Il Rosatellum favorisce le grandi coalizioni grazie al sistema dei collegi uninominali: un centrosinistra diviso rischia di aprire le porte a una super maggioranza guidata da Giorgia Meloni. Ma il taglio dei parlamentari aumenterà il potere di ricatto dei piccoli partiti
Con le dimissioni di Mario Draghi e l’intenzione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella di sciogliere subito le camere, il paese si avvia verso le elezioni anticipate in autunno.
Si voterà con il Rosatellum, la legge elettorale approvata allo scadere della scorsa legislatura, un sistema misto, proporzionale e uninominale, che crea un forte incentivo alla creazione di vaste coalizioni.
Per questa ragione, se il centrosinistra andrà diviso alle elezioni, il centrodestra potrebbe fare cappotto. Con i sondaggi che gli attribuiscono poco meno del 50 per cento dei voti, potrebbe conquistare quasi tutti i collegi uninominali, avvicinandosi persino alla soglia dei due terzi dei seggi: una super maggioranza che nessuna coalizione uscita dalle elezioni ha mai avuto nella storia della Repubblica.
Ma allo stesso tempo, il taglio dei parlamentari aumenterà le possibilità di ricatto dei piccoli partiti e renderà molto più minacciose le potenziali scissioni.
Rosatellum, le basi
«Il Rosatellum è costruito per favorire il bipolarismo – spiega Lorenzo Zamponi, ricercatore di sociologia alla Scuola normale superiore di Pisa – Fu messo in piedi dal Pd renziano, dopo la bocciatura dell’Italicum, proprio nel tentativo di favorire le due coalizioni di destra e centrosinistra ai danni del M5S».
Approvata alla fine di ottobre 2017, pochi mesi prima delle elezioni politiche, il Rosatellum è una legge elettorale che mette insieme il sistema proporzionale e maggioritario. La differenza tra i due sistemi è abbastanza semplice: in un proporzionale puro le scelte degli elettori si trasferiscono automaticamente nella distribuzione dei seggi in parlamento: un partito che ottiene il 30 per cento dei voti riceve circa il 30 per cento dei seggi.
“Circa” perché esistono quasi sempre dei correttivi. Il Rosatellum, ad esempio, prevede di non assegnare seggi ai partiti che ottengono meno del 3 per cento o alle coalizioni che ottengono meno del 10 per cento. La distribuzione dei seggi quindi non è perfettamente proporzionale.
In un sistema maggioritario, invece, i candidati si sfidano direttamente in ogni seggio e nei sistemi uninominali, come il Rosatellum, ogni lista presenta un solo candidato per collegio e quindi si verifica una situazione in cui il vincitore “prende tutto”. In questo modo non sempre c’è una correlazione tra quanti voti conquista un partito e il numero di seggi che ottiene.
Ad esempio, alle ultime elezioni nel Regno Unito, un paese con un sistema puramente maggioritario, i conservatori di Boris Johnson hanno ottenuto il 43 per cento dei voti, ma il 56 per cento dei seggi. Al contrario i liberali hanno ottenuto l’11 per cento dei voti, ma solo l’1,2 per cento dei seggi.
Con il Rosatellum, circa due terzi dei seggi (244 alla Camera e 122 al Senato, dopo il taglio dei parlamentari) sono assegnati con criteri proporzionali. I restanti (148 e 72) sono scelti in collegi uninominali (i 12 che mancano nelle due camere sono scelti nei collegi degli italiani all’estero).
Nel 2018, la prima e unica volta in cui in Italia si è votato con il Rosatellum, l’effetto potenzialmente distorsivo dei collegi uninominali non si è visto perché il numero sproporzionato di collegi vinti al nord dal centrodestra è stato compensato dai successi del Movimento 5 stelle al sud. Ma come aveva commentato all’epoca il politologo della Luiss Roberto D’Alimonto: «Non è detto che vada sempre così». Le prossime elezioni potrebbero esserne la dimostrazione.
Cappotto di centrodestra?
