Le madri lavoratrici che hanno almeno due figli e un contratto di lavoro a termine o un rapporto di lavoro domestico quest’anno hanno continuato a pagare i propri contributi, a differenza di tutte le altre lavoratrici. Queste ultime hanno beneficiato dell’abolizione della quota contributiva a carico della dipendente prevista dalla finanziaria 2024, che dovrebbe essere riconfermata anche nel 2025. Ma per il tribunale di Milano si tratta di una misura anticostituzionale
Le madri lavoratrici che hanno almeno due figli e un contratto di lavoro a termine o un rapporto di lavoro domestico quest’anno hanno continuato a pagare i propri contributi, a differenza di tutte le altre lavoratrici.
Queste ultime hanno beneficiato dell’abolizione della quota contributiva a carico della dipendente prevista dalla legge finanziaria del 2024, che dovrebbe essere riconfermata anche nel 2025. Ma per il tribunale di Milano si tratta di una misura che non rispetta la Costituzione perché discriminatoria e responsabile di penalizzare soprattutto le donne straniere.
La misura del governo esclude tuttora dall’incentivo categorie specifiche di lavoratrici con figli, che da gennaio hanno percepito uno stipendio inferiore in busta paga rispetto a donne con contratti di lavoro più stabili.
Per il giudice Franco Caroleo questa esclusione è contraria all’articolo 3 della Carta, che riconosce pari dignità sociale a tutti i cittadini, e all’articolo 31, secondo cui la repubblica italiana agevola anche con misure economiche la formazione della famiglia, con particolare riguardo a quelle più numerose.
Contro la Carta
Nell’ordinanza viene ritenuto «irragionevole negare il beneficio alle lavoratrici con retribuzioni più basse, che sono normalmente quelle con contratto a termine e quelle con rapporto di lavoro domestico». Non solo, l’esclusione secondo il tribunale contrasta anche con la direttiva europea che vieta disparità di trattamento tra lavoratori a termine e lavoratori a tempo indeterminato. Inoltre la misura viene ritenuta «indirettamente discriminatoria nei confronti delle lavoratrici straniere che, molto più spesso delle lavoratrici italiane, sono presenti nel mercato del lavoro con rapporti a termine o di lavoro domestico».
A contestare la misura sono state l’associazione Avvocati per niente, l’Associazione degli studi giuridici sull’immigrazione e tre lavoratrici madri con contratto a termine, due delle quali sono insegnanti supplenti. Una di loro è venuta a sapere di essere esclusa dall’incentivo a scuola: «Sono madre di due bambine e per il quarto anno di seguito lavoro come insegnante precaria. Una mia collega incinta del secondo figlio, ma assunta regolarmente, poteva richiedere l’incentivo, io no».
Per l’avvocato Alberto Guariso: «La causa è nata dalle associazioni che tutelano i lavoratori stranieri ma in realtà riguarda tutte le mamme lavoratrici, tanto è vero che le ricorrenti sono italiane».
La manovra
La legge di Bilancio per il 2025, riferisce Asgi, dovrebbe prevedere ancora l’esenzione per le lavoratrici della quota contributiva del 9,2 per cento a carico delle dipendenti, ma per il prossimo anno a essere escluse dovrebbero essere le donne lavoratrici con contratti a termine che hanno almeno tre figli, uno in più rispetto a quanto previsto per l’anno in corso.
«In un momento in cui si parla molto di lavoro povero – prosegue l’avvocato Guariso – è davvero illogico fare una norma di sostegno alle lavoratrici ed escludere proprio le mamme con retribuzioni più basse, che sono quelle con contratto a termine e con contratti di lavoro domestico che sono in gran parte straniere. Speriamo che il parlamento, che proprio in questi giorni sta discutendo la proroga della misura, rifletta sulle motivazioni scritte dal giudice».
Durante il processo, l’Istituto nazionale della previdenza sociale ha confermato che le lavoratrici a tempo determinato e le lavoratrici domestiche sono escluse dal beneficio previsto dalla misura in corso. Tuttavia l’Inps sostiene che la misura prevista dalle legge di Bilancio 2024 non crei alcuna disparità, dal momento che non ha né finalità di incentivo alla maternità né finalità di incentivo alla partecipazione femminile al lavoro generico, ma piuttosto di un incentivo al lavoro stabile.
Contratti a termine
Secondo gli ultimi dati Istat disponibili, i contratti a termine in Italia incidono molto di più sulle donne che sugli uomini. Se i rapporti a termine e stagionali sono il 26,8 per cento del totale nazionale, i lavoratori stranieri con lo stesso tipo di contratto sono circa il 10 per cento in più dei loro colleghi con cittadinanza italiana, pur essendo molti di meno.
Le percentuali provengono dal report pubblicato nel 2023 dal ministero del Lavoro che analizza la situazione degli stranieri nel mercato del lavoro in Italia. Se poi si allarga lo sguardo all’Europa, il divario persiste. Le donne che fanno lavori a tempo determinato rappresentano la quota più alta tra tutti i lavoratori considerati, il 21 per cento, rispetto al 13 per cento delle donne nate nello stesso paese europeo in cui lavorano con contratti a termine, dice il rapporto Eurostat 2022.
Le donne di origine straniera in Italia e non solo, secondo diversi studi, sono da tempo ingabbiate in ambiti e ruoli occupazionali precari e rigidamente predeterminati. Questi riducono le loro opportunità occupazionali influenzando negativamente la qualità della loro vita. Le lavoratrici madri, al contempo, tendono a lavorare meno e ad avere poche garanzie professionali. Chi di loro lavora nel precariato è ancora più vulnerabile.
Ora le associazioni e le donne che hanno presentato il ricorso al tribunale di Milano attendono l’udienza alla Corte costituzionale. Se la misura verrà dichiarata incostituzionale, le lavoratrici a termine e le lavoratrici domestiche dovranno avere indietro i soldi versati quest’anno all’Inps.
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