suo credo politico ne farebbe piuttosto una Milei venezuelana.
Nell’ora successiva al suo discorso pubblico se ne denuncia la detenzione, o meglio il sequestro. È la bomba che sposta l'attenzione da un regime che appare avere il pieno controllo della situazione, tanto da permettere libere manifestazioni dell'opposizione, a una situazione incandescente e intollerabile. Tra le parole più aspre ci sono quelle di Giorgia Meloni che parla di «inaccettabile atto della repressione del regime di Maduro, di cui non riconosciamo la proclamata vittoria elettorale».
Passa un tempo breve e Machado stessa sdrammatizza in un video la portata dell’episodio: «Sto bene, mi hanno inseguita, mi è caduto il portafogli, ma sono in salvo. Il Venezuela sarà libero». È difficile dubitare che gli apparati repressivi di Diosdado Cabello abbiano la brutalità e anche la stupidità per compiere un atto del genere, ma lo stesso ministro dell’Interno smentisce domandando: «Perché non l’avremmo arrestata prima? E perché l’avremmo rilasciata in pochi minuti?».
Ancora un paio d’ore e, all’1.51 italiana di venerdì, Machado scrive ai suoi 6,2 milioni di follower su Twitter sul successo della giornata per l’opposizione. In un breve passaggio fa riferimento a che «il mio cuore è con il venezuelano ferito quando sono stata detenuta». È stata solo inseguita? È stata (brevemente) detenuta e/o c’è stato un conflitto a fuoco? O nulla di tutto ciò? Una volta di più sul Venezuela ognuno si faccia la propria idea.
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