Il 56 per cento degli intervistati, si arriva al 60 tra le donne, afferma che la mancanza di tempo lo stressa. Nel corso degli ultimi lustri si è intensificato il fenomeno della “Cronopenìa”: la sensazione di carenza continua di tempo, percepita come una forma di povertà o privazione
Il tempo, diceva Teofrasto il filosofo greco succeduto ad Aristotele nella direzione del Peripato, è la «cosa più preziosa che un uomo possa spendere». E il tempo è divenuto una delle penurie della contemporaneità. Il 56 per cento degli italiani (60 tra le donne) afferma che la mancanza di tempo lo stressa. Il 52 per cento denuncia di avere una vita troppo affrettata e il 14 per cento sostiene che uno degli aspetti che caratterizza la vita oggi è la mancanza tempo per sé stessi.
Il 61 per cento delle persone occupate sostiene di avere poco tempo libero e il 41 per cento dichiara che per essere più felici bisognerebbe avere più tempo libero per sé. Per il 46 per cento degli italiani gestire il proprio tempo è uno dei principali simboli che designano una persona di successo e per il 24 per cento dei consumatori uno dei driver di acquisto è la capacità dei prodotti di far risparmiare tempo.
Al terzo posto tra i fattori che rendono un lavoro ideale c’è la disponibilità di tempo libero e orari flessibili (31). Ai primi posti tra gli elementi che rendono attraente un posto di lavoro c’è la possibilità di gestire autonomamente il tempo (44 per cento, +10 negli ultimi quattro anni).
Una forma di povertà
Nel corso degli ultimi lustri si è intensificato il fenomeno della “Cronopenìa”: la sensazione di carenza cronica di tempo, percepita come una forma di povertà o privazione.
Un fenomeno che riflette la percezione diffusa di essere costantemente in affanno, di non avere mai abbastanza tempo per tutto ciò che si vorrebbe o dovrebbe fare. All’origine di tale processo ci sono, come sempre nella società di oggi, molteplici fattori. Incide certamente il livello avanzato di digitalizzazione e la connessione costante (la tecnologia ha reso sfumati i confini tra lavoro e vita privata) e ha il suo peso l’affermarsi della cultura della produttività in tutti i campi, con la sua enfasi sull’ottimizzare ogni momento.
Sulla cronopenìa pesano anche la moltiplicazione delle opportunità (l’aumento delle possibilità di scelta e delle attività disponibili creano un senso di costante inadeguatezza temporale); l’incremento esponenziale delle aspettative sociali (la società contemporanea impone standard sempre più elevati in molteplici ambiti della vita) e l’ingerenza quotidiana generata dal moltiplicarsi degli stimoli cui sono sottoposte le persone producono forme di frammentazione dell’attenzione e riducono la capacità di concentrazione prolungata.
«L’accelerazione sociale», ricorda il sociologo tedesco Hartmut Rosa, «porta a una crescente alienazione dal mondo e da se stessi, creando una frenesia dell’immobilità». L’autore mette sotto la lente quanto l’accelerazione dei ritmi sociali non sia un processo univoco, orientato al trionfale progresso unidirezionale, ma conduca anche a sensazioni di affanno e al bisogno di rallentamenti quando non di disconnessioni.
Merce carente
Il tempo è diventato una merce carente nella società mercificata e dell’iperconsumo di oggi. La sua distribuzione ineguale crea nuove forme di stratificazione sociale e nuove forme di disuguaglianza basate sull’accesso e il controllo del tempo. La cronopenìa emerge come un fenomeno complesso, profondamente radicato nelle strutture sociali, economiche e culturali della società contemporanea.
Non è semplicemente una questione di gestione individuale del tempo, ma riflette cambiamenti profondi nel modo in cui il tempo viene valorizzato, distribuito e vissuto a livello collettivo. Questo fenomeno porta con sé diverse spinte sociali, valoriali e comportamentali che incidono su molteplici aspetti: dal lavoro, all’esistenza quotidiana; dai consumi, alle forme di educazione; dall’innovazione tecnologica, alle politiche pubbliche, dalla famiglia alle amicizie.
Il bisogno di tempo sospinge l’urgenza di cambiamenti profondi come la revisione dei modelli di lavoro e produzione, accentuando l’enfasi sull’equilibrio vita-lavoro.
Richiede anche innovazioni tecnologiche e sociali mirate a creare “spazi di decompressione” temporale nella vita quotidiana; stimola politiche pubbliche che riconoscano il tempo come risorsa fondamentale per il benessere individuale e sociale; induce un ripensamento dei modelli educativi, per includere le competenze di gestione del tempo.
La consapevolezza del valore del tempo, infine, può portare all’emergere di nuovi movimenti sociali focalizzati sul “diritto al tempo” e alla decelerazione. Come diceva Edgar Morin: «La sfida del XXI secolo sarà quella di creare una società in cui il tempo non sia un lusso per pochi, ma un diritto per tutti».
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