- Nella fitta agenda del tour europeo di Wang Yi trova posto, tra la sera del 16 febbraio e la mattina del 17, anche Roma, dove il capo della diplomazia cinese incontrerà il ministro degli Esteri Antonio Tajani e, successivamente, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
- Wang Yi cerca in Europa lo status che la Cina ha, dopo averlo faticosamente costruito, in parte perduto. Quale migliore occasione per riappropriarsi di questo status se non la conferenza di Monaco con annesse visite a Parigi e Roma?
- Di certo alla Cina interesserebbe separare Davos e Monaco, ossia evitare che i propri legami con i partner occidentali vengano problematizzati dalle preoccupazioni di sicurezza, foriere del temuto “decoupling”.
Nella fitta agenda del tour europeo di Wang Yi, direttore della commissione Affari esteri del partito comunista cinese (Pcc), trova posto, tra la sera del 16 febbraio e la mattina del 17, anche Roma, dove il capo della diplomazia cinese incontrerà il ministro degli Esteri Antonio Tajani e, successivamente, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
L’Italia è la tappa immediatamente precedente a Monaco, dove, tra il 17 e il 19, si terrà la celebre conferenza sulla sicurezza, giunta alla 59esima edizione, la prima, dopo anni, senza una delegazione russa, a cui mancherà anche Giorgia Meloni, affetta da un’influenza che la costringerà a rinunciare a diversi impegni.
Fare un passo oltre le “buone maniere” di Wang Yi e la retorica ufficiale, già sfoggiate con Emmanuel Macron, è necessario per comprendere il senso più profondo di un tour che vuole essere per la Cina un’occasione di rilancio dopo lo smacco di pandemia, proteste e palloni spia.
Quale status
Wang Yi cerca in Europa lo status che la Cina ha, dopo averlo faticosamente costruito, in parte perduto. La reputazione, valuta sociale fondamentale per una società confuciana e, su scala globale, per la proiezione internazionale di questa, è un elemento fondamentale della crescita cinese degli ultimi decenni, pilastro della Cina di Xi Jinping spesso oscurato da sorvoli “avventurosi” e nuove portaerei.
Il Pcc vuole che il mondo guardi alla Cina come a una «potenza responsabile» e a ribadirlo è stato Wang Yi durante il suo incontro con Emmanuel Macron: la Cina, «imparziale» sulla guerra, vuole cooperare con la comunità internazionale per «l’obiettivo comune della pace in Ucraina» e avere un ruolo costruttivo nel preservare la globalizzazione minacciata dalle spinte isolazioniste dalle quali, a sentire Wang, solo la Cina non è sfiorata.
Per essere tale la Cina ha bisogno di mostrarsi rispettosa, più di altri, dell’ordine internazionale e capace di creare proattivamente sicurezza e benessere. Ha bisogno di dimostrarsi diversa dagli Stati Uniti, tesi e reattivi, incapaci di gestire l’onta di un «pallone meteorologico» brutalmente abbattuto, e di evitare, quando si parla di Europa, il linguaggio della violenza che alimenta il conflitto «provocato» anche da un’Europa ancora troppo «dipendente» dall’alleato atlantico. Quale migliore occasione per riappropriarsi di questo status se non la conferenza di Monaco con annesse visite a Parigi e Roma?
Sicurezza globale e Bri
I frutti ancora acerbi della ricerca della reputazione giusta in un mondo più connesso, più stabile e più favorevole alla crescita che mai, sono la Belt and Road Initiative (Bri) e la Global Security Initiative (Gsi). La Cina, rispettivamente nel 2013 e nel 2022, ha lanciato le due iniziative globali per realizzare gli obiettivi di creare interconnessioni economiche “a lungo raggio” e rendere il mondo più sicuro «per tutti», realizzando l’ideale della «sicurezza indivisibile».
Della Bri Wang parlerà con Tajani e Mattarella, sperando di ottenere la partecipazione di Giorgia Meloni al terzo forum che riunisce i paesi parte del progetto, tra cui, dal 2019, l’Italia, propedeutica per l’auspicato rinnovo del memorandum d’intesa firmato da Giuseppe Conte nel suo primo mandato di governo e in scadenza a marzo 2024.
A complicare il rinnovo, due fattori: la linea di Meloni, atlantica oggi e anti-cinese già nel 2019, e il riallineamento atlantico di Roma, seguito alla caduta di Conte e al riempimento, complice l’invasione dell’Ucraina, del vuoto lasciato dalla presidenza di Donald Trump.
Della Gsi, invece, ben più immatura della Bri, Wang Yi potrebbe parlare a Monaco, se non direttamente almeno citandone i principi cardine. «Sicurezza indivisibile», appunto: il rispetto delle preoccupazioni di sicurezza di tutti (o meglio, di tutte le grandi potenze) e imperativo della stabilità, da costruire o più comodamente aspettare senza sbilanciarsi con pressioni per la pace su Vladimir Putin.
La “Davos per la difesa”
A Monaco non ci saranno emissari del presidente russo Vladimir Putin, mentre Wang Yi sarà osservato speciale. Non è ancora chiaro se ci sarà un incontro privato con Antony Blinken per dirimere la controversia dei palloni spia. Alla vicenda si somma anche la decisione cinese di sanzionare Lockheed Martin e una succursale di Raytheon Technologies per aver venduto armi a Taiwan.
Più probabile che Wang cerchi di promuovere l’idea di una Cina che protegge la globalizzazione e non cerca di ribaltare l’ordine globale, di cui a lungo e in tanti modi ha beneficiato. Di certo a Xi interesserebbe separare “Davos” da “Monaco”, ossia evitare che i propri legami con i partner occidentali vengano problematizzati dalle preoccupazioni di sicurezza, foriere del temuto “decoupling”. Che si tratti di palloni spia o memorandum da rinnovare, Wang a Roma e a Monaco cerca di “salvare la faccia” di una Cina che si apre al rilancio.
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