- Il recente fallimento di Svb e i crolli in Borsa di Credit Suisse e Deutsche Bank hanno ancora messo in luce le assurde remunerazioni milionarie di cui godono i vertici delle banche
- Nel 2021 l’80 per cento degli amministratori delegati delle società quotate sul Ftse Mib ha percepito uno stipendio superiore al milione di euro
- Il primo possibile intervento su questo problema etico è quello fiscale: la tassazione sui redditi delle persone fisiche (Irpef), dovrebbe essere leggera sui redditi bassi ma poi progressiva fino a un’aliquota del 60 o 70 per cento
Il recente fallimento della Silicon Valley Bank (SVB) e i crolli in Borsa di Credit Suisse e Deutsche Bank hanno ancora una volta messo in luce le assurde remunerazioni milionarie di cui godono i vertici delle banche. Remunerazioni che spesso sono state pagate anche quando la banca stava per fallire.
I bonus ai dirigenti della SVB sono arrivati puntuali pochi minuti prima che la banca guidata da Greg Becker passasse sotto il controllo della Fdic, l’ente federale che tutela i depositi. Secondo il canale televisivo Cnbc, Becker e i direttori della divisione finanziaria e del management, Beck e Draper, a partire dal primo dicembre del 2022 hanno venduto le stock options della Svb per un valore complessivo di 5,1 milioni di dollari. Tipica operazione da insider trading sulla quale neppure la Sec (l’ente che controlla la Borsa americana) è intervenuta.
I vertici delle banche
Il Credit Suisse ha chiuso l’esercizio 2022 con una perdita record di 7,3 miliardi di franchi svizzeri. Malgrado questa pessima performance, Il Ceo Ulrich Körner in carica da agosto 2022, ha ricevuto 2,5 milioni di franchi svizzeri il giorno prima del crollo in Borsa del 15 marzo 2023. Per la Deutsce Bank vi era stato un primo segnale di allarme con l’aumento del costo dell’assicurazione del debito contro il default, che significava un valore dubbio dei suoi assets.
Poi le obbligazioni, che scadono nel 2028, erano crollate da poco più di 98 centesimi di dollaro prima dell'implosione della SVB, a 89 centesimi all'indomani del crollo di Credit Suisse. Così il 24 marzo 2023 è avvenuto il crollo in Borsa delle azioni Deutsche Bank. Malgrado questo, per il 2022 la banca ha pagato al Ceo Christian Sewing un compenso di nove milioni di euro.
Secondo i dati dell’Autorità bancaria europea, nel 2021 quasi 2mila banchieri avevano uno stipendio annuo di oltre un milione di euro. Nella classifica dei più pagati, gli amministratori delegati degli istituti di credito italiani si piazzano al terzo posto. Anche a dispetto della crisi. Basti pensare che i banchieri che superano il milione di euro di guadagno annuo sono in aumento dell’88 per cento rispetto al 2020. Quest’anno, se gli obiettivi verranno raggiunti, Andrea Orcel, numero uno di Unicredit, vedrà lievitare notevolmente il suo compenso annuo che passerà da 7,5 milioni a 9,75 milioni.
I vertici delle società quotate
Secondo la 27esima edizione dello Spencer & Stuart Board Index, nel 2021 l’80 per cento degli amministratori delegati delle società quotate sul Ftse Mib ha percepito uno stipendio superiore al milione di euro. In particolare, il 16 per cento ha ricevuto un compenso superiore ai cinque milioni di euro. Il più pagato è stato il numero uno di Stellantis, Carlos Tavares, che ha intascato 19 milioni.
Una cifra che ha generato non poche polemiche a livello internazionale, soprattutto per il delicato momento che l’industria dell’auto stava vivendo. Come esempio di bonus pagati ai vertici di aziende in stato fallimentare ricordiamo quelli pagati ai nove capi azienda che si sono alternati alla guida di Alitalia dal 2007 al 2023.
