Nonostante la crescita superiore a quella del nord, il sud Italia rimane al palo: la ragione sta nel fatto che le criticità strutturali non sono state ancora affrontate, anzi. Senza interventi rischiano di peggiorare ulteriormente però
Il Sud Italia cresce più del Nord per il secondo anno di fila, ma le criticità rimangono intatte, e senza cambiamenti strutturali sono destinate a peggiorare ancora.
Possono essere sintetizzati così i dati del Rapporto Svimez 2024, dal titolo “Competitività e coesione: il tempo delle politiche”, pubblicato ieri dall’associazione. Il traino del Pnrr risulta determinante nella crescita economica delle regioni meridionali, mentre il Nord sta risentendo maggiormente della crisi dell’industria tedesca. Ma per quanto riguarda il lungo periodo le prospettive sono ben diverse.
Dati ingannevoli
A prima vista, il dato del 2024 sembra positivo: il Mezzogiorno cresce dello 0,9 per cento, superando per il secondo anno consecutivo la media del Centro-Nord (più 0,7 per cento). Tuttavia, dietro questo apparente progresso si nascondono fragilità che rendono i numeri meno incoraggianti. La crescita economica del Sud, infatti, è trainata principalmente dagli investimenti in costruzioni (più 4,9 per cento contro il più 2,7 per cento del resto del Paese), sospinti dalle risorse del Pnrr.
Questo dato, più che un segnale di consolidamento, riflette una dipendenza dalle politiche di stimolo temporanee e non garantisce una sostenibilità di lungo termine.
«Il Mezzogiorno sopravvive grazie agli interventi straordinari del Pnrr, ma resta privo di una strategia chiara per diventare un motore di sviluppo per il Paese», ha dichiarato in merito il merito il presidente di Svimez, Adriano Giannola. «Serve un progetto nazionale che valorizzi il ruolo strategico del Sud nel Mediterraneo», dice Giannola.
A peggiorare il quadro, i consumi delle famiglie nel Mezzogiorno sono già in contrazione (meno 0,1 per cento nel 2024), frenati da un incremento modesto del reddito disponibile (più 2,3 per cento contro il più 4,5 per cento del 2023). Di fatto, il miglioramento occupazionale nel Sud non è riuscito a tradursi in una crescita significativa dei consumi o in una riduzione della povertà.
Precarietà e giovani in fuga
Nonostante l’occupazione nel Mezzogiorno abbia registrato un incremento (+330mila unità dal 2019), il quadro occupazionale rimane critico. Tre milioni di persone nel Sud sono sottoccupate oppure disoccupate e il potere d’acquisto si è ridotto drasticamente: meno 5,7 per cento dal 2019 al 2024, a fronte di meno 1,4 per cento della media dell’Eurozona.
La flessibilità estrema del mercato del lavoro nel Sud è un ulteriore fattore di criticità, con oltre il 21 per cento dei lavoratori assunti con contratti a termine, rispetto al 13,5 della media europea. Questo spiega perché nelle regioni meridionali si concentri il 60 per cento dei lavoratori poveri italiani: circa 1,4 milioni di persone.
In questo contesto, è significativo che la povertà assoluta delle famiglie con una persona occupata sia aumentata, passando dal 9,5 per cento del 2021 al 16,8 nel 2023 per i nuclei famigliari con operai o assimilati.
Un ulteriore campanello d’allarme è rappresentato dalla situazione demografica: entro il 2050, il Mezzogiorno perderà 3,6 milioni di abitanti, di cui 813mila under 15, a fronte di un aumento di 1,3 milioni di anziani.
Tra il 2012 e il 2023, quasi 200mila giovani laureati hanno lasciato il Sud per trasferirsi nel Centro-Nord, aggravando il rischio desertificazione. Altrettanto preoccupante è la qualità dei servizi sanitari, con il 44 per cento dei pazienti meridionali costretti a curarsi al Centro-Nord.
Per spezzare questo circolo vizioso, Svimez sottolinea la necessità di politiche industriali di lungo respiro, a fronte dell’estrema debolezza del tessuto produttivo meridionale.
Il settore automobilistico, per esempio, è cruciale per il Sud, che ospita il 90 per cento della produzione nazionale di veicoli. Tuttavia, i dati del 2024 mostrano un calo preoccupante: meno 25 per cento rispetto al 2023, con la perdita di oltre 100mila unità prodotte.
Effetto Zes
L’eliminazione della decontribuzione per il Sud dal 2025 rischia di penalizzare ulteriormente la crescita, con una perdita stimata di 25 mila posti di lavoro e una riduzione di due decimi di punto del Pil.
L’istituzione di una Zona Economica Speciale (ZES) nell’intero Mezzogiorno potrebbe rappresentare un volano di sviluppo, ma Giannola avverte: «La ZES Unica potrebbe contribuire se ben gestita, ma da sola non basta a risolvere i problemi strutturali, come l'emigrazione giovanile e la fuga di capitali verso il Nord». I dati di questo rapporto sono chiari: nonostante si parli di un Sud in crescita, senza interventi strutturali la rinascita del Mezzogiorno resta un miraggio.
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