- Nella notte dopo la chiusura dei seggi è andato profilandosi un ritorno al potere di Netanyahu, il cui blocco politico supererebbe la soglia critica di 60 seggi su 120 alla Knesset, il parlamento israeliano.
- Lo scarto limitato fra il blocco di Netanyahu e il gruppo di partiti che escludono di sostenerlo come prossimo leader comporta una misura di incertezza fino al conteggio finale dei voti.
- Oltre alla tenuta politica di Netanyahu, colpisce il trionfo del partito di ultra-destra “Sionismo Religioso”, i cui leader hanno posizioni estremamente ostili nei confronti della compagine araba.
I tradizionali exit poll pubblicati al momento della chiusura dei seggi elettorali in Israele prevedono un ritorno al potere di Benjamin Netanyahu, leader del partito di opposizione di destra Likud e primo ministro per 15 degli ultimi 26 anni. I dati, ritoccati durante la notte sulla base dei conteggi preliminari, assegnano fra i 30 e i 32 seggi alla formazione di “Bibi”, incoronandola come prima forza politica.
A questi si aggiungerebbero gli altri voti del cosiddetto blocco di Netanyahu. Fra i 13 e i 15 parlamentari di Sionismo Religioso, la formazione di destra oltranzista ostile alla compagine araba che è la vera sorpresa di queste elezioni. E gli ultraortodossi, storicamente legati a “Bibi” Netanyahu, con i 10 deputati del partito sefardita Shas guidato dal pregiudicato Aryeh Deri e i 7 della formazione haredi ashkenazita Ebraismo della Torah Unito.
Lo scarto limitato fra il blocco di Netanyahu e il gruppo di partiti che escludono di sostenerlo come prossimo leader comporta una misura di incertezza fino al conteggio finale dei voti. Ma con questi numeri Netanyahu avrebbe il sostegno di più della metà della Knesset, il parlamento israeliano, cioè oltre 60 deputati su 120. Sotto la soglia critica invece il raggruppamento che fa capo a Yair Lapid, leader di Yesh Atid e attuale primo ministro.
La fine del “governo del cambiamento”
Andrebbe profilandosi dunque un ritorno al potere di Netanyahu dopo l’esperienza del “governo del cambiamento”, insediatosi lo scorso giugno e caduto soltanto un anno più tardi. E dopo una serie senza precedenti di 5 consultazioni elettorali in meno di 4 anni.
Un elemento che potrebbe sparigliare le carte, scippando Netanyahu della maggioranza, è se il partito nazionalista arabo Balad superasse la soglia di sbarramento del 3,25 per cento (al momento è previsto rimanga al di sotto di pochi voti). Uno sviluppo che potrebbe privare il blocco di Netanyahu del numero critico di deputati per formare una coalizione di governo, causando un ennesimo stallo elettorale.
I dati certi sono che Netanyahu rimane il leader più amato e divisivo del paese, capace di tenere alta l’affluenza elettorale (al 71,3 per cento, il dato più importante dal 2015) anche alla quinta consultazione consecutiva. E capace di resistere alla guida del suo partito malgrado sia proprio la polarizzazione attorno alla sua figura ad aver mandato il sistema politico israeliano in panne dalla primavera 2019 (la maggioranza dei partiti di destra sarebbe altrimenti solida, stimata oltre i 70 deputati).
Il trionfo del partito ultra-nazionalista
Il secondo dato, forse ancora più sorprendente, è il trionfo del partito ultra-nazionalista di Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir Sionismo Religioso. Entrambi nel corso della loro carriera hanno espresso sostegno per la deportazione dei cittadini arabi da Israele, e chiedono esercito e polizia possano agire liberamente reprimendo nel sangue qualsiasi espressione di protesta palestinese.
Ben Gvir, 46 anni, apparteneva al movimento oltranzista Kach di Meir Kahane, dichiarato terrorista sia in Israele che negli Stati Uniti di America. Fino a non molto tempo fa esponeva nel suo ufficio un ritratto di Baruch Goldstein, il terrorista ebreo israeliano che nel 1994 aprì il fuoco indiscriminatamente sui civili palestinesi in preghiera alla Tomba dei Patriarchi di Hebron, uccidendone 29, dichiarandolo un esempio per il suo bambino.
Lo scorso anno sempre Ben Gvir ha lamentato come David Ben Gurion, il fondatore dello stato, non avesse «finito il lavoro», espellendo tutti gli arabi nel 1948. Nel corso della campagna elettorale ha ripetutamente fatto sfoggio della sua arma privata minacciando cittadini arabi.
Nella serata di martedì era grande festa nella sede di Sionismo Religioso dove i sostenitori acclamavano Ben Gvir osannandolo addirittura come «prossimo primo ministro» e gridando in coro «morte ai terroristi». Lui riservava un benvenuto da eroe a Dov Lior, il rabbino estremista dell’insediamento di Hebron.
Il costo della vita
I sondaggi precedenti il voto segnalavano in realtà come più che il conflitto con i palestinesi, gli israeliani sono preoccupati del crescente costo della vita e di questioni sociali come la mancanza di soluzioni abitative accessibili alla classe media.
Questioni su cui si sono concentrati i partiti di sinistra Labor e Meretz, che si attesterebbero secondo gli exit poll a 5 e 4 seggi rispettivamente, cioè appena al di sopra della soglia di sbarramento. Risultati simili per Hadash-Taal, partito a maggioranza araba di Ayman Odeh e Ahmed Tibi, e Lista Araba Unita di Mansour Abbas.
Invece sarebbero 11 i seggi del partito di centro Unità Nazionale del ministro della Difesa Benny Gantz e del nemico giurato di Netanyahu Gideon Saar (ex Likud). E soltanto 5 per Israel Beitenu di Avigdor Lieberamn, il leader di destra laico che infatti veniva sbeffeggiato in serata nelle sedi dei partiti ultraortodossi con cori di «Lieberman a casa», «Fatti la valigia».
Sotto la soglia di sbarramento invece La Casa Ebraica di Ayelet Shaked, il partito dell’ex premier Naftali Bennett.
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