- La crisi climatica sta esasperando numerose problematiche contro cui la sanità combatte da tempo. A oltre duemila anni dalla sua nascita, la medicina è chiamata a riconsiderare i suoi strumenti
- Il numero di vittime del cambiamento climatico – stimato intorno ai cinque milioni all’anno – è destinato ad aumentare di 250mila unità ogni anno da qui al 2030
- È importante promuovere un approccio interdisciplinare alla crisi sanitaria. I nuovi “medici climatici” sono chiamati a ripensare l’importanza dell’ambiente nella tutela della salute dei propri pazienti
L’idea che ambiente e salute siano correlati nasce con la medicina. Fu Ippocrate il primo a parlarne. Nella sua opera Arie, acque, luoghi, il padre della scienza medica sottolinea l’importanza di conoscere l’ambiente di vita dei pazienti: le malattie si trasmettono prevalentemente attraverso l’aria e il buon dottore dovrà pertanto formulare diagnosi ed elaborare terapie tenendo conto dei fattori ambientali.
Nei secoli, la medicina ha riconosciuto l’importanza dell’ambiente nella patogenesi delle malattie ma oggi, a oltre duemila anni dalla sua nascita, è chiamata a riconsiderare i suoi strumenti in funzione di una delle più grandi minacce esistenziali della storia dell’uomo. La crisi climatica sta infatti esasperando numerose problematiche contro cui la sanità combatte da tempo.
Fattori di rischio
In uno studio condotto nel 2021, l’Organizzazione mondiale della sanità ha fatto il punto su tutte le manifestazioni del cambiamento climatico che l’Europa avrebbe dovuto affrontare sul piano sanitario negli anni a venire.
Tra gli effetti più pericolosi per la salute, quelli legati all’aumento delle temperature, che coinvolgerebbero specialmente la popolazione più anziana. Secondo il Global Report del Lancet Countdown, i decessi di over 65 causati dal caldo sarebbero aumentati del 68 percento rispetto ai primi anni duemila.
Nello studio, l’Oms menziona anche l’aumento di fenomeni catastrofici e in particolare delle inondazioni, direttamente responsabili di danni alla popolazione e alle risorse e possibili veicoli di trasmissione di forme infettive come, per esempio, il colera. Da non trascurare anche gli alti livelli di inquinamento, coinvolti nell’insorgenza di numerose patologie a carico degli apparati respiratorio e cardiocircolatorio, e i pericoli portati dall’allungamento delle stagioni dei pollini.
Segnalata, infine, la maggiore circolazione di virus e batteri. Secondo l’ultimo bollettino dell’Istituto Superiore di sanità, quest’anno, in Italia, sono state circa 600 le infezioni da febbre del Nilo: numeri preoccupanti se confrontati con le poche decine di casi segnalati nel 2021. Questo improvviso aumento nelle infezioni sarebbe da ricondursi alle massicce migrazioni di zanzare – principale veicolo di trasmissione della malattia – che, nei mesi estivi, hanno investito il nostro paese a causa dell’innalzamento delle temperature. Il caso della febbre del Nilo, come molte altre infezioni trasmesse da vettori artropodi, è un importante specchio di come il riscaldamento globale stia assumendo sempre più le proporzioni di un’emergenza sanitaria.
La tenuta del sistema sanitario
Basti pensare che il numero di vittime del cambiamento climatico – che Lancet stima essere intorno ai cinque milioni all’anno – è destinato, stando ai calcoli Oms, ad aumentare di 250mila unità ogni anno da qui al 2030. L’emergenza umanitaria si ripercuoterà anche sul piano economico: entro i prossimi dieci anni, i costi dei soli danni diretti alla salute causati dal cambiamento climatico potrebbero toccare cifre comprese tra i due e i quattro miliardi di dollari.
In un contesto così critico e complesso, il nostro sistema sanitario, già duramente provato dagli ultimi anni di pandemia, sarà chiamato a proporre nuove soluzioni per adattarsi a queste problematiche. Alcuni passi sono già stati mossi dall’Oms, che ha individuato una serie di linee guida cui attenersi per il futuro; a partire dal potenziamento dell’organico dei sistemi sanitari. Secondo Fimmg e Anaao, nei prossimi anni il numero di nuovi medici assunti non sarà sufficiente a garantire il ricambio generazionale e, di conseguenza, il numero di dottori sarà destinato a diminuire. Le stime prevedono che, entro il 2028, la penuria raggiungerà quota 80mila posti vacanti.
La medicina climatica
Ma è anche importante promuovere un approccio interdisciplinare alla crisi sanitaria. In America, alcuni tentativi sono già stati fatti: un gruppo di ricercatori dell’Università della California ha posto le basi per l’istituzione di un corso di laurea che, alle conoscenze mediche, accosti uno studio approfondito del riscaldamento globale e dei suoi effetti sull’ambiente, sulla salute delle persone e sul sistema sanitario americano.
I nuovi “medici climatici” sapranno trattare un malato psichiatrico con la consapevolezza dell’azione esercitata dagli psicofarmaci sulla regolazione della temperatura corporea, conosceranno approfonditamente le malattie trasmesse dalla fauna locale o quelle associate a catastrofi climatiche come le inondazioni, e sapranno minimizzare l’impatto del sistema sanitario limitando l’impiego di strumenti diagnostici particolarmente inquinanti.
Questi sono solo alcuni degli aspetti su cui la scienza medica dovrà riflettere per adattare il suo operato al contesto storico corrente. La lezione di Ippocrate ne esce dunque rinnovata: ripensare l’importanza dell’ambiente nella tutela della salute dei pazienti costituirà una nuova sfida per il futuro della medicina.
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