In Italia, negli ultimi anni, le persone che non hanno completato gli studi superiori sono diminuite e la percentuale di Neet, persone che non studiano e non lavorano, è scesa. Tuttavia, il nostro paese continua a essere sotto la media degli stati che fanno parte dell’area Ocse su diversi profili legati al mondo dell’istruzione e della formazione, sia per quanto riguarda i giovani che vivono questo mondo, sia dal punto di vista di chi ci lavora, ovvero gli insegnanti. 

Tornando alle persone non diplomate, il rapporto dell’Ocse “Education at a glance 2024”, ha evidenziato come, tra il 2016 e il 2023, la quota di non diplomati sia calata del 6 per cento, attestandosi al 20. Il dato rimane comunque inferiore alla media Ocse, più bassa di 6 punti percentuali. Un andamento simile si è registrato anche per quanto riguarda i Neet, che sono passati dal 32 al 21 per cento delle persone tra i 20 e i 24 anni, pur rimanendo un numero superiore rispetto agli altri paesi analizzati, che ne hanno in media il 15 per cento.

Come detto prima, il confronto con l’area Ocse è generalmente negativo e il report mette in luce alcuni dei principali problemi che interessano la scuola e il successivo accesso al mondo del lavoro in Italia. Per esempio, il mancato completamento degli studi superiori si riflette anche sul tasso di occupazione: tra le persone comprese nella fascia 25-34 anni che non si sono diplomate, l’Italia ha soltanto il 57 per cento di occupati. Dato che sale invece al 69 per cento se si completano le scuole superiori o si prende una certificazione post-diploma non equiparabile a una laurea.

Il problema però si acuisce se oltre alle differenze di livello di istruzione si aggiungono quelle di genere. Il rapporto evidenzia infatti che, sempre all’interno della stessa fascia d’età, le giovani donne che non hanno completato la scuola superiore sono occupate soltanto per il 36 per cento, contro il 72 per cento per i pari età uomini. La forbice si riduce, quasi ad azzerarsi, se si analizzano i dati delle persone che hanno completato un ciclo di istruzione di terzo livello, cioè una laurea.

Le laureate occupate sono il 73 per cento (sempre all’interno di questa fascia d’età), mentre i laureati occupati sono il 75 per cento. Resta però una grandissima differenza tra queste due categorie a livello di salario. Le donne laureate hanno in media uno stipendio che è pari al 58 per cento di quello degli uomini laureati, poco più della metà.

Questo dato non soltanto è minore della media Ocse, ma colloca l’Italia in fondo alla classifica. E tutto questo nonostante il livello di istruzione delle ragazze sia nettamente migliore rispetto a quelli dei ragazzi. Il 37 per cento delle ragazze ha infatti una formazione terziaria, rispetto al 24 per cento dei ragazzi.

Risultati che però non si ripercuotono all’interno del mondo del lavoro, dove c’è anche una differenza, anche se è meno marcata tra le persone diplomate che non hanno una laurea: il salario femminile corrisponde all’85 per cento di quello maschile.

Differenze di classe

“Education at a glance 2024” fa emergere però che il gap non rimane limitato al genere, ma si conferma anche nelle differenza di classe sociale. Il rapporto rimarca infatti che il livello di educazione scolastica dei genitori influenza fortemente quello dei figli. Il 69 per cento dei giovani tra i 25 e i 34 anni, che ha almeno un genitore laureato, ha preso una laurea, mentre si laurea solo il 52 per cento di chi ha almeno un genitore diplomato e non laureato e soltanto il 10 per cento di coloro che non hanno genitori che hanno avuto un’istruzione di terzo livello. 

I problemi partono già dall’infanzia, chi ha un reddito minore – dice il rapporto – è meno propenso a sfruttare un servizio di cura per i bambini tra gli 0 e i 2 anni. In ciò non aiuta il fatto che, rispetto a otto paesi Ocse in cui il sistema educativo dei bambini comincia appena finito il periodo di congedo parentale, in Italia ci sono due anni di vuoto tra la fine del congedo parentale e l’inizio di un percorso educativo gratuito per i figli, senza considerare lo scarso numero di asili nido pubblici.

Inoltre, la spesa italiana non aumenta in modo significativo dalla scuola elementare in poi. La percentuale di Pil dedicata alle istituzioni educative, che vanno dalla scuola primaria all’università, è del 4 per cento (dato costante dal 2015), contro una media Ocse del 4,9 per cento.

Questo si riflette anche sugli stipendi dei professori, cresciuti dell’8 per cento tra il 2015 e il 2023, per chi insegna alle scuole superiori e ha 15 anni di esperienza. Considerando però l’aumento del costo della vita, il salario degli stessi insegnanti è calato proporzionalmente del 6 per cento come potere di spesa, mentre negli altri paesi è cresciuto in media del 4 per cento.

La categoria degli insegnanti italiani è poi anche più vecchia della media Ocse, dato che il 53 per cento ha più di 50 anni contro il 37 per cento. E anche se questa quota sta diminuendo, non è detto che salari più poveri, non siano un forte deterrente per le persone giovani che pensano di iniziare questo lavoro. 

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