Se le teorie dei premi Nobel Acemoglu e Robinson ci insegnano qualcosa, è che per Stati Uniti ed Europa ci dobbiamo aspettare anni di crescita al di sotto del trend, dovuti a sistemi estrattivi a difesa delle rendite di posizione e degli “interessi nazionali”. Se così fosse, Trump sarà ricordato come una “critical juncture” che ha frenato la crescita del benessere sulle due sponde dell’Atlantico
La crescita economica, come il declino, i sistemi politici e le forme di governo, sono processi evolutivi che non derivano in modo univoco da cause chiaramente identificate: ognuno fa storia a sé. Spesso originano da “critical junctures”, discontinuità nei sistemi e nelle istituzioni le cui conseguenze durano nel tempo, ma sono difficili da prevedere. Mi chiedo se Donald Trump non costituisca una “critical juncture”, con un impatto sugli equilibri politici ed economici nel mondo che dureranno ben oltre i quattro anni del suo mandato.
Il lavoro dei premi Nobel Daron Acemoglu e James A. Robinson (Why Nations Fail) aiuta a comprendere il momento che stiamo vivendo. La loro teoria della crescita si basa sull’interdipendenza tra le istituzioni economiche e quelle politiche, e sulla distinzione tra istituzioni estrattive e quelle inclusive.
Le istituzioni economiche inclusive promuovono la crescita perché incentivano le iniziative imprenditoriali, l’innovazione e l’adozione delle nuove tecnologie, assicurano che capitali e risorse umane siano indirizzate laddove sono maggiormente produttive, spostandole dai settori in declino, in questo modo incrementando la produttività, e quindi il reddito, che genera le risorse da redistribuire a favore delle fasce più deboli.
Le istituzioni economiche inclusive richiedono che anche quelle politiche lo siano, in modo tale da assicurare che la concorrenza, il rispetto delle regole, la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, la lotta alla corruzione, e il buon governo impediscano la creazione di rendite di posizione da parte di chi ha maggiormente beneficiato dell’innovazione e del progresso tecnologico. Istituzioni economiche e politiche inclusive si sostengono a vicenda, interagendo in un circolo virtuoso.
All’opposto ci sono le istituzioni economiche estrattive, dove benessere e risorse sono concentrate nelle mani di pochi, che osteggiano concorrenza e innovazione per preservare i loro interessi costituiti; ma che per farlo necessitano di istituzioni politiche altrettanto estrattive che sostengano questi medesimi interessi.
Potere economico e potere politico interagiscono e si sostengono a vicenda per preservare il sistema, in un circolo vizioso che pregiudica la crescita. Le istituzioni politiche estrattive possono promuovere la crescita economica favorendo l’inclusività di quelle economiche, ma il sistema non è sostenibile perché alla lunga le istituzioni economiche metterebbero a repentaglio la sopravvivenza del sistema politico che, per perpetuare il proprio potere, reagisce mettendo un freno all’economia inclusiva e alla sua capacità di innovare, crescere, e distribuire il benessere. Il caso cinese, è emblematico in questo senso.
Internet e il crollo del muro
Il mondo in cui viviamo oggi potrebbe essere visto come il risultato di due “critical junctures”: l’avvento di internet e il crollo del muro di Berlino. Internet ha costituito una discontinuità tecnologica dalle enormi potenzialità economiche.
Gli investitori hanno inizialmente investito nei media e nelle comunicazioni pensando che sarebbero stati i maggiori beneficiari: ma poiché non sono le imprese consolidate che generano innovazione e crescita, si è creata una bolla che, inevitabilmente, è scoppiata. Il sistema economico inclusivo degli Stati Uniti, grazie a internet, è invece stato capace di diventare un magnete che ha attirato i migliori talenti dal mondo (ai vertici delle grandi società tecnologiche americane ci sono prevalentemente stranieri di nascita), finanziato le nuove iniziative sulla base delle loro prospettive future, e trasformato la Silicon Valley nel centro dell’innovazione nel mondo, che ha formato il capitale umano necessario per sviluppare le nuove tecnologie.
