Se si parla di voto anticipato, forse la storia più particolare è stata quella dell’ex presidente Jimmy Carter, molto raccontata dai media di tutto il mondo. È malato da tempo, il primo ottobre ha compiuto 100 anni e ha espresso il desiderio di vivere abbastanza per votare per Kamala Harris. Così, il 16 ottobre, Carter, che è ormai sottoposto alle cure palliative e che non sapeva se ce l’avrebbe fatta a sopravvivere fino al 5 di novembre, è riuscito davvero a compiere questa sua ultima volontà. Ha espresso il voto per posta dalla sua residenza a Plains, in Georgia.

Per tradizione e per legge, negli Stati Uniti si vota sempre il «primo martedì dopo il primo lunedì di novembre», quest’anno il 5. La data è stata scelta nel Diciannovesimo secolo per rispettare le esigenze di una realtà ancora profondamente religiosa e agricola. La stagione del raccolto era già finita, ma in genere non faceva ancora troppo freddo e ci si poteva spostare per raggiungere i seggi.

Non si poteva viaggiare di domenica, perché era il giorno sacro. E neppure si poteva scegliere di votare il lunedì, che avrebbe costretto alcune persone a viaggiare comunque la domenica, visto che i tempi di spostamento potevano essere molto lunghi. Inoltre, una formula all’apparenza così ridondante è fatta anche per evitare che il voto capiti il primo novembre, giorno da dedicare al culto dei santi.

Ma in ogni caso sarebbe più corretto dire che il 5 novembre finiranno le operazioni di voto. La maggioranza degli americani si recherà fisicamente ai seggi, ma milioni di altri lo avranno già fatto prima, saranno andati agli stessi seggi nelle settimane precedenti o avranno votato via posta.

Si è calcolato che in 47 stati la maggior parte degli elettori potranno votare in anticipo (su un totale di 50 stati più il distretto di Columbia), anche se in modi diversi. In alcuni casi il voto è partito già a settembre.

L’attuale presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha votato già a fine ottobre, nel suo seggio del Delaware, restando in coda per più di un’ora.

Dal 2020 a oggi

EPA

Il voto «in anticipo» e «in assenza» è stato la vera caratteristica nel 2020, nel grande contesto della pandemia. Gli stati si sono attrezzati per facilitare le operazioni. Si è calcolato che questo abbia contribuito all’aumento dell’affluenza complessiva, che ha raggiunto il 68,8 per cento degli aventi diritto. È stata la percentuale più alta per più di un secolo, nel 2016 ci si era fermati al 60,1 per cento e nel 2012 al 58,6 per cento. Secondo uno studio del Mit, nel 2020 ha votato per posta il 60 per cento dei democratici e il 32 per cento dei repubblicani.

Quattro anni dopo, non c’è più lo stesso pericolo della pandemia, ma è facile pensare che certe abitudini non possano essere più sradicate. Donald Trump ha detto più volte che il voto per posta si presterebbe a falsificazioni: è un aspetto che non è mai stato provato, ma che è stato utilizzato strumentalmente per cercare di delegittimare Biden, nei giorni successivi alla sua elezione.

Nonostante questo, anche i repubblicani stanno provando a convincere i propri elettori a votare in anticipo, proprio nella speranza di raccogliere voti in più. In realtà, ci sono poi differenze fra i vari stati: alcuni hanno favorito le operazioni di voto “a distanza”, mentre altri – come Georgia e North Carolina (due stati in bilico) – le hanno rese più complicate.

In particolare, in Georgia il governo repubblicano ha approvato una legge che ha ridotto il tempo a disposizione per richiedere le schede elettorali per corrispondenza, ha aggiunto requisiti più severi per identificare gli elettori e ha limitato la disponibilità delle drop box (le cassette utilizzate per depositare le schede elettorali).

In North Carolina sono state introdotte restrizioni simili. Inoltre, le schede per il voto per corrispondenza sono state distribuite in ritardo, perché il tribunale ha ordinato di rifarle all’ultimo momento, perché contenevano ancora il nome di Robert F. Kennedy.

Predire il futuro

EPA

Nei giorni prima del 5 novembre, i media americani si sono dunque messi a contare la percentuale di voti in anticipo, per cercare di capire se anche così si riuscisse ad avere un indizio sull’andamento delle preferenze, nel contesto di una sfida che sembra davvero si possa decidere solo all’ultimo e con i sondaggi che non stanno dando un’indicazione abbastanza chiara.

Guardando a quello che è successo nel 2020, la teoria generale dovrebbe essere che un’alta percentuale di voti a distanza potrebbe favorire i democratici. In realtà, un’equazione di questo tipo può essere rischiosa. Non tiene infatti conto di come anche i repubblicani stiano cambiando abitudini e di come persino Trump abbia finito per promuovere il voto a distanza, rimangiandosi in parte l’accusa dei passati brogli. E in effetti questo sembra aver portato qualche risultato, se è vero che negli stati repubblicani sembra si siano alzate le percentuali di voti in anticipo.

Queste elezioni sono particolari per una serie di motivi e lo sono anche per questo: pure il voto in anticipo potrebbe prendere una strada diversa dal solito. Cercare di applicare considerazioni storiche al presente potrebbe essere fuorviante. Inoltre, ci sono questioni logistiche che cambiano da stato a stato, e differenze fra chi vota via posta e chi lo fa andando in anticipo ai seggi. E ci sono categorie di persone (ad esempio i giovani) che sono storicamente più propense a votare all’ultimo.

La cosa più sbagliata sarebbe pretendere un po’ di chiarezza in una situazione tanto complicata.

Un cambiamento culturale

EPA

È però indubbio che il voto anticipato (sia fatto in assenza o in presenza) è diventato anche un fenomeno culturale, capace di influenzare il modo in cui si fa la campagna elettorale. Charles Stewart, direttore del laboratorio di scienza dei dati elettorali del Massachusetts Institute of Technology, ha detto all’Abc che il voto fatto a distanza è generalmente più meditato e meno impulsivo, rispetto a quello che si fa ai seggi nell’ultimo giorno utile. Alcuni elettori hanno detto che così hanno una maggiore propensione a informarsi sui candidati.

La conseguenza è che i comizi elettorali non possono più essere organizzati avendo solo il 5 novembre in mente: ogni voto ha virtualmente lo stesso peso, anche se è stato espresso prima. In alcuni casi molto prima.

E questo è ancora più vero negli stati in bilico, dove probabilmente si deciderà il futuro presidente degli Stati Uniti. I due candidati lo hanno dovuto tenere a mente, aumentando virtualmente l’arco di tempo in cui è importante convincere gli ultimi indecisi.

© Riproduzione riservata