La storia italiana
Nel 1980 gli amministratori delegati più pagati avevano un salario pari a 45 volte quello di un loro dipendente. Nel 2008 la media delle remunerazioni dei primi 10 top manager italiani era di 6,41 milioni di euro, 416 volte lo stipendio medio annuo di un operaio. Nel 2020 è stata di 9,59 milioni, cioè 649 volte. Sono i numeri che emergono da un’analisi del Corriere della Sera.
Più volte si è ricordato Adriano Olivetti che diceva: «Nessun dirigente, neanche il più alto in grado, deve guadagnare più di dieci volte l’ammontare del salario più basso». In quegli anni di boom economico per il nostro paese, l’amministratore delegato della Fiat Vittorio Valletta guadagnava 12 volte il salario di un operaio. L’ultimo stipendio di Sergio Marchionne in FCA nel 2017 fu 9,7 milioni di euro: 437 volte quello di un metalmeccanico.
La linea dettata da Olivetti viene in parte rispettata dalla media degli stipendi dei dirigenti intermedi. Nel 2008 ci volevano 8,3 stipendi di un operaio per fare quello di un dirigente medio, nel 2020 si è passati a dieci.
La situazione degli Stati Uniti
Negli Stati Uniti si parla di “pay gap” per riferirsi alla differenza salariale. Dal 2018, per tutte le aziende quotate è obbligatorio trasmettere questo valore alla Sec. Secondo l’American Federation of Labor nel 2020 la retribuzione media degli amministratori delegati delle aziende quotate allo S&P 500 è stata di 299 volte superiore a quella mediana dei lavoratori.
Questa comunicazione obbligatoria mostra che le autorità statunitensi si sono rese conto del problema etico e sociale rappresentato dalle eccessive remunerazioni dei vertici aziendali. Nel contesto americano è infatti apparso come uno scandalo il caso di Kevin Clark, Ceo della società di componenti automobilistici Aptiv PLC, che con i suoi 31,2 milioni di dollari ha guadagnato 5.294 volte lo stipendio mediano.
I correttivi necessari
Questa breve analisi delle remunerazioni dei vertici aziendali richiede un approccio critico. Innanzitutto bisogna ricordare che una banca o un’azienda sono un fatto sociale perché la loro patologia colpisce creditori e dipendenti, oltre agli azionisti. Quindi eccessivi stipendi straggono risorse a una gestione responsabile. Ci troviamo in una fase storica in cui le disuguaglienze sociali, create dalle teorie economiche del liberismo, sono aumentate dagli anni ottanta del secolo scorso. Una fase storica che ha prodotto due serie crisi economico-finanziarie, una pandemia e una flessione della globalizzazione. Una fase che ha evidenziato l’urgenza della transizione ecologica per la salvezza del pianeta e dei suoi abitanti.
Tutto questo richiede nuove politiche economiche e assestamenti geopolitici, oltre a ingenti risorse. Rivedere le remunerazioni dei top manager di banche e imprese ha quindi una ragione economica ma anche etica. Un primo strumento è quello fiscale. In Italia, ad esempio, serve una politica opposta a quella della flat tax.
La tassazione sui redditi delle persone fisiche (Irpef), dovrebbe essere leggera sui redditi bassi ma poi progressiva fino a un’aliquota del 60 o 70 per cento, come accadeva negli anni settanta del secolo scorso. Infatti, se il percettore di un reddito pari a tre milioni annui fosse soggetto a un’aliquota del 70 per cento sugli ultimi 500mila euro, di questi 500mila gli resterebbero comunque 150mila euro, pari a quattro volte e mezzo il reddito medio annuo di un single.
I progetti di riforma fiscale e il rifiuto di adottare un salario minimo da parte dell’attuale governo italiano mostrano una decisa attenzione alle classi abbienti piuttosto che alle classi povere. Quindi nulla possiamo aspettarci sul tema delle remunerazioni eccessive dei vertici di banche e imprese che, invece, rappresenta un serio problema di responsabilità morale.
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