- Xi Jinping a Mosca da Putin per giocarsi la carta della “pace in Ucraina” grazie a un alleato sempre più debole e dipendente dalla Cina.
- La storia dei rapporti fra i due paesi si perde nella storia, ma ora le condizioni generali sono cambiate. Lo scambio di ruoli tra Pechino e Mosca si manifestò all’inizio degli anni Novanta, con il declino della Russia post-sovietica e l’ascesa della Repubblica popolare cinese.
- Dopo un anno di guerra la realtà è che Mosca non ha altra scelta che un legame sempre più stretto con Pechino, da cui ormai dipende, mentre la Cina può rafforzarsi grazie alla debolezza del quasi-alleato proponendosi come pacificatrice in Ucraina.
Xi Jinping ha iniziato lunedì la sua attesissima visita di stato a Mosca con un colloquio “informale” al Cremlino con Vladimir Putin, a cui seguirà una cena con lo stesso leader russo, che vedrà nuovamente martedì. I due presidenti intendono mandare un segnale forte a Washington: l’alleanza di fatto tra Cina e Russia è più solida che mai. Nonostante la guerra in Ucraina.
Xi ha lodato attraverso i media russi la partnership «non aggressiva e non diretta contro terze parti» che ha portato l’interscambio bilaterale a toccare l’anno scorso 190 miliardi di dollari (+116 per cento rispetto a un decennio prima). Secondo il presidente cinese, «se tutte le parti promuoveranno consultazioni paritarie, razionali e pragmatiche, troveremo sicuramente un modo ragionevole per risolvere la crisi in Ucraina».
Putin invece se l’è presa con la strategia statunitense «del doppio contenimento di Russia e Cina», che «nel tentativo di fermare qualsiasi paese che non si sottometta ai dettami statunitensi, sta diventando sempre più dilagante».
In attesa di conoscere la proposta cinese per una tregua in Ucraina, Pechino e Mosca hanno annunciato accordi di cooperazione economica con orizzonte il 2030 e intese in campo finanziario, energetico e di difesa che li legheranno sempre più l’una all’altra. Dunque la partnership “senza limiti” siglata a Pechino il 24 febbraio 2022 resiste alla prova di un conflitto che la Cina vorrebbe fermare, anche perché ostacola i suoi commerci.
Dallo zar a Stalin
Per capire perché bisogna ripercorrere l’evoluzione delle relazioni bilaterali, che risalgono al 1689, quando i due vicini firmarono il trattato di Nerčinsk. Lo zar Pietro il Grande pose fine alle continue violazioni dei confini cinesi da parte dei cosacchi e l’impero dei Qing (1644-1911) aprì all’importazione delle merci dal paese confinante. Le rispettive sfere d’influenza furono rispettate fino alla decadenza dell’ultima dinastia, quando i russi ne approfittarono per imporre il loro controllo sulla Manciuria, che però persero con la sconfitta nella guerra russo-giapponese nel 1905.
La fondazione nel 1921 del Partito comunista cinese su impulso della Terza internazionale (1919-1943) e la proclamazione della Repubblica popolare cinese il 1° ottobre 1949 accrebbero l’influenza di Mosca a Pechino. Fino alla rottura sino-sovietica del 1960, migliaia di ingegneri, tecnici e finanziamenti miliardari sovietici a tasso zero favorirono il primo sviluppo industriale della neonata Rpc.
Quello tra l’Unione Sovietica che guidava il campo socialista e un paese contadino uscito stremato dalla guerra civile contro i nazionalisti (1946-1946) e troppo eterodosso ideologicamente secondo gli standard dell’Urss (Mao aveva iniziato a “sinizzare” il marxismo fin dal 1938) era un rapporto decisamente asimmetrico.
Nella “scelta” di mandare a combattere contro gli americani nella Guerra di Corea (1950-1953) 800mila “volontari” cinesi (180mila dei quali non sarebbero mai tornati a casa) fu decisiva la volontà di Stalin, che la leadership cinese subì, come le conseguenze di quel conflitto, che determinarono l’isolamento internazionale della Rpc. Le divergenze ideologiche furono una delle ragioni della rottura del 1960. L’altra fu Taiwan: nella seconda crisi dello Stretto, nel 1958, i cinesi speravano nel sostegno militare sovietico, che per fortuna non arrivò.
Matrimonio di convenienza
Lo scambio di ruoli tra Pechino e Mosca si manifestò all’inizio degli anni Novanta, con il declino della Russia post-sovietica e l’ascesa della Repubblica popolare cinese, pronta a diventare la “fabbrica del mondo”, status ufficializzato con l’ingresso, nel 2001, nell’Organizzazione mondiale per il commercio. La Cina di Jiang Zemin e quella di Hu Jintao erano tuttavia ancora dipendenti dalla tecnologia russa per i loro armamenti, un’inferiorità ridottasi con Xi, che della riforma delle forze armate ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia.
Nell’èra Xi-Putin le rispettive economie sono diventate “complementari”: la Cina importa dalla Russia soprattutto materie prime energetiche, e vi esporta manufatti tra cui elettronica, macchinari, prodotti chimici e apparecchiature mediche. Scambi che ricalcano quelli che la Cina ha con i paesi meno sviluppati, come quelli africani. E, mentre la Cina può contare su forniture di energia ben diversificate, la guerra in Ucraina ha accresciuto significativamente la dipendenza economica di Mosca da Pechino, su cui ha dovuto dirottare le importazioni di gas e petrolio europee prosciugate dalle sanzioni.
Cina e Russia hanno sempre avuto un rapporto complesso, riassumibile come un “matrimonio di convenienza”. Nell’ultimo decennio, si sono avvicinate sempre di più perché hanno percepito negli Stati Uniti una crescente minaccia comune. Tuttavia, al di là della retorica a cui Xi e Putin faranno ricorso nelle 72 ore del loro quarantesimo incontro, dopo un anno di guerra la realtà è che Mosca non ha altra scelta che un legame sempre più stretto con Pechino, da cui ormai dipende, mentre la Cina può rafforzarsi grazie alla debolezza del quasi-alleato proponendosi come pacificatrice in Ucraina.
© Riproduzione riservata