Per quanto tempo la società di Sam Altman può fronteggiare perdite miliardarie in attesa di un Sacro Graal che potrebbe anche non arrivare mai?
A prima vista, sembra andare tutto alla grande. OpenAi, la società produttrice di ChatGpt, ha da poco svelato il nuovo modello o1, che grazie alle sue abilità nel “ragionamento” (più precisamente, la capacità di suddividere un quesito in vari passaggi) è in grado di risolvere problemi di carattere scientifico che per i modelli precedenti erano irrisolvibili.
Se non bastasse, OpenAi ha appena raccolto altri 6,6 miliardi di dollari di finanziamenti (tra gli investitori spiccano Microsoft, di nuovo, Nvidia e Softbank) per una valutazione da 157 miliardi.
Altre buone notizie giungono sul fronte commerciale: nel corso del 2024, i ricavi di OpenAi dovrebbero raggiungere quota 4 miliardi di dollari (+150 per cento rispetto al 2023) e alcuni analisti pensano che questa cifra possa raddoppiare nel corso del 2025. Nel frattempo, gli utenti paganti (iscritti quindi alla versione premium di ChatGpt) sono arrivati a 11 milioni: una cifra ancora bassa rispetto ai circa 200 milioni complessivi di utenti, ma in significativa crescita.
Soprattutto – e forse sta qui il suo maggior valore – ChatGpt è ormai sinonimo di intelligenza artificiale generativa (un po’ come Google lo è per i motori di ricerca) e OpenAi è considerata la società con le migliori probabilità di raggiungere il fantascientifico Sacro Graal della tecnologia: la AGI, l’intelligenza artificiale generale in grado, per dirla con il filosofo Nick Bostrom, di “superare di molto le migliori attuali menti umane in molteplici ambiti cognitivi”.
Nonostante tutto ciò, ci sono diverse ragioni per sospettare che nubi minacciose si stiano addensando sul futuro di OpenAi. Prima di tutto, la prospettiva di raggiungere quattro miliardi di dollari di ricavi appare molto meno rosea se si considera che – secondo le stime della prestigiosa testata The Information – sempre nel corso del 2024 le spese di OpenAi potrebbero raggiungere quota nove miliardi di dollari, con perdite quindi pari a cinque miliardi.
Peggio ancora, OpenAi potrebbe essere costretta a bruciare quantità simili di denaro a tempo indefinito. A differenza di quanto avviene in altri ambiti del mondo digitale (come i social network o l’ecommerce), l’intelligenza artificiale generativa soffre infatti di un problema di scalabilità: vale a dire che i costi di gestione aumentano significativamente all’aumentare degli utenti.
Le spese che crescono
Per quanto non ci siano dati ufficiali, si stima che agli inizi del 2023 OpenAi spendesse circa 700mila dollari al giorno per far funzionare ChatGpt (circa 235 milioni di dollari all’anno). Nei mesi successivi – a causa della crescita degli utenti e dei nuovi modelli, sempre più onerosi da un punto di vista computazionale – questa spesa è inevitabilmente cresciuta. Come ha scritto l’analista Martin Peers nella sua newsletter, «la gestione del nuovo modello o1 è probabilmente molto più costosa dei modelli precedenti, perché prevede un ragionamento complesso ogni singola volta che un utente pone una domanda».
Ma non sono soltanto le spese relative alla gestione di ChatGpt a crescere costantemente nel tempo. Una delle voci di spesa più allarmanti per gli investitori –almeno per quelli che sperano di vedere un ritorno economico in tempi ragionevoli – riguarda la crescita esponenziale dei costi per l’addestramento dei vari modelli linguistici sviluppati da OpenAi. Se per addestrare GPT-3 (che alimentava la prima versione di ChatGpt) sono stati spesi 5 milioni di dollari, lo stesso Sam Altman ha ammesso che per addestrare la versione successiva sono stati invece necessari oltre 100 milioni di dollari.
La situazione non è destinata a migliorare: secondo Dario Amodei, Ceo di Anthropic (altra società di intelligenza artificiale dalle finanze traballanti), a breve potrebbe essere necessario spendere un miliardo di dollari per l’addestramento di algoritmi di intelligenza artificiale generativa sempre più grandi e potenti, con la prospettiva – sempre secondo Amodei – di arrivare all’impressionante costo di 100 miliardi di dollari entro la fine del decennio.
