Dopo il crollo dei profitti il vertice dell’azienda avvia il piano di ristrutturazione. Possibili chiusure per tre impianti. Il cancelliere Scholz: «Siamo con i lavoratori»
Dopo settimane di indiscrezioni su possibili tagli in arrivo, per il gruppo Volkswagen sembra arrivato il momento della verità. La casa automobilistica di Wolfsburg ha infatti deciso di chiudere almeno tre stabilimenti del gruppo in Germania, il che comporterebbe il taglio di 15mila posti di lavoro.
È una decisione storica, visto che sarebbe la prima pesante ristrutturazione nella quasi secolare storia dell’azienda, fondata nel 1937. E le brutte notizie per i suoi dipendenti non finiscono qui: oltre alla chiusura dei tre stabilimenti, i vertici di Volkswagen hanno annunciato anche un taglio dello stipendio dei lavoratori del 10 per cento, insieme al congelamento dei salari per tutto il 2025 e il 2026, oltre alla possibilità di tagliare i bonus legati alla posizione e all’anzianità.
Misure draconiane per tamponare un’emorragia di profitti che riguarda l’intero mondo dell’automotive, soprattutto in Europa, dove i piani di conversione all’elettrico arrancano e la concorrenza dei produttori asiatici erode progressivamente quote di mercato dei produttori del continente.
La decisione di Volkswagen era nell’aria da diverse settimane, ma nella mattinata di lunedì è arrivata la dichiarazione del consiglio di fabbrica, l’organo di rappresentanza dei lavoratori all’interno dell’azienda. Lavoratori e sindacati ovviamente non ci stanno, e si preannuncia una dura battaglia, con una stagione di scioperi che potrebbe iniziare molto presto.
«Nessuno è al sicuro»
«Il consiglio di amministrazione ha deciso di chiudere almeno tre stabilimenti Volkswagen in Germania», ha dichiarato stamattina Daniela Cavallo, presidente del consiglio di fabbrica dell’azienda tedesca, nel corso di un incontro con i dipendenti presso il quartier generale di Wolfsburg.
Secondo Cavallo – figlia di un emigrante italiano che si è trasferito in Germania per lavorare proprio in Volkswagen – i tagli non finirebbero qui: «Tutti gli stabilimenti tedeschi del gruppo sono interessati da questi piani. Nessuno è al sicuro».
Volkswagen impiega circa 120mila dipendenti in tutto il Paese, divisi tra dieci stabilimenti: sei in Bassa Sassonia (il Land che comprende Wolfsburg), uno in Assia e tre in Sassonia, nell’ex Ddr. Se il piano di ristrutturazione annunciato si tramutasse in realtà, vedrebbe una riduzione di oltre il 10 per cento della forza lavoro del gruppo in Germania.
Una svolta epocale, nonché un unicum assoluto nella storia dell’azienda, che in questo modo metterebbe fine al suo accordo di protezione dell’occupazione, un programma di sicurezza del lavoro in vigore dal 1994, e che prevede la tutela di tutti i posti di lavoro.
Le fabbriche da chiudere
I vertici non hanno comunicato quali sono gli stabilimenti interessati dal provvedimento di chiusura, il che non fa che accrescere il clima d’incertezza. Stando ai rumors, il primo della lista sarebbe quello di Osnabruck, in Bassa Sassonia.
Qui attualmente si producono due modelli della Porsche, la Cayman e la Boxster, ma a partire dal 2026 la produzione è stata spostata a Zuffenhausen, fabbrica principale del marchio di auto sportive. Questa decisione riduce sensibilmente l’attività produttiva del sito di Osnabrück, rendendolo meno redditizio e più esposto ai tagli decisi dalla dirigenza Volkswagen.
Inoltre, Osnabrück, pur avendo una capacità produttiva di circa 100mila veicoli annui, ha registrato una produzione inferiore alle sue potenzialità, con soli 28mila veicoli assemblati nel 2023. Ma, come ha spiegato Daniela Cavallo, tutti gli stabilimenti sono a rischio. IG Metall, il principale sindacato dei lavoratori metalmeccanici tedeschi, parla di «pugnalata al cuore dei lavoratori» e si prepara a una dura lotta.
Secondo il sindacato, si tratta di una decisione «irresponsabile», che mina alle fondamenta la credibilità di Volkswagen. Nel mentre è in corso la trattativa tra sindacato e azienda per il rinnovo del contratto collettivo, dopo che i vertici hanno respinto la prima proposta di un aumento del 7 per cento dei salari, sostenendo al contrario la necessità di tagliare i costi.
Il piano della dirigenza prevederebbe infatti una riduzione degli stipendi del 10 per cento. Al momento la trattativa pare in salita, e lo spettro degli scioperi si fa sempre più concreto.
Scholz corre ai ripari
La Germania sta affrontando una congiuntura economica negativa, entrando nel secondo anno consecutivo di recessione (la stima del Pil per il 2024 è di -0,2 per cento, dopo il -0,3 registrato nel 2023), e una decisione come quella di Volkswagen inevitabilmente getterebbe benzina sul fuoco, alimentando le già profonde tensioni sociali del Paese, tra le cause principale dell’ascesa dell’ultradestra di AfD. Per questo il governo tedesco si è affrettato a chiedere alla casa automobilistica di rivedere il suo piano di ristrutturazione, mantenendo i posti di lavoro.
Il cancelliere Olaf Scholz ha dichiarato che la salvaguardia dell’occupazione e delle sedi produttive è una priorità per il governo, evidenziando che qualsiasi piano di ristrutturazione deve considerare alternative che preservino il tessuto occupazionale.
«Le decisioni sbagliate del management del passato non devono andare a scapito dei dipendenti», ha dichiarato il suo portavoce Steffen Hebestreit. Dello stesso parere