I sindacati del settore, messo in ginocchio dal forte calo delle vendite e dalla difficile e tutt’altro che definita transizione all’elettrico, chiedono all’Ue, al governo e all’azienda garanzie sull’occupazione: «In assenza di un’inversione di direzione, la prospettiva industriale e occupazionale sarà irrimediabilmente compromessa»
Il 18 ottobre i lavoratori italiani dell’auto incrociano le braccia. I sindacati confederali Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uil metalmeccanici hanno indetto uno sciopero di otto ore dell’intero settore automotive, con manifestazione a Roma, per difendere l’occupazione in un’industria che sta affrontando un momento di forte difficoltà non solo nel nostro paese - con le scelte per nulla rassicuranti di Stellantis - ma a livello globale e in particolar modo in Europa, come dimostrano i tagli al personale in Germania e in Belgio annunciati da Volkswagen.
Un settore, quello automobilistico, messo in ginocchio dal forte calo delle vendite e dalla difficile e ancora tutt’altro che definita transizione all’elettrico. Per questo lavoratori e sindacati chiedono risposte al governo e all’azienda, che siano in grado invertire la rotta.
La decisione dei sindacati
«Sono indispensabili urgenti interventi sulle scelte strategiche del settore da parte della Ue, mirate politiche industriali da parte del governo e impegni industriali seri e coraggiosi da parte di Stellantis e delle aziende della componentistica», si legge nel comunicato diffuso oggi da Fiom, Fim e Uilm al termine della conferenza stampa che ha ufficializzato lo sciopero del 18 ottobre.
«Le drammatiche novità provenienti dalla Germania e dal Belgio, a partire dal gruppo Volkswagen, rischiano di produrre un terremoto per tutta l’industria dell’automotive nel continente, mentre Usa e Cina difendono l’industria con fortissimi investimenti. Ciò per noi potrebbe provocare effetti dirompenti, giacché il settore rappresenta l'11 per cento del Pil italiano».
I sindacati chiedono al governo e a Stellantis di essere coinvolti nelle decisioni sul futuro dell’auto in Italia, le cui prospettive sono tutt’altro che rosee.
Produzione al palo
Rispetto al primo semestre del 2023, nello stesso periodo di quest’anno la produzione di auto è calata del 36 per cento, con un ricorso sempre più massiccio agli ammortizzatori sociali e gravi ripercussioni sulle aziende della componentistica.
Lo stabilimento torinese di Mirafiori, un tempo la fabbrica madre dell’ex Fiat, è chiuso dal 13 settembre e rimarrà chiuso almeno fino al 12 ottobre, a causa degli scarsi livelli di produzione della 500 elettrica - unica auto rimasta nelle linee di produzione insieme alla Maserati Levante - che ha venduto meno di mille esemplari dall’inizio dell’anno.
Se le vendite restano al palo, i lavoratori restano a casa. Anche negli altri stabilimenti italiani del gruppo, come Pomigliano d’Arco e Cassino, si fa sempre più ricorso alla cassa integrazione per sopperire ai bassi ritmi di produzione, mentre a Termoli la costruzione della gigafactory, che avrebbe dovuto rilanciare il tessuto industriale della zona, è stata rimandata a data da destinarsi.
«La situazione del settore automotive in Italia e in Europa diventa sempre più critica. In assenza di una netta inversione di direzione, rischia di essere irrimediabilmente compromessa la prospettiva industriale e occupazionale», scrivono le organizzazioni sindacali. La vendita di auto elettriche, inizialmente spinta dagli incentivi statali, si è fermata, per questo i sindacati chiedono l’attuazione di provvedimenti a più ampio spettro per rilanciare il settore.
Le mosse di Urso
Dal canto suo, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, che nelle settimane precedenti si è reso protagonista di uno scontro a distanza con l’Ad di Stellantis Carlos Tavares sulle questioni della gigafactory di Termoli e degli investimenti in Italia del gruppo, ha individuato un nuovo nemico: il Green New Deal, che imponendo la transizione ecologica scoraggerebbe l’acquisto di nuove auto.
Per questo motivo, al prossimo consiglio Ue sulla competitività, in programma mercoledì 25 settembre, Urso chiederà di anticipare all’inizio del prossimo anno la revisione del piano sulle emissioni del settore automotive, attualmente prevista per il 2026.
«Se lasciamo nell’incertezza imprese e consumatori nei prossimi due anni, aspettando la revisione, le imprese non sanno dove investire e i cittadini non sanno cosa comprare», ha dichiarato il ministro, che cerca sponde a livello europeo in Germania e Francia, che hanno puntato in maniera decisa sull’elettrico, ma che al momento vivono anche loro una fase di forte difficoltà, con Wolkswagen che sta valutando di tagliare 15mila posti di lavoro e di chiudere due stabilimenti tedeschi. Sarebbe la prima volta nella storia dell’azienda.
A fronte di uno scenario così fosco, lo scioperò del 18 ottobre rischia di essere solo l’inizio di una fase di agitazioni sempre più crescenti, in attesa di provvedimenti concreti che rimettano in piedi un settore in ginocchio.
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