Quanto può durare
Non è necessario che si avverino queste funeste previsioni per mettere in dubbio il modello di business dell’intelligenza artificiale generativa, che a fronte di spese stratosferiche rischia, per il tempo a venire, di restare uno strumento utilizzato soltanto da alcune nicchie di professionisti, senza mai raggiungere i miliardi di utenti che quotidianamente usano social network, motori di ricerca, streaming, ecc.
Per quanti anni OpenAi può continuare a operare in perdita, considerando che – comprendendo quest’ultimo round – ha già raccolto oltre 20 miliardi di dollari di finanziamenti e dovrà sicuramente raccoglierne ancora in futuro?
Per mettere questi 20 miliardi in prospettiva, basta segnalare che un colosso per molti anni in perdita come Amazon ha dovuto raccogliere otto miliardi di dollari prima di raggiungere la profittabilità. Sono pochissime le startup che hanno dovuto raccogliere cifre simili a quelle di OpenAi. Tra queste, spiccano nomi tutt’altro che incoraggianti: WeWork ha raccolto 22 miliardi di dollari prima di (sostanzialmente) fallire, mentre Uber ha dovuto spendere tutti i 25 miliardi raccolti in 28 round di finanziamenti per riuscire a conquistare, l’anno passato, i suoi primi guadagni.
Come ha scritto Ed Zitron, autore del podcast Better Offline, «OpenAi sembra star seguendo il classico modello monopolistico della Silicon Valley, che prevede di conquistare quanti più utenti possibile e soltanto dopo capire come diventare redditizia. Per fare ciò, sta però sfruttando una tecnologia incredibilmente costosa da operare».
Per realizzare questo modello monopolistico, OpenAi deve comunque fare prima piazza pulita della concorrenza. Non sarà un’impresa facile: per quanto OpenAi sia oggi la società leader, tra i suoi concorrenti ci sono colossi come Google o Meta (che possono finanziarsi senza difficoltà per tempi molto più lunghi) e startup come la già citata Anthropic, la francese Mistral e numerose altre. Un panorama affollato che sta già spingendo i prezzi per gli utenti al ribasso, complicando ulteriormente la situazione.
Un futuro incerto
Forse OpenAi troverà il modo di superare tutte queste difficoltà. Forse nel giro di qualche anno conquisterà davvero l’intelligenza artificiale generale, cambierà il mondo e si trasformerà in una macchina da soldi come Google, Amazon o Apple. Non è però affatto detto che le cose vadano così: fino a oggi, la narrazione dell’imminente avvento di una potentissima intelligenza artificiale è sembrata aver soprattutto lo scopo di convincere gli investitori a tenere i rubinetti aperti.
È addirittura un una realtà come Goldman Sachs, solitamente molto ottimista sulle prospettive delle nuove tecnologie, a sollevare dubbi sulla sostenibilità economica di questi sistemi, al punto da intitolare il suo ultimo report sul tema Ai generativa: troppi costi per troppi pochi benefici?. Le stesse domande vengono poste anche in una recente analisi pubblicata sul sito di Sequoia Capital (uno dei più importanti fondi d’investimento al mondo), che sottolinea come il valore aggiunto dell’intelligenza artificiale generativa sia per il momento troppo ridotto per convincere un numero sufficiente di utenti a pagare per le versioni premium.
Tutto ciò non vale ovviamente soltanto per OpenAi, ma anche per le sue concorrenti: Anthropic potrebbe perdere 2,7 miliardi di dollari nel 2024 e deve inoltre condividere i suoi guadagni con Amazon (nello stesso modo in cui OpenAi deve cedere il 75 per cento dei ricavi a Microsoft finché quest’ultima non avrà recuperato il suo investimento). StabilityAi è invece già sull’orlo del baratro e InflectionAi, rimasta senza soldi, è stata di fatto assorbita dalla solita Microsoft.
Come già avvenuto con quest’ultima, anche OpenAi potrebbe avere la sua ancora di salvezza in Microsoft, che è il principale investitore della società di Sam Altman e il licenziatario in esclusiva dei suoi prodotti. Per molti versi, Microsoft già possiede OpenAi e potrebbe magari decidere, in caso di necessità, di acquistarla ufficialmente. Il problema, però, è sempre lo stesso: se l’intelligenza artificiale diventa sempre più costosa e fatica a mantenere le promesse, perché Microsoft dovrebbe farsi carico di OpenAi?
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