È ormai evidente che anche in questa legislatura non ci sarà alcuna seria riforma fiscale. Scorrendo il piano strutturale di bilancio presentato dal governo non si trova traccia neppure della famosa o famigerata flat tax. Sull’Irpef il governo punta tutto sulla conferma del passaggio a tre aliquote, sull’Iva pensa alle piccole e marginali modifiche previste nella legge delega.
I problemi sostanziali di inefficienza e di iniquità, verticale e orizzontale, che caratterizzano queste due imposte, il cui gettito corrisponde all’80 per cento del totale, rimarranno dunque ancora irrisolti.
Buona parte delle energie del governo e della maggioranza sono state investite nel concordato preventivo, il cui destino è oggi assai incerto. Non era a mio avviso sbagliata l’idea originaria di utilizzare pienamente il consistente patrimonio informativo di cui oggi dispone l’amministrazione fiscale per proporre a lavoratori autonomi e piccoli imprenditori un patto finalizzato ad ottenere da loro un reddito più credibile di quello che oggi dichiarano.
Sconti e premi
Ovviamente fin dall'inizio il problema è stato quello di stabilire dove porre l'asticella (cioè quanto chiedere in più rispetto al dichiarato) e come premiare i contribuenti che accettano la proposta. Da anni sono infatti in vigore gli indicatori sintetici di affidabilità fiscale (ISA) che ragionano con la stessa logica e i contribuenti che accedono alla premialità sono circa il 40 per cento.
Il problema diventava quindi convincere gli altri, e qui prima la maggioranza ha pensato di ridurre gli incrementi di reddito che possono essere proposti (ma il governo non ha accolto, giustamente, questa proposta) e poi di aumentare i benefici a dismisura per i contribuenti che aderiranno.
Sono state quindi introdotte aliquote molto basse sui maggiori redditi dichiarati per aderire alla proposta, con un'evidente disparità di trattamento verso i contribuenti ISA che già oggi dichiarano quei livelli di reddito e pagano le aliquote ordinarie Irpef, e da ultimo l'ennesimo osceno condono. Il paradosso è che ora quella che poteva essere una buona idea avrà o un effetto del tutto trascurabile (perché vi aderirà solo chi ha convenienza a farlo) oppure nessun effetto (perché non aderirà nessuno, visto che nel non farlo i rischi sono minimi).
Dov’è l’opposizione?
Di fronte a questa situazione, era lecito aspettarsi che l'opposizione fosse in grado di farsi sentire sia in termini di critica che soprattutto di controproposta. Ma, a parte le ottime analisi di Maria Cecilia Guerra su questo giornale e qualche dichiarazione roboante, non si sente nulla di tutto ciò. Fa bene la segretaria del PD a ricordare sempre la necessità di sostenere lo stato sociale, e in particolare la sanità e la scuola.
Ma come può essere credibile questo messaggio se non si chiarisce da dove dovrebbero venire le risorse? Siamo tutti d'accordo sul fatto che l'elusione delle multinazionali debba essere contrastata ma sarebbe davvero illusorio pensare che da ciò possa venire un incremento di gettito sufficiente a rispondere alle emergenze sociali, nello stato della finanza pubblica italiana.
Servirebbe un progetto di riforma fiscale serio, radicale e credibile che, oltre ad introdurre nuove misure per il contrasto dell'evasione (ne abbiamo parlato su questo giornale venerdì 13 settembre), abbia il coraggio di affrontare i nodi strutturali del nostro sistema fiscale. I più urgenti sono due.
Problemi strutturali
Primo, la base imponibile dell'Irpef, che è ormai frastagliata tra mille regimi agevolativi e cedolari, va gradualmente ricondotta ad unità. Innanzitutto va riassorbita la cedolare secca sulle locazioni, che, come ormai ampiamente dimostrato, non ha contribuito all’emersione e ha regalato enormi sconti d’imposta ai grandi proprietari immobiliari.
Secondo, va gradualmente riassorbito il regime forfettario, prevedendo contestualmente un ridisegno dell’Irpef che tuteli anche i piccoli lavoratori autonomi.
Più in generale, il tema dell’Irpef è la base imponibile, non l’aliquota. È davvero un esercizio limitato e poco produttivo insistere sull’aliquota continua se non come strumento per consentire di gestire meglio (rispetto alla rigidità di un sistema a scaglioni) questo ampliamento della base imponibile. Con la base imponibile attuale il passaggio da un sistema a scaglioni ad uno ad aliquota continua è puro maquillage.
Secondo, sull’Iva va avviata una riflessione senza demagogie. È ormai evidente che la presenza di una pluralità di aliquote non è il miglior strumento per difendere le famiglie povere perché le aliquote ridotte sono un vantaggio soprattutto per le famiglie che spendono di più (anche sui beni necessari) e quindi le più ricche.
Senza contare che la pluralità di aliquote aiuta alcune ipotesi di evasione. Invece di concentrarsi sull’aliquota applicata agli assorbenti, sarebbe il caso di ridiscutere l’intero impianto dell’imposta in base a principi di equità e di efficienza, che non a caso era anche uno dei principi del disegno di legge delega approvato dal governo Draghi e poi affossato in Parlamento.
E’ chiaro che nell’opposizione serpeggiano sentimenti contrastanti. C’è chi trova elettoralmente conveniente continuare a sostenere le mille consorterie che fruiscono di questa o di quella agevolazione fiscale, negando l’evasione o giustificandola come “di necessità”, e facendo finta che tutti i problemi si risolvano con il cashback (che non ha avuto alcun impatto sull’evasione, come dimostrato in una Relazione presentata per il Pnrr dal governo Draghi a fine 2021) o con il contrasto all’elusione delle multinazionali. E c’è chi, pur ammettendo a denti stretti o in convegni “tra amici” che un approccio radicale sarebbe necessario, poi non può o non vuole alzare il livello per timore di passare agli occhi dell’opinione pubblica come “la vecchia sinistra che alza le tasse”.
È vero che il coraggio se uno non ce l’ha non se lo può dare, però in molti avevamo sperato che la nuova leadership del PD lo avesse, anche sul fronte fiscale. Non è troppo tardi, e magari la discussione parlamentare sulla manovra potrebbe essere l’occasione giusta.
© Riproduzione riservata