È l’immancabile ritornello che ricorre ogni volta che i ministri si trovano a parlare di tasse. «Ridurre la pressione fiscale è in cima alla lista degli obiettivi di governo», recita il mantra dell’esecutivo. A dare la linea è sempre Giorgia Meloni. Lo ha fatto in questi giorni con un video sui social per confermare che «noi le tasse le abbassiamo».

Ma già nel recente passato la premier ha più volte ribadito il concetto: «Solo con una riforma organica e complessiva sarà possibile raggiungere uno dei nostri obiettivi, che è quello di una riduzione generalizzata della pressione fiscale che grava sulle spalle delle famiglie e delle imprese», ha scandito Meloni parlando alla Camera.

Vince Draghi

Missione compiuta? I numeri, anche quelli pubblicati dal governo nei documenti ufficiali, raccontano una realtà diversa dalle promesse di Palazzo Chigi. Partiamo dall’anno scorso, il primo con il centrodestra al potere per l’intero arco dei dodici mesi. Il dato più aggiornato, sulla base della revisione dei conti pubblicata dall’Istat il 23 settembre, rivela che nel 2023 la pressione fiscale in rapporto al Pil è stata del 41,5 per cento, solo due decimi di punto in meno rispetto al 2022, quando si era attestata al 41,7 per cento. Non è granché, ma è già qualcosa.

Il governo di Mario Draghi aveva fatto meglio, però, visto che nel 2021 la pressione fiscale era diminuita al 42,3 per cento rispetto al 42,7 per cento del 2020, quando a Palazzo Chigi c’era Giuseppe Conte. Nel 2022, con l’ex presidente della Bce alla guida dell’esecutivo fino alle elezioni di settembre, il peso delle tasse in rapporto al Pil è sceso fino al 41,7 per cento. Quindi, durante il governo Draghi la pressione fiscale si è ridotta in media di mezzo punto percentuale all’anno, mentre Meloni finora non è andata oltre uno 0,2 per cento.

Futuro incerto

Fin qui i numeri che raccontano la storia recente, come ricostruita dalla Banca d’Italia in una tabella allegata all’audizione di pochi giorni fa in Parlamento sul Piano strutturale di bilancio. E il 2024? L’esecutivo quest’anno riuscirà a tener fede ai suoi solenni impegni, perché, come ripete Meloni spesso e volentieri, «è la sinistra che aumenta le tasse»? I dati definitivi ancora non ci sono, ovviamente, ma pare proprio che sul fronte del fisco le promesse sono destinate a restare tali.

Questo almeno è quanto spiegano i numeri diffusi dallo stesso ministero dell’economia nel Piano strutturale di bilancio depositato in Parlamento nei giorni scorsi. Il documento segnala che la pressione fiscale nel 2024 dovrebbe attestarsi al 42,3 per cento. Il peso delle imposte torna quindi ad aumentare, invertendo il trend di riduzione inaugurato nel 2020.

Obiettivo mancato, quindi, a dispetto di quanto previsto, per esempio, nel Def, il Documento di economia e finanza pubblicato a primavera, che accreditava una riduzione della pressione fiscale grazie al taglio del cuneo e agli interventi sulle aliquote Irpef. Niente da fare, almeno quest’anno. E per il futuro si vedrà.

Molto dipende da quanto il governo riuscirà a fare per confermare e incrementare gli sconti (cuneo e Irpef), che hanno fin qui hanno avuto un impatto trascurabile sui lavoratori dipendenti con i redditi inferiori a 35 mila euro l’anno e, inoltre, andranno confermati e rifinanziati nei prossimi anni. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti ha promesso che gli interventi diventeranno strutturali, anche per evitare i rilievi dell’Unione europea.

Lo stesso ministro però sembra più che altro preoccupato di trovare entrate supplementari per coprire i costi della manovra, anche a costo di introdurre nuovi prelievi.

Più entrate

Le notizie positive arrivano dai dati sulle entrate tributarie in netto aumento quest’anno anche per effetto della crescita dell’occupazione. Tra gennaio e agosto il Fisco ha incassato il 6,5 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2023. Significa che gli introiti per le casse dello Stato sono cresciuti di 23,3 miliardi di euro.

Anche in questo caso Giorgetti sostiene che le entrate extra sono almeno in parte strutturali e quindi potranno essere utilizzate per finanziare spese previste nella manovra.

Sulla casa invece, vero tema tabù per la politica italiana, soprattutto a destra, è bastato l’accenno di Giorgetti a una revisione delle rendite catastali per scatenare una raffica di smentite da parte dei partiti della maggioranza.

Eppure, nel Programma nazionale di riforma allegato al Def e indirizzato all’Unione europea tra i tanti impegni presi dal governo c’è anche quello di «allineare i valori catastali ai valori di mercato correnti». Parole al vento, per ora.

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