«Il governo convochi Elkann e vincoli risorse al rilancio del settore». «Produzione ferma, ma la colpa non è della transizione all’elettrico»
Le ripercussioni dell’addio di Tavares a Stellantis saranno inevitabili, ma questa volta tocca ai vertici dell’azienda e non agli operai pagare il conto.
Michele De Palma, segretario generale della Fiom-Cgil, chiede al governo di cambiare atteggiamento nei confronti della multinazionale franco-italiana, per salvare l’automotive nel nostro Paese. Che è solo uno dei settori in sofferenza all’interno di un sistema industriale sempre meno competitivo, come dimostrano anche i casi Ilva e Beko.
Segretario De Palma, come valuta le dimissioni di Carlos Tavares? Se le aspettava?
La rottura tra la proprietà e l’amministratore delegato ha portato alle dimissioni di Carlos Tavares. Certo è che la strategia di Stellantis si è dimostrata sbagliata e, dal punto di vista industriale e occupazionale, fallimentare. Sicuramente in Italia. Ora bisogna impedire che al danno si aggiunga la beffa di un liquidazione spropositata. Sarebbe uno schiaffo alle lavoratrici e ai lavoratori di Stellantis, da anni in cassa integrazione, e della filiera della componentistica. È ora che i sacrifici li facciano i manager e gli azionisti. In questi giorni siamo in mobilitazione in tutto il settore, c’è stato uno sciopero dei lavoratori della Trasnova a Pomigliano e a Cassino e venerdì ci sarà un’iniziativa unitaria a Torino in difesa di Mirafiori.
Quali azioni sono indispensabili per proteggere gli stabilimenti italiani di Stellantis dalla crisi globale del settore?
In Italia abbiamo bisogno di mettere in sicurezza gli stabilimenti e l’occupazione. Per fare questo servono la progettazione e il varo di nuovi modelli, in particolare quelli che possono occupare un mercato di massa. Bisogna tornare a dare centralità e autonomia alla ricerca e allo sviluppo, gravemente indeboliti in questi anni. Abbiamo bisogno di fare immediatamente ripartire il progetto della gigafactory di Termoli. E bisogna fermare la tendenza a svuotare gli stabilimenti con le uscite volontarie e incentivate.
Mirafiori è destinata a chiudere o crede alle promesse di rilancio?
Per Mirafiori non si tratta di credere alle promesse di Stellantis, che in quest’ultimo periodo ha sempre disatteso. Ma, partendo dalla situazione attuale, evidentemente compromessa, si tratta di mettere in campo azioni che rispondano alle esigenze di rilancio. La 500 ibrida dal 2026 è una risposta insufficiente. Abbiamo bisogno almeno di un altro modello che consenta volumi importanti.
Ritiene adeguato il sostegno del governo italiano al settore automotive? Cosa servirebbe per migliorare la situazione?
Il governo non ha concretizzato nulla al tavolo automotive. Ha stanziato 950 milioni di euro per gli incentivi, e ora ha tagliato dell’80 per cento il fondo automotive istituito dal governo Draghi. Il governo deve costruire le condizioni per determinare un accordo quadro di tutto il settore automotive, vincolando ogni eventuale risorsa pubblica a garanzia del mantenimento produttivo nel Paese e dell’occupazione. Deve ripristinare e aumentare il fondo automotive, appena tagliato, e lavorare in ambito europeo per definire un fondo straordinario per la transizione ecologica, per affrontarla da un punto di vista tecnologico e sostenerla da un punto di vista sociale.
Si aspetta un cambio di atteggiamento del nuovo management verso il dialogo con sindacati e istituzioni?
Un cambiamento dell’atteggiamento di Stellantis nei confronti delle organizzazioni sindacali è necessario, non semplicemente auspicabile. In questi ultimi 18 mesi di confronto al tavolo automotive al Mimit, l’azienda è sempre stata evasiva. Non ha mai dato risposte certe e di garanzia. Ha solo fatto annunci e ha sempre insistito su ‘fattori abilitanti’ per aumentare la produzione in Italia: incentivi pluriennali per l’acquisto, sconti sui costi energetici, mantenimento di un mercato protetto contro l’ingresso di nuovi player cinesi. Stellantis deve dare risposte per garantire l’occupazione. Rimandare in avanti la transizione significherebbe renderci ancora più deboli nei confronti di Usa e Cina.
È davvero colpa del Green Deal e della transizione all’elettrico se non si vendono più auto?
Non è un tema di carburante. In Italia al momento non si costruiscono né auto endotermiche, né ibride, né elettriche. Quest’anno produrremo meno di 500mila veicoli: anche per questo abbiamo scioperato unitariamente il 18 ottobre. E anche per questo chiediamo alla premier Meloni di convocare immediatamente un tavolo con il presidente di Stellantis John Elkann, altrimenti ci autoconvocheremo a palazzo Chigi.
Quali sviluppi si aspetta sulla vendita di Ilva?
Da quanto sappiamo le offerte vincolanti per la vendita dell’ex Ilva sono state posticipate al 10 gennaio. Il governo deve intervenire con capitale pubblico per svolgere un ruolo di controllo e di gestione. Servono investimenti in tempi rapidi, devono essere tutelati tutti i lavoratori e devono essere avviati gli interventi per la decarbonizzazione.
E sulla vertenza Beko?
Beko è l’ennesima multinazionale che compra gli stabilimenti italiani per poi chiuderli. Con il passaggio da Whirlpool a Beko, il governo sarebbe dovuto entrare nel capitale per una fase. Ma, a seguito delle nostre sollecitazioni, è stata annunciata la golden power, che evidentemente è un provvedimento inefficace, dal momento che sono appena stati comunicati 2mila licenziamenti e sono a rischio chiusura 3 stabilimenti. Ci batteremo per chiedere il rilancio della produzione. È evidente che la crisi Beko rischia di essere l’ennesimo preludio per la messa in discussione di un intero settore industriale.
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