«Parliamo di una legge elettorale che favorisce il centrodestra e soprattutto indebolisce il Pd nel caso non ci sia più il cosiddetto “campo largo”. Le coalizioni divise vengono molto indebolite dal Rosatellum», spiega Giovanni Diamanti, fondatore della società di sondaggi e consulenza YouTrend e Quorum.
«Con questa legge elettorale permane l’incentivo a formare coalizione», concorda Stefano Ceccanti, senatore del Pd ed esperto di meccanismi elettorali. Ma questo incentivo, continua, «va misurato con vincoli politici». Ceccanti si riferisce all’uscita del Movimento 5 stelle dal governo, che ha reso molto complicata la possibilità di allearsi con il Pd. Secondo Ceccanti: «Il campo largo non sopravviverà a questo evento traumatico».
Ma questa situazione potrebbe avere un alto costo proprio per il Pd. «In fondo, la logica del “campo largo” proposta da Letta era figlia proprio del Rosatellum e dei suoi forti incentivi alle coalizioni – prosegue Zamponi – abbandonarla ora può avere ragioni politiche, ma inevitabilmente avrà costi elettorali».
Se queste ipotesi dovessero tradursi in realtà ne deriverebbe uno scenario molto favorevole per il centrodestra. Nelle simulazioni realizzate questa settimana da YouTrend sulla base degli ultimi sondaggi, con Pd e Movimento 5 stelle divisi il centrodestra farebbe il pieno di collegi uninominali poiché solo in pochissimi il centrosinistra diviso riuscirebbe a ottenere la maggioranza relativa.
In questo scenario, il centrodestra raccoglierebbe 116 seggi uninominali su 147 alla Camera e 59 su 74 al Senato. Con un totale di circa 240 seggi alla Camera e 122 al Senato, il centrodestra arriverebbe a pochi voti dalla maggioranza di due terzi. Uno scenario «improbabile», dice Diamanti, ma che al momento non è impossibile da escludere.
Alleanze alternative
La possibilità di alleanza tra Pd e Movimento 5 stelle non sono mai state così basse, ma la questione non è ancora decisa. E in ogni caso, la presenza dei collegi uninominali continua a generare un forte incentivo a creare coalizioni. Se non verso il Movimento, il Pd potrebbe quindi guardare verso il centro, ai raggruppamenti di Carlo Calenda, Matteo Renzi, dei transfughi di Forza Italia e al gruppo di Luigi Di Maio, Insieme per il futuro.
Anche se dotati di consenso non proprio stellare, alcuni di questi gruppi possono presentare candidature potenzialmente forti a livello territoriale, un asset prezioso nella conquista dei collegi uninominali.
«Se Insieme per il futuro farà, come gli attribuiscono i sondaggi, il 2-3 per cento non sarà un risultato omogeneo a livello nazionale – spiega Diamanti – e in alcune zone potrebbe essere di più». Discorso simile nella provincia di Firenze per quanto riguarda la possibile alleanza con Italia viva e Matteo Renzi.
E il taglio dei parlamentari?
L’ultima variabile da considerare nell’esame di questa legge elettorale è il taglio dei parlamentari. La riforma costituzionale ha ridotto i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200, ma dal punto di vista elettorale dovrebbe cambiare poco. «L’impatto sarà zero alla Camera – spiega Ceccanti – Mentre al Senato in alcune circoscrizioni piccole si determinerà una soglia di sbarramento un po’ più elevata, causando una sotto rappresentazione delle forze più piccole».
Ma c’è anche un secondo effetto indiretto, ma potenzialmente importante, ricorda Diamanti: con meno parlamentari le scissioni saranno più minacciose. «Il taglio dei parlamentari generalmente sfavorisce la creazione di una maggioranza netta – spiega – Avere in complesso meno parlamentari significa avere una differenza tra maggioranza e minoranza molto più ridotta con il risultato che piccole scissioni possono avere molto più peso».
Con le coalizioni ancora in via di formazione e il sistema politico in subbuglio è difficile prevedere cosa succederà tra un paio di mesi. Ma al momento, lo scenario di una robusta maggioranza di centrodestra, esposta però ad una potenziale caduta a causa del ritiro di una pattuglia di parlamentari, non è certo tra i più improbabili.
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