Il 9 giugno scorso, data delle elezioni europee, tutti gli occhi sono stati puntati sulla Francia. La decisione di Macron di sciogliere l’assemblea nazionale dopo la sconfitta, le convulsioni che sono seguite, con la vittoria inaspettata della sinistra, la melina del presidente nel nominare la premier indicata dai vincitori e la crisi istituzionale ancora in corso, hanno oscurato un altro fatto, forse addirittura più rilevante per il destino dell’Europa: in Germania, i partiti della coalizione semaforo, i Socialdemocratici, i Verdi, e i Liberali sono usciti pesantemente sconfitti dalle urne delle europee.

I Socialdemocratici del primo ministro Scholz, primo partito nel Bundestag, sono addirittura stati superati dall’estrema destra dell’Alternative für Deutschland che con quasi il 16% dei voti è la seconda forza dopo il Partito Cristiano Democratico vincitore delle elezioni europee. In Germania non c’è stato il coup de theatre delle elezioni anticipate. Ma se si votasse oggi per le politiche, la coalizione semaforo non avrebbe la maggioranza, esattamente come è avvenuto in Francia.

Una coalizione debole

La maionese della coalizione semaforo, costituita dopo le elezioni del 2021, non ha mai veramente preso. Negli scorsi anni sui grandi temi i tre partiti di governo non sono riusciti a trovare posizioni comuni.

Per questo la leadership tedesca si è rinchiusa in sé stessa ed è sparita dalla scena europea: di fatto, la voce tedesca in Europa è quella del ministro delle finanze ultraconservatore Lindner, che ragiona come se le crisi a ripetizione degli ultimi quindici anni non ci fossero state, come se non occorresse cercare di recuperare il ritardo che l’Ue ha accumulato su rinnovabili e mobilità sostenibile, come se la soluzione alle sfide della transizione verde fosse la riduzione del debito pubblico che per magia libererebbe miliardi in investimenti privati.

Rimane stupefacente (e rivelatore della debolezza politica della coalizione semaforo) come a fronte dei colossali investimenti pubblici necessari per la transizione ecologica i Verdi, che nella coalizione pesano ben più dei liberali, abbiano lasciato mano libera a Lindner nell’affossare la riforma del Patto di Stabilità e quindi in ultima istanza nel continuare a tenere le mani dei governi europei legate.

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Ma il problema non è solo Lindner, e il suo disegno di un’Europa austera e frugale che sacrifichi sull’altare della disciplina di bilancio gli investimenti necessari per far fronte alla transizione ecologica e alla concorrenza di Cina e Stati Uniti. Il problema è che l’ossessione della probità fiscale, il totem del bilancio in pareggio (il freno al debito, o Schuldenbremse), il decantare le virtù della frugalità pubblica e privata ha finito, come alcuni di noi si ostinano a prevedere sin dall’inizio degli anni Duemila, per indebolire quella che tempo era la più dinamica economia d’Europa e che oggi sconta una carenza divenuta ormai cronica di capitale pubblico e privato (il fatto che le ferrovie tedesche siano ormai diventate la barzelletta d’Europa è rivelatore della cronica mancanza di risorse).

Debolezze strutturali

Al punto che oggi l’editorialista di punta del Financial Times Martin Wolf si domanda, commentando un lavoro del FMI, se la Germania non sia di nuovo diventata, come già più volte in passato, «il malato d’Europa».

Wolf individua cinque debolezze strutturali dell’economia tedesca, parzialmente legate tra loro. In primo luogo, l’invecchiamento della popolazione, che implica una contrazione della forza lavoro (la parte della popolazione tra i 15 e i 64 anni).

Poi il calo dell’investimento pubblico, oggi tra i più bassi dei paesi avanzati. Ancora, la perdita di terreno in termini di produttività, il ritardo nell’economia digitale, e, infine, l’eccessiva dipendenza dalle esportazioni, che in un’era di instabilità geopolitica rischia di diventare un problema serio. Si noti, incidentalmente, che il nostro paese ha gli stessi punti deboli.

I cinque problemi elencati da Martin Wolf sono noti da tempo. Come è noto, almeno per i lettori del Diario Europeo, che questi problemi hanno una matrice comune, l’enorme risparmio non reinvestito, che è andato a finanziare gli eccedenti commerciali.

Wolf nota come per molti economisti tedeschi (tra cui, appunto, il ministro Lindner) questa parsimonia, sia essa pubblica o privata, sia la base della competitività tedesca e costituisca quindi un modello per i partner europei. Questo spiega l’insistenza sulla riduzione del debito, che di fatto vuol dire un aumento del risparmio del settore pubblico.

La falsa virtù

Quello che molti di noi (soprattutto tra gli economisti anglosassoni) si sgolano a ripetere inutilmente dalla metà degli anni Duemila è che la crescita trainata dalle esportazioni e dagli avanzi commerciali non può per definizione essere generalizzata. Se tutti esportano, e se (ancora) non commerciamo con Marte, chi dovrebbe assorbire le nostre esportazioni?

La “virtù” dei risparmi tedeschi, in altre parole, è possibile solo perché altri assorbono questo eccesso di risparmi con un eccesso di spesa. Finché lo fanno l’economia continua ad andare, e quindi la Germania dovrebbe ringraziare perché è la “dissolutezza” dei suoi partner che le consente di essere virtuosa.

Se invece anche gli altri paesi risparmiassero, come desiderato dai pasdaran tedeschi della parsimonia, il risultato sarebbe un crollo della domanda e un rallentamento generalizzato dell’economia.

È per questo che tutte le amministrazioni americane dai primi anni Duemila e dieci si sono lamentate della pressione deflattiva che la Germania dei surplus commerciali (e poi, in seguito all’austerità, l’eurozona) esercitava sul resto del mondo.

Gli alfieri del liberoscambismo europei, che si lamentano delle misure protezionistiche degli altri paesi, non hanno torto; ma dovrebbero riconoscere che l’Europa non può scagliare la prima pietra: comprimere la domanda domestica e scaricare gli eccessi di risparmio sul resto del mondo sono misure non cooperative tanto quanto lo è un dazio.

Rilanciare l’investimento

La conclusione è dunque ovvia, ed è quella di Martin Wolf: i risparmi tedeschi (ed europei) dovrebbero essere usati non per finanziare gli avanzi commerciali, ma per finanziare investimenti privati e soprattutto pubblici. Aumenterebbero produttività e potere d’acquisto, si potrebbe accelerare la transizione ecologica, si sosterrebbe la domanda in Germania e nelle altre economie.

Insomma, la litigiosa coalizione tedesca con ogni probabilità non riuscirà a tenere acceso il motore tedesco per l’integrazione europea (il che, con quello francese anch’esso grippato, è un problema serissimo).

Ma almeno dovrebbe, abbandonando l’irragionevole ossessione ordoliberale per la parsimonia pubblica e privata, iniziare ad affrontare il deficit cronico di capitale che affligge l’economia tedesca e, contestualmente smettere di costituire un freno per l’economia europea e mondiale. Riusciranno i nostri eroi a capirlo? Nulla è meno certo.

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