Con il più grande debito pubblico europeo, il nostro paese si trova in condizioni critiche in vista della manovra di bilancio. Aggravate, per giunta, dagli errori commessi da Meloni nelle sedi europee, fra giungo e luglio e per la verità anche prima (quando ha negoziato il nuovo patto di stabilità).

Sarà quindi molto difficile, se non impossibile, negoziare con l’Europa margini di azione nazionali. Oltretutto, per l’attitudine del nostro governo e le decisioni errate di questi anni (fra cui il cattivo utilizzo del Pnrr, i cui piani sono stati criticati dal ministro Giancarlo Giorgetti, che li ha paragonati alla «pianificazione sovietica»), l’Italia rappresenta anche il maggiore ostacolo all’attivazione della seconda gamba fondamentale della politica economica, di grande aiuto per noi: il debito europeo. 

L’Italia dovrà quindi fare affidamento solo sulle sue forze. In un contesto ostile sia per ragioni oggettive (l’elevata dimensione del debito che ci rende fragili e blocca scandalose quantità di risorse per pagare gli interessi, come ben ricordato dal governatore della Banca d’Italia), sia per motivi soggettivi (la natura di un governo nazionalista di destra e le sue, conseguenti, scelte e posture).

Quel che è peggio, è che il governo affronta una situazione così critica senza nessuna idea di quel che serva davvero al paese, alla nostra economia: punta in sostanza al piccolo cabotaggio, tanto che i 25 o 30 miliardi della manovra dovrebbero andare quasi esclusivamente a rinnovare la copertura di misure che sono già in vigore e consistono, in sostanza, in qualche alleggerimento delle tasse (su tutte lo sgravio del cuneo fiscale o l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef).

Non vi è una proposta su come affrontare il problema del declinante potere d’acquisto delle famiglie, che non ha pari in nessun altro paese europeo; né su come rilanciare gli investimenti pubblici in settori cruciali – amministrazione, infrastrutture, istruzione, ricerca – innanzitutto per la nostra economia; né su come salvaguardare servizi sociali (la sanità pubblica in primis) da cui dipendono diritti fondamentali dei cittadini e la qualità della vita in particolare della classe media e dei ceti più svantaggiati; né su come promuovere politiche industriali che ci consentano di affrontare le grandi sfide che hanno oggi davanti i paesi avanzati, su tutte la conversione ecologica.

Casse vuote

Del resto, se anche ci fossero le idee o le intenzioni, a che servirebbero? Mancano i soldi. E il governo non vuole né è in grado di mettere in campo l’unica seria operazione che si può fare in questi casi, come alternativa al nuovo debito: la redistribuzione fiscale, aumentando le imposte sulle rendite (che verrebbero così scoraggiate) e sulle grandi ricchezze, o abbattendo l’evasione che presumibilmente (stando ai margini dichiarati) è ancora molto forte fra gli autonomi.

Interventi di questo tipo sono del tutto estranei all’orizzonte di questa maggioranza (ma è quello di cui l’Italia ha bisogno non solo per essere un paese più giusto e innovativo, ma anche più credibili agli occhi dei nostri partner).

Anzi, il governo con le sue misure ha favorito questo stato di cose: la flat tax per chi dichiara meno di 85mila euro (nel 2023 confermata ed estesa, innalzando la soglia), oltre a creare enormi ingiustizie a danno dei lavoratori dipendenti incentiva proprio l’evasione degli autonomi. Andrebbe sostituita con una normativa fiscale, fortemente progressiva a vantaggio dei redditi medi e bassi, che tratti allo stesso modo autonomi e dipendenti.

Ma anche in altri campi, in verità, le poche idee che il governo ha sono sbagliate.

La discussione sullo ius soli ha evidenziato come l’approccio xenofobo e vessatorio della componente più forte di questa maggioranza sia nocivo anche per la crescita economica, oltre che per la dignità delle persone e per la stessa sicurezza dei cittadini.

Il corporativismo diffuso, dal terziario all’agricoltura, l’oscurantismo addirittura sulle frontiere più interessanti della ricerca scientifica (la carne coltivata), il trattamento di favore riservato alla piccola dimensione contribuiscono a mantenere il nostro paese ingessato e ancorato a produzioni e metodi ormai fuori tempo.

E per la verità fanno perdere anche risorse nell’immediato: eliminando gli incentivi di cui godono oggi gli allevamenti intensivi e altre produzioni ambientalmente dannose si recupererebbero decine di miliardi (e quanto si potrebbe recuperare mettendo a gara le concessioni balneari?).

Sono solo alcuni esempi di quello che si potrebbe fare. Ma per tradurli in realtà c’è bisogno di un’altra visione, di un’altra maggioranza, di un altro governo.

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