Pur con tutte le cautele del caso, Adolfo Urso aveva già inviato un segnale chiaro ai vertici di Stellantis. «Valuteremo l’applicabilità della disciplina del Golden Power», aveva reagito il ministro delle Imprese, poche ore dopo l’annuncio della vendita di Comau, il 25 di luglio.

All’elenco dei fronti aperti tra l’esecutivo e John Elkann si era così aggiunta anche la cessione al fondo statunitense One Equity Partner della storica azienda piemontese, un marchio di punta del Made in Italy nel campo della tecnologia, in particolare dell’automazione, della robotica e affini.

Sovranisti? Dipende

Il governo però, per bocca di Urso, si era detto pronto quantomeno a dettare condizioni precise prima di dare via libera all’operazione, come previsto dalle norme sul Golden Power. Difficile arrivare a uno stop, piuttosto erano ipotizzabili una serie di prescrizioni a tutela dell’occupazione e della tecnologia dell’azienda in vendita.

Ebbene, a poco più di due mesi di distanza dall’annuncio di Stellantis, il governo sembra orientato a dare via libera all’acquirente americano senza particolari vincoli. L’impressione è che anche in una fase di tensione crescente tra Palazzo Chigi ed Elkann l’ipotesi di fare le barricate su Comau sia stata giudicata poco praticabile e forse anche controproducente.

Il fatto è che non sembra una scelta granché lungimirante ostacolare un grande fondo Usa proprio mentre il ministero dell’Economia è alla ricerca di grandi investitori internazionali per piazzare quote di aziende di Stato. È notizia di pochi giorni fa l’incontro tra Giorgia Meloni e Larry Fink, amministratore delegato di Blackrock, colosso Usa della finanza che gestisce un patrimonio di circa 10 mila miliardi di dollari. La premier che quando stava all’opposizione tuonava contro la svendita del patrimonio nazionale, adesso corteggia i big del capitalismo internazionale.

D’altra parte, nelle settimane scorse i manager di Elkann si sono spesi in grandi rassicurazioni sulla tutela dell’italianità di Comau. Va anche considerato che una volta completata la vendita Stellantis manterrà comunque una quota importante dell’azienda, pari al 49,9 per cento, secondo quanto comunicato a fine luglio e anche la squadra dei manager di vertice dell’azienda non verrà sostituita dopo il cambio di proprietà.

I sindacati hanno invece più volte espresso preoccupazione per il futuro della società, su cui pesa il precedente di Magneti Marelli, che nell’ottobre del 2018 venne ceduta per 6,2 miliardi di euro dall’allora Fca onne alla giapponese Calsonic Jansei, controllata da Kkr, un fondo statunitense al pari di One Equity partner.

I debiti derivanti da quell’operazione, uniti alle difficoltà di mercato, hanno poi pesato sul futuro di Marelli, che negli anni scorsi ha tagliato centinaia di dipendenti in Italia.

Venditori e compratori si sono spesi in grandi rassicurazioni in queste settimane a proposito del futuro di Comau, che ha oltre 700 dipendenti in Italia (circa 3 mila all’estero) e nei piani dei manager punterà soprattutto su settori alternativi a quello dell’automotive, che in passato ha trainato la crescita aziendale.

I tempi cambiano, però, e ora Stellantis, alle prese con il calo delle vendite di auto, ha tutto l’interesse a far cassa con la cessione di pezzi del gruppo ritenuti non più strategici. Da qui la decisione di fare a meno di Comau, ipotizzata già alcuni anni fa. L’ultimo ostacolo formale è l’ok del governo, che pare ormai molto probabile.

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