A loro volta istituzioni politiche inclusive hanno introdotto nuove regole per evitare gli eccessi del passato nel mercato dei capitali, e perseguito chi ne aveva abusato; sostenuto la ricerca; tutelato la libertà di informazione e la concorrenza. Il risultato è stato la creazione dell’iPhone nel 2007 che ha cambiato il modo in cui comunichiamo e socializziamo, e ha fornito a ciascuno di noi un potente computer creando così una vasta rete con cui interagiamo, compriamo beni e servizi, gestiamo il tempo libero, e facciamo transazioni di ogni tipo.
Un circolo virtuoso tra istituzioni economiche e politiche inclusive che ha generato negli Stati Uniti un lungo periodo di crescita, innovazione, aumento della produttività, e benessere. Che, in pochi mesi, Trump ha distrutto.
L’èra Trump
Le imprese tecnologiche sono cresciute a dismisura espandendosi e dominando sempre più settori, estraendo valore dalle informazioni personali, monopolizzando i benefici del proprio successo a discapito delle nuove iniziative, ed esercitando un’influenza dominante sul mercato dei capitali.
Le grandi istituzioni economiche americane sono diventate sempre più estrattive, ma per questo avevano bisogno che anche quelle politiche lo diventassero, per sostenersi vicendevolmente e spartirsi i benefici.
L’hanno ottenuto con Trump che ha già limitato la libertà di informazione e di critica; sfruttato i social per manipolare l’opinione pubblica, con il beneplacito delle grande imprese tecnologiche; premiata la fedeltà con nomine ai vertici dell’amministrazione; permesso i più palesi conflitti di interesse; depotenziato la regolamentazione e il ruolo di controllore del Congresso con gli ordini esecutivi; calpestato diritto e accordi internazionali per promuovere specifici interessi economici, che a loro volta sostengono Trump. Da virtuoso, il circolo è diventato rapidamente vizioso.
Il circolo vizioso europeo
In Europa il crollo del muro di Berlino ha permesso la riunificazione tedesca, l’allargamento dell’Unione ai paesi dell’ex Unione sovietica e la moneta unica: si è così creato un vasto mercato interno per gli scambi di beni e servizi a beneficio delle imprese europee; garantito la libertà di movimento delle persone e dei capitali al suo interno permettendo che andassero laddove erano più produttivi; eliminato l’incertezza dell’inflazione e delle svalutazioni competitive che scoraggiavano gli investimenti; e beneficiato della certezza di regole uniformi e di uno stato di diritto comune. Si è così creato un circolo virtuoso in Europa tra sistemi economici e politici inclusivi, che ha garantito agli europei anni di crescita e benessere.
Ma gradualmente hanno prevalso gli interessi consolidati nei settori tradizionali come auto, metalmeccanica, industria pesante, manifattura, e servizi di pubblica utilità, che hanno gradualmente eroso l’inclusività dell’economia europea ottenendo dai sistemi politici l’innalzamento di barriere a protezione dalla concorrenza esterna, la segmentazione del mercato bancario per privilegiare il credito alle imprese nazionali, un modello di crescita basato sulle esportazioni, lo sfruttamento delle filiere produttive in Cina, e l’energia a basso costo dalla Russia, che privilegiasse gli interessi dell’industria a scapito dei consumi domestici.
Un sistema economico diventato estrattivo che, per difendere gli interessi consolidati, ha impedito lo spostamento delle risorse dai settori in declino a quelli innovativi: l’Europa ha così perso la rivoluzione tecnologica a favore degli Stati Uniti, pagando un prezzo salato in termini di produttività. Il deficit di crescita ha generato malessere sociale, causando l’avvento di forze politiche nazionaliste in tutti i paesi, avverse all’Europa e al mercato unico, in un circolo vizioso di istituzioni economiche e politiche sempre più estrattive.
L’autarchia di Trump, la de-globalizzazione, la guerra in Ucraina, e ora la fine dell’atlantismo e degli accordi multilaterali, rischiano di trasformare il circolo vizioso europeo in un vortice. Se le teorie di Acemoglu e Robinson ci insegnano qualcosa, è che per Stati Uniti ed Europa ci dobbiamo aspettare anni di crescita al di sotto del trend, dovuti a sistemi estrattivi a difesa delle rendite di posizione e degli “interessi nazionali”. Se così fosse, Trump sarà ricordato come una “critical juncture” che ha frenato la crescita del benessere sulle due sponde dell’Atlantico.
© Riproduzione riservata