Al di là degli slogan e degli annunci, l’Italia si conferma in stagnazione. Nell’ultimo trimestre del 2024 l’economia ha registrato una crescita congiunturale nulla, senza alcun cambiamento rispetto ai tre mesi precedenti. Un dato preoccupante perché ricalca quanto già visto tra luglio e settembre. Su base tendenziale, cioè rispetto al 2023, il Pil mostra invece un aumento dello 0,5 per cento: appena la metà di quanto previsto nel Piano strutturale di bilancio, con il governo che contava di chiudere l’anno con una crescita dell’1 per cento.

Sono una doccia fredda per l’esecutivo le stime preliminari pubblicate dall’Istat, che vanno rapportate al calo trimestrale dello 0,2 per cento della Germania e dell’1,1 per cento della Francia. Un risultato che pesa anche in prospettiva, dato che «la variazione del Pil acquisita per il 2025 risulta nulla»: in mancanza della spinta necessaria dall’anno scorso, anche le previsioni per il 2025 partono da zero.

Migliora l’industria

I dati del quarto trimestre riflettono una flessione del comparto primario e dei servizi, che avevano sostenuto l’economia nei trimestri passati, mentre il settore industriale ha registrato – tra ottobre e dicembre – una ripresa su cui ha pesato il settore delle costruzioni, beneficiario delle spese del Pnrr. La variazione congiunturale, ha scritto l’Istituto di statistica, è «la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca, e di un aumento in quello dell’industria».

Giudizi negativi

All’attacco del governo è andata l’opposizione unita, dal Partito democratico al Movimento 5 stelle fino a Italia viva. «I dati dicono che l’economia italiana è ferma. La crescita del 2024 è dello 0,5, la metà di quella indicata dal governo un anno fa: Meloni parla di tutto tranne che di economia e racconta un mondo a tinte rosa fuori dalla realtà», ha detto Antonio Misiani, responsabile Economia del Pd.

Secondo Misiani la manovra 2025 «aggrava la situazione, tagliando i fondi per le politiche industriali e gli investimenti dei comuni, abbattendo gli incentivi per l’edilizia e ignorando i costi dell’energia». Nel giudizio negativo sulle politiche economiche del governo c’è sintonia con Italia viva, con Matteo Renzi che attacca le «armi di distrazione» di Meloni: «Lei evoca complotti ma il vero problema è la realtà. Parlate di economia e non di complotti!», ha scritto in riferimento all’inchiesta scaturita dal rilascio del generale Almasri.

Visti in prospettiva, i dati vengono associati alla legge di Bilancio anche dalla Cgil: «La manovra non contiene un solo provvedimento in grado di invertire il declino economico e produttivo in corso. Al contrario lo aggraverà con i tagli alla spesa pubblica e agli investimenti», ha detto il segretario confederale Christian Ferrari, secondo cui ciò accade «non per un destino cinico e baro, ma a causa di precise scelte del governo».

Una prospettiva incerta

Del resto, per il 2025 gli analisti prevedono una crescita al di sotto dell’1,2 per cento stimato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, tra le difficoltà a impiegare i fondi del Pnrr, i rischi geopolitici e i timori di dazi. Dopo un avvio all’insegna di una crescita debole, si potrebbe comunque registrare una ripresa graduale nella seconda parte dell’anno. «La tenuta dell’occupazione, la crescita della fiducia di famiglie e imprese a gennaio e qualche segnale positivo sul versante dei saldi fanno sperare in una moderata ripresa della spesa», ha scritto l’ufficio studi di Confcommercio.

Il riferimento è agli ultimi dati sugli occupati diffusi dall’Istat. A dicembre, su base mensile, il tasso di disoccupazione è salito al 6,2 per cento (+0,3 punti), mentre quello giovanile è sceso al 19,4 per cento (-0,1). Rispetto a novembre il numero di occupati è sostanzialmente stabile, a 24 milioni 65mila. Alla buona notizia sulla tenuta del mercato del lavoro sui massimi storici si aggiunge però l’impressione che gli impulsi alla crescita degli occupati si siano definitivamente esauriti.

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