La scoperta di Lucy, esattamente 50 anni fa, un fossile di Australopithecus afarensis risalente a 3,2 milioni di anni or sono, ha trasformato senza dubbio, la comprensione dell’evoluzione umana. Tuttavia negli ultimi decenni sono emerse ulteriori importanti scoperte che ampliano ancor più la nostra visione della preistoria, tale da renderla molto più complessa di quel che ci si aspettava.

Ad esempio abbiamo appreso molto sui predecessori di Lucy e sui suoi contemporanei, dimostrando che per gran parte della preistoria sulla Terra esistevano più specie di ominidi che coesistevano. La scoperta di ominidi che vivevano contemporaneamente a Lucy, inclusi nuovi fossili trovati da uno degli autori della scoperta di Lucy, Haile-Selassie, ha reso evidente la complessità dell’evoluzione umana. Non esisteva cioè, una sola specie che evolveva in un’altra, come si pensava fino ad allora, ma ce n’erano tante che vivevano contemporaneamente, e da queste se ne evolvevano altrettante o quasi.

La storia

Ma vediamo come andarono effettivamente le cose. Negli anni Settanta, i fossili di ominidi più antichi conosciuti avevano circa 2,5 milioni di anni e appartenevano alla specie Australopithecus africanus, scoperta in Sudafrica. Questo fossile rappresentava l’unico antenato umano conosciuto abbastanza antico da essere considerato anteriore a specie successive, dai robusti australopitechi (con potenti mascelle e denti grandi) al genere Homo (forme più gracili e delicate).

Ma qualche dubbio già allora sussisteva, anche perché i paleontologi non avevano ancora trovato fossili sufficientemente completi risalenti a più di tre milioni di anni fa per capire la reale origine degli ominidi.

Nel 1972, Donald Johanson si recò in Etiopia con il geologo Maurice Taieb alla ricerca di fossili più antichi. Taieb indicò la regione di Afar, ricca di fossili di animali risalenti a oltre tre milioni di anni fa, come un possibile luogo di ricerca di fossili di ominidi. Il sito di Hadar, in particolare, risultava promettente per la sua abbondanza di fossili di mammiferi.

Nel 1973, Johanson trovò un ginocchio di ominide di 3,4 milioni di anni, suggerendo che gli ominidi camminassero eretti molto prima di quanto ipotizzato. Tuttavia, per una comprensione completa erano necessari resti cranici e dentali, che furono ritrovati solo l’anno successivo con la scoperta di Lucy. Il 24 novembre 1974, Johanson lavorava a una campagna paleontologica alla ricerca di fossili di antenati umani con il suo giovane collega Tom Gray. Con gli occhi puntati sul terreno, quasi a scandagliarlo metro per metro, a un certo punto individuò un pezzo di gomito con anatomia simile a quella umana. Guardando poco lontano, vide altri frammenti di osso che luccicavano al sole di mezzogiorno.

Nelle settimane, nei mesi e negli anni successivi, mentre il team della spedizione lavorava per recuperare e analizzare tutte le antiche ossa che emergevano da quella collina, divenne chiaro che Johanson aveva trovato uno straordinario scheletro parziale di un antenato umano vissuto circa 3,2 milioni di anni fa. Ai reperti fu assegnata una nuova specie, Australopithecus afarensis, e le fu dato il numero di riferimento AL288-1, che sta per località Afar 288”, il luogo in cui fu trovata lei, il primo fossile di ominide.

Ma, per la maggior parte delle persone, è conosciuta semplicemente con il suo soprannome, Lucy. Questo nome le fu dato, prendendolo dalla canzone dei Beatles Lucy in the Sky with Diamonds, che suonava sul mangianastri al campo mentre la squadra festeggiava. Lucy rappresentava uno scheletro parziale straordinariamente ben conservato: 47 ossa, pari al 40 per cento del totale, inclusi frammenti di cranio, denti, braccia, gambe, bacino e costole.

La scoperta fu un evento epocale per la paleoantropologia. Lucy era alta circa un metro e pesava 30-35 chilogrammi. Le sue caratteristiche anatomiche rivelarono che camminava eretta, con un’andatura molto simile a quella umana moderna, confermando l’ipotesi che tale postura si fosse evoluta prima dello sviluppo di grandi cervelli. Il dibattito su come camminasse Lucy fu risolto nel 1978, quando furono scoperte impronte di ominidi a Laetoli, in Tanzania, risalenti a 3,7 milioni di anni fa.

Le impronte dimostravano chiaramente che gli ominidi camminavano eretti e con un’andatura simile alla nostra, e, considerando che a Laetoli erano stati trovati fossili simili a quelli di Hadar, si concluse che anche Lucy camminava come noi.

Nonostante Lucy fosse una rappresentante del genere Australopithecus, mostrava alcune caratteristiche che suggerivano una condizione più primitiva. Il suo cervello era piccolo (388 cm³), paragonabile a quello degli scimpanzé, e alcune caratteristiche dentali, come il primo premolare inferiore, ricordavano quelle delle scimmie.

Tuttavia, altre parti del suo corpo indicavano che, nonostante queste caratteristiche ancestrali, Lucy era una delle prime specie a camminare in modo eretto, confermando l’evoluzione della bipedalità prima dell’espansione cerebrale. Nel 1978, Johanson e il suo team confermarono, attraverso uno studio comparativo, che i fossili di Hadar e Laetoli appartenevano a una nuova specie di ominide, chiamata Australopithecus afarensis.

Questa specie sembrava occupare una posizione cruciale nell’albero evolutivo, sostituendo Australopithecus africanus come probabile antenato comune di ominidi successivi. L’ipotesi incontrò resistenze all’interno della comunità scientifica, che richiedeva ulteriori prove fossili per testare questa nuova idea.

Le scoperte successive

La scoperta di ulteriori fossili negli anni successivi ha fornito prove a sostegno dell’ipotesi che Australopithecus afarensis fosse l’antenato di altre specie di ominidi. Quando Australopithecus afarensis fu identificato nel 1978, fu considerato il più antico antenato umano, con un’età compresa tra 3,8 e 3,0 milioni di anni.

Tuttavia, nuove scoperte negli anni Novanta hanno portato alla scoperta di specie ancora più antiche, come Ardipithecus ramidus (4,4 milioni di anni) e Australopithecus anamensis (4,3-3,8 milioni di anni), mostrando che Australopithecus afarensis non era il più antico, ma un discendente di Australopithecus anamensis. Ricerche più recenti hanno anche rivelato che Australopithecus afarensis non era l’unica specie di ominide del suo tempo.

Fossili trovati in Ciad, Kenya ed Etiopia hanno mostrato che la coesistenza di diverse specie era più comune di quanto si pensasse, sfidando l’idea che esistesse solo una specie per volta. Per esempio, nel 1995, è stato scoperto Australopithecus bahrelghazali, contemporaneo di Australopithecus afarensis, mentre nel 2001 è stato scoperto Kenyanthropus platyops (3,5 milioni di anni fa), con una possibile relazione con il genere Homo. Scoperte a Woranso-Mille in Etiopia hanno dimostrato una maggiore varietà di ominidi, come un piede di 3,4 milioni di anni fa con un alluce divergente, che indicava una specie diversa da Australopithecus afarensis.

Inoltre, la specie Australopithecus deyiremeda, scoperta nel 2015, era contemporanea a Australopithecus afarensis. Questa convivenza suggerisce che le diverse specie potrebbero aver occupato nicchie ecologiche differenti pur avendo vissuto contemporaneamente. Nonostante queste scoperte, Australopithecus afarensis rimane il principale candidato come antenato del genere Homo, grazie al gran numero di fossili disponibili, anche se future scoperte potrebbero cambiare questa visione.

Nel mezzo secolo dalla scoperta di Lucy, la paleoantropologia ha compiuto notevoli progressi, confermando il ruolo di Australopithecus afarensis come un importante punto di snodo nell’evoluzione umana. I nuovi fossili trovati hanno fornito una visione più completa e dettagliata della diversità degli ominidi che coesistevano milioni di anni fa, arricchendo la nostra comprensione delle origini della nostra specie.

Lucy rimane un simbolo cruciale in questo viaggio scientifico, un testimone diretto dell’evoluzione che ci ha portati a camminare su due gambe e, infine, a sviluppare grandi cervelli.

La foresta indigena

La foresta di Nyekweri, vicino alla riserva del Masai Mara, è un santuario per elefanti e specie rare, ma da tempo è minacciata dalla deforestazione. Originariamente estesa per 500 km quadrati, oltre il 50 per cento è stato abbattuto negli ultimi 20 anni, con molte comunità locali che producono illegalmente carbone attraverso le carbonaie, per avere piccoli guadagni per la loro sopravvivenza.

La privatizzazione dei terreni, che erano prima gestiti comunitariamente, ha portato a ulteriori disboscamenti per l’agricoltura e l’allevamento. Il conflitto tra elefanti e persone è aumentato, e ha portato addirittura a decessi di persone.

La mancanza di riconoscimento governativo ha facilitato la suddivisione della foresta, mentre la cattiva gestione e la corruzione hanno accelerato la sua scomparsa.

Nyekweri è essenziale per l’ecosistema Mara, regolando le acque e prevenendo inondazioni, ma ha ricevuto poca attenzione a livello nazionale. Nel 2021 sono state create nuove riserve per promuovere la conservazione, ma mancano fondi e incentivi per i proprietari terrieri.

La sfiducia nei confronti del governo, dovuta a decenni di corruzione e il minore ritorno economico dalla conservazione rispetto all’agricoltura ostacolano la partecipazione. La perdita di Nyekweri comporterebbe gravi danni ambientali e culturali per la comunità Maasai.

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