Dazi, dazi, dazi! La politica economica del presidente americano Donald Trump non pare avere altri ingredienti o altre ossessioni sul piatto delle ricette per riequilibrare il deficit commerciale a stelle e a strisce. Gli Usa importano complessivamente più di quanto esportino anche se nel settore dei servizi la bilancia pende a loro favore.

«Firmerò un provvedimento con dazi reciproci nei confronti dei paesi di tutto il mondo. Oggi è il giorno della nostra indipendenza economica» ha detto Trump annunciando dal Giardino delle Rose della Casa bianca dazi del 25 per cento su tutte le automobili prodotte all’estero.

«Torneranno in America i posti di lavoro, torneremo presto nell’età d’oro dell’America» ha continuato il presidente. «Per anni abbiamo subito le barriere commerciali non monetarie degli altri paesi. È sconvolgente vedere cosa ci facevano» ha spiegato, brandendo un rapporto sulla storia dei dazi nel mondo. «Questi paesi hanno messo a rischio la nostra sicurezza nazionale. Non gliene faccio una colpa, ritengo responsabili i presidenti americani che lo hanno consentito» ha continuato, spiegando poi che non ci sarebbe stata la crisi mondiale del 1929 se gli Stati Uniti avessero mantenuto in piedi i dazi in vigore all’epoca. «Torneremo a essere ricchi: tanta della nostra ricchezza ci è stata portata via, adesso cominceremo a usare l’astuzia. Non possiamo pagare i deficit degli altri paesi».

Per la Cina è previsto un dazio del 34 per cento, per l’Unione europea, «molto tosta dal punto di vista commerciale», arriva un dazio del 20 per cento. Trump ha illustrato anche le altre cifre per la gran parte degli altri paesi: l’imposta sui beni britannici, per esempio, si fermerà al 10 per cento. La soluzione, per le aziende straniere, è produrre negli Stati Uniti: «Se volete zero dazi, fate i vostri prodotti qui» ha detto il presidente, citando diverse aziende che ha già annunciato nuovi investimenti su suolo americano.

Immediata la presa di posizione della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha definito i dazi «una misura che considero sbagliata e che non conviene a nessuna delle parti».

«Faremo tutto quello che possiamo per lavorare a un accordo con gli Stati Uniti, con l'obiettivo di scongiurare una guerra commerciale che inevitabilmente indebolirebbe l’Occidente a favore di altri attori globali», ha scritto su Facebook.

I precedenti

Per rimettere le cose in equilibrio l’ex presidente democratico, Joe Biden, aveva varato una vasta politica industriale di sostegno con mega investimenti per far ripartire i settori della manifattura prima abbandonati. Ma a Trump tutto questo procedimento tradizionale ed ortodosso secondo l’economia non basta e ha scelto la scorciatoia dei dazi che mettono fuori gioco i prodotti stranieri da un giorno all’altro alzandone il prezzo.

L’inizio di una guerra

Così il mondo è con il fiato sospeso, mette l’elmetto e si prepara a reggere l’urto. Trump ha parlato enfaticamente del Liberation Day, ma in realtà è l’inizio di una guerra commerciale a tutti gli effetti dagli esiti imprevedibili e dove sono in molti, anche in America, a presagire un aumento dell’inflazione, e una possibile recessione.

L’agenzia americana di rating Moody’s avverte: «Ci sono rischi per una recessione mondiale». La Casa Bianca scommette che i dazi diano slancio a una nuova industrializzazione nelle zone della Rust Belt (l’area della ruggine) e entrate fiscali supplementari che consentano di ridurre le imposte soprattutto quelle societarie. Sull’altro piatto della bilancia c’è però il rischio di un aumento dei prezzi, dell’inflazione, della recessione economica con perdita di posti di lavoro.

A quel punto la Federal Reserve, se dovesse ripartire l’inflazione, dovrebbe frenare la sua politica di tagli dei tassi o addirittura dare una stretta creditizia che farebbe rallentare i consumi interni. E allora anche gli americani si troverebbero esposti ai venti freddi del calo dei consumi e forse di un calo dei listini dei mercati azionari, elemento molto importante nella vita delle famiglie statunitensi.

Le politiche di Trump probabilmente faranno aumentare il costo della vita per i consumatori statunitensi, dimenticando che parte del suo successo elettorale era stato determinato proprio sul fatto che durante la campagna elettorale aveva ricordato il rincaro del carrello della spesa e del prezzo della benzina.

Un cambio storico

Di certo c’è che la Casa Bianca ha chiarito che le tariffe reciproche saranno in vigore subito e si aggiungeranno a quelle sulle auto: i dazi sono entrati in vigore subito dopo l'annuncio dal Giardino delle Rose, in programma subito dopo la chiusura di Wall Street alle 16.00 americane (le 22 in Italia). Secondo l’Ispi, siamo di fronte a una svolta epocale: «Il dazio medio pesato per il commercio americano passerebbe dall’1,4 per cento degli anni di massima liberalizzazione al 13 per cento, vicino ai livelli del periodo di protezionismo e isolazionismo tra le due guerre mondiali. Esattamente un secolo fa, quando però il ruolo del commercio internazionale sul Pil mondiale era intorno all’8 per cento del pil, oggi è al 29». Cento anni di storia di libero mercato di Washington viene messo in soffitta in un pomeriggio americano.

La risposta europea

Intanto Ursula von der Leyen afferma: «Sono pronte dure ritorsioni», usando per la prima volta toni duri e simili a quelli usati da Donald Trump. Anche il linguaggio un tempo diplomatico ora si sta facendo sempre più duro per adeguarsi alla nuova negoziazione gridata. Anche se poi la presidente dell’Unione aggiunge cauta: «Ma noi puntiamo al negoziato». Von der Leyen ha spiegato «Non vogliamo necessariamente intraprendere azioni di ritorsione ma abbiamo un piano solido per farlo».

I dazi, comunque, stanno già rimodellando i legami globali e la geopolitica: il Canada del premier Mark Carney ha affermato che la sua "vecchia relazione" con gli Stati Uniti è finita. Anche in Europa il cancelliere tedesco in pectore Friedrich Merz, un economista di lungo corso, dopo aver rotto il tabù del debito e aver fatto balzare i rendimenti del bund sta cercando «l'indipendenza dagli Stati Uniti» dal punto di vista della difesa.

Un mondo completamente nuovo dagli esiti incerti. Anche in Asia le minacce di dazi americani stanno creando nuove alleanze tra rivali di lunga data come Cina, Giappone e Corea del Sud che stanno pensando di trovare nuovi sbocchi alle loro merci e di aumentare gli scambi commerciali tra loro.

Le stime

Infine le stime dei dazi sul Pil in chiave macro. Di certo i dazi al 20-25 per cento sarebbero un colpo per tutti i paesi, Stati Uniti inclusi. L’Unione europea, tuttavia, risentirebbe di una riduzione di pil doppia (meno 0,4 per cento) rispetto a quella americana (meno 0,2).

All’interno dell’Europa, quella tedesca è sicuramente l’economia più esposta (meno 0,5 per cento), mentre l’Italia si situa intorno alla media UE secondo l’Ispi.

In caso di ritorsione europea, il contraccolpo sulla crescita dell’Europa stessa sarebbe ancora più forte. Ecco perché Bruxelles probabilmente prenderà tempo e non risponderà di pancia ma con raziocinio.

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