Il 14 aprile inizia a Washington il processo della Federal Trade Commission contro l’azienda di Facebook. In ballo c’è l’accusa di monopolio e la possibilità – per ora remota, ma reale – di uno spezzettamento del gruppo. Ma il caso Zuckerberg è solo la punta dell’iceberg: anche Google, Amazon e Microsoft sono nel mirino delle autorità americane. Ecco tutto quello che c'è da sapere
Si aprirà lunedì 14 aprile a Washington uno dei più importanti processi antitrust degli ultimi anni. Al centro c’è Meta – l’ex Facebook – e la sua strategia di espansione. La Federal Trade Commission (Ftc) la accusa di aver costruito un monopolio nei social media, schiacciando la concorrenza. In gioco c’è persino la possibile vendita forzata di Instagram o WhatsApp.
Un esito del genere, se mai dovesse concretizzarsi, richiederà comunque mesi, se non anni. Ma nel frattempo il processo è già un evento storico: attirerà giornalisti da tutto il mondo e vedrà tra i testimoni anche Mark Zuckerberg e Adam Mosseri, rispettivamente Ceo di Meta e responsabile di Instagram. Alcuni dirigenti dell’azienda si sono addirittura trasferiti temporaneamente a Washington per seguire da vicino ogni fase del dibattimento e preparare la propria strategia difensiva.
Il processo a Meta si inserisce in un quadro più ampio: quello della guerra ai giganti del digitale. Con una variabile impazzita – Donald Trump – che, almeno per ora, non sembra aver cambiato rotta nonostante i corteggiamenti. E anche questa, in fondo, è una notizia.
Processo a Meta
Il processo sarà presieduto dal giudice federale James Boasberg e dovrebbe durare circa due mesi, chiudendosi alle porte dell’estate. Si basa sulla causa intentata dalla Federal Trade Commission nel 2020, quindi ancora sotto la prima amministrazione Trump, poi riformulata e riaperta dopo un primo rigetto. Un’ultima richiesta di archiviazione, presentata lo scorso gennaio, è stata respinta.
L’accusa principale è chiara: Meta avrebbe rafforzato illegalmente la propria posizione dominante nel mercato dei social network attraverso l’acquisizione di due piattaforme cruciali nel mercato del digitale: Instagram (acquistata nel 2012) e WhatsApp (nel 2014). Queste due mosse strategiche, secondo la Ftc, non puntavano a migliorare l’offerta per gli utenti, ma a neutralizzare potenziali concorrenti prima che potessero diventare troppo forti.
Secondo i documenti processuali, la Ftc cercherà di dimostrare che Meta ha agito con l’intenzione esplicita di costruire una posizione monopolistica, in un mercato – quello dei social – dove esercita un’influenza tale da rendere difficile l’emergere di alternative significative. Inoltre, l’antitrust ritiene che siano state messe in atto “pratiche escludenti” anche dopo le acquisizioni, ad esempio con dei limiti all’accesso delle piattaform agli sviluppatori esterni.
Meta, dal canto suo, respinge le accuse e lo fa con un’argomentazione ormai ben rodata: le acquisizioni hanno portato benefici ai consumatori, e il mercato dei social è tutt’altro che monopolizzato, vista la presenza di piattaforme concorrenti come TikTok, YouTube e Snapchat.
Tra i testimoni principali ci saranno lo stesso Mark Zuckerberg, che dovrebbe testimoniare per circa dieci ore, e Adam Mosseri, per oltre tre ore e mezza. Anche altri top executive di Meta – tra cui il chief product officer Chris Cox e il chief marketing officer Alex Schultz – sono stati inseriti nelle liste dei testimoni. Dovrebbe essere sentita anche Sheryl Sandberg, che ai tempi era la potentissima direttrice operativa di Facebook.
Perché è importante
Questo processo non rappresenta solo una sfida legale per Meta: è anche una battaglia cruciale in una guerra che l’antitrust sta cercando di combattere contro i colossi digitali. In più larga misura, riguarda dunque anche tutti gli utenti del web, ed è per questo guardata con particolare attenzione anche da chi immagina ancora un modo diverso di utilizzare Internet.
A livello più pratico, se l’accusa riuscisse a dimostrare che le acquisizioni di Instagram e WhatsApp hanno eliminato la concorrenza in modo illegittimo, si aprirebbe un precedente potenzialmente dirompente, che potrebbe poi essere applicato anche ad altri casi simili.
È uno scenario che resta improbabile nel breve termine – serviranno anni e gradi di giudizio – ma che torna a circolare con sempre maggiore insistenza tra commentatori, esperti e analisti. In parte perché la Ftc ha già chiarito di voler affermare un principio: nessuna acquisizione è davvero definitiva, se viola la concorrenza. E in parte perché si inserisce in un cambiamento culturale più profondo, in cui il dominio delle Big Tech non è più vissuto come inevitabile.
Per Meta, la posta in gioco è altissima. Anche se non venisse ordinata una cessione forzata, una condanna potrebbe comunque aprire la strada a nuove limitazioni, condizionare future acquisizioni, obbligare l’azienda a cambiare le proprie politiche interne e, soprattutto, danneggiare la sua reputazione globale.
Ma gli effetti non riguarderebbero solo Meta. Tutte le grandi piattaforme digitali si stanno muovendo con crescente cautela, nella consapevolezza che i fronti giuridici che potrebbero aprirsi in futuro sono ancora molti, e non sempre dipendenti da chi siede alla Casa Bianca (o regge la maggioranza a Bruxelles).
Ma – ancora una volta – questa sensazione non tiene conto di possibili colpi di scena che potrebbero arrivare, in qualsiasi momento, anche a processo già avviato. Non è un caso se Zuckerberg si è mostrato tanto trumpiano, né se i vertici dei colossi digitali erano in prima fila all’Inauguration Day. In un clima così incerto, anche i processi storici rischiano di trasformarsi in partite politiche, dove qualcuno potrebbe all’improvviso giocare il jolly.
Non solo Meta
E difatti Zuckerberg sembra decisamente intenzionato a seguire anche questa strada. Come ha rivelato il Wall Street Journal, Meta ha appena accettato di pagare 25 milioni di dollari per chiudere una causa intentata da Donald Trump nel 2021, dopo la sospensione dei suoi account a seguito dell’assalto a Capitol Hill.
L’accordo, discusso personalmente tra Trump e Zuckerberg, prevede che i fondi vadano a sostegno della biblioteca presidenziale e coprano parte delle spese legali. La causa avrebbe avuto poche speranze di successo, ma ovviamente questo è secondario, quando in gioco ci sono altre questioni.
Intanto, in parallelo, anche Google è al centro di una delle più grandi battaglie legali della sua storia. Lo scorso agosto, il giudice federale Amit Mehta ha stabilito che l’azienda ha effettivamente costruito un monopolio nel mercato della ricerca online. La fase successiva del processo si aprirà sempre nei prossimi giorni, per decidere le conseguenze pratiche della decisione adottata un anno.Tra le ipotesi, c’è anche in questo caso quella più radicale: obbligare Google a cedere il controllo del browser Chrome.
Ma non è finita. Il Dipartimento di Giustizia ha avviato una seconda causa contro Google, questa volta per il monopolio nella pubblicità digitale: un settore da miliardi di dollari in cui la piattaforma è accusata di aver ottenuto un monopolio di fatto, grazie a una rete di servizi integrati (motore di ricerca, strumenti per inserzionisti, piattaforme di gestione).
Amazon è invece nel mirino della Ftc per pratiche anticoncorrenziali sul fronte e-commerce. Microsoft potrebbe rispondere per il suo ruolo crescente nel settore dell’intelligenza artificiale, in particolare per la partnership con OpenAi (la madre di ChatGpt).
In tutti questi casi sembra esserci sempre un unico retroterra: la volontà di limitare il potere dei colossi digitali. Resta da capire cosa vorrà fare Trump, mentre i giganti continuano a inchinarsi al suo cospetto.
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