Nel magico mondo di Antonio Tajani la Bce non dovrebbe occuparsi dell’inflazione. Poco importa se i prezzi salgono oppure scendono, per il leader di Forza Italia l’importante è spingere al ribasso il più possibile i tassi d’interesse, sempre e comunque, costi quel che costi.

Già nell’estate del 2022, con l’inflazione all’8 per cento, Tajani criticò la decisione dell’istituto di Francoforte di riportare, per la prima volta dopo sei anni, il tasso di riferimento poco sopra quota zero. Un anno dopo (giugno 2023), il ministro degli Esteri paventò il rischio di una recessione innescata dalla politica restrittiva della banca centrale.

Recessione che non c’è stata, anzi, il governo da mesi non fa che esaltare la crescita del Pil “sopra la media europea”, ma anche ora che i prezzi sono in ritirata Tajani resta affezionato al copione di sempre.

Reazione scontata

«Mi aspettavo una scelta più coraggiosa da parte della Bce», ha detto giovedì Tajani commentando il taglio di un quarto di punto dei tassi deciso da Francoforte. Parole che lasciano il tempo che trovano. E infatti, com’era prevedibile, la presidente Christine Lagarde ha liquidato le critiche provenienti da Roma. «La Bce è un’istituzione indipendente – ha detto Lagarde – ed è scritto molto chiaramente nel trattato Ue, non siamo soggetti a pressioni politiche».

Probabilmente neppure Tajani si aspettava una reazione diversa. La banca centrale ha un mandato preciso che è quello di mantenere la stabilità dei prezzi e quindi Francoforte ha gioco facile nel respingere i critici che vorrebbero pilotarne le decisioni alla luce di obiettivi diversi, come quello della crescita. Nello statuto della Bce, articolo 7, si legge anche che “i governi degli Stato membri (…) si impegnano a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Bce”.

In realtà, la politica da sempre cerca di orientare in base ai propri interessi le decisioni della banca centrale. Anche perché può far comodo scaricare sulla Bce la responsabilità di eventuali rallentamenti dell’economia. In altre parole, se il Pil ristagna, i governi (non solo quello italiano) provano a dare la colpa ai banchieri che non tagliano il costo del denaro.

Italia in bilico

In Italia i dati congiunturali più recenti mandano segnali contrastanti. Cresce l’occupazione, ma export e produzione industriale sono in netta frenata. Di conseguenza, non è affatto detto che venga centrato l’obiettivo di crescita dell’1 per cento fissato dal governo per il 2024. Si spiegano anche così gli attacchi di questi giorni alla Bce, una sorta di difesa preventiva semmai le cose dovessero mettersi male.

Va poi ricordato che per un paese come l’Italia, costretto ogni anno a trovare compratori per oltre 350 miliardi di titoli di stato, il ribasso dei tassi si traduce in grandi risparmi degli oneri per interessi a carico dei conti pubblici.Logico, allora, che la politica faccia pressione su Francoforte per allentare la politica restrittiva.

«La prudenza della Bce è giustificata – argomenta l’economista Franco Bruni, professore emerito dell’Università Bocconi – perché la liquidità in circolazione è ancora molto abbondante e l’inflazione, seppure in calo, non è uniforme nei diversi Paesi dell’Eurozona». L’1,3 per cento dell’Italia, va confrontato con il 2 per cento della Germania e con il 2,3 per cento della Francia. «Francoforte – prosegue Bruni - non può quindi fare a meno di tener conto di uno scenario che appare tutt’altro che uniforme».

Troppa prudenza

Questo non significa che le ultime decisioni della Bce non prestino il fianco a critiche. Nelle settimane scorse l’economista Alessandro Penati ha fatto notare su questo giornale che “la politica restrittiva (della Bce, ndr) rischia di causare un inutile rallentamento economico. Un rischio tutt’altro che remoto visto che tutti i recenti indicatori economici europei indicano stagnazione”.

La stessa Bce, nel suo comunicato di giovedì, ha rivisto al ribasso le sue stime di crescita per l’economia europea, che nel 2024 non dovrebbe andare oltre un aumento del Pil dello 0,8 per cento (la previsione precedente era dello 0,9 per cento) per arrivare all’1,3 per cento l’anno successivo.

I rischi di rallentamento non hanno però convinto i vertici dell’istituto a dare un taglio più netto al costo del denaro. La decisione è stata unanime: hanno quindi votato a favore anche il governatore di Bankitalia Fabio Panetta e Piero Cipollone, rappresentante italiano nel comitato esecutivo dell’istituto. Due settimane fa Cipollone aveva preso posizione pubblicamente segnalando il rischio che la politica della Bce potesse diventare troppo restrittiva “frenando inutilmente l’economia”.

Parole che molti avevano interpretato come una critica implicita alla linea di Lagarde e della maggioranza del consiglio direttivo. Alla prova del voto, però, eventuali dissensi sono rimasti confinati nelle segrete stanze dei banchieri centrali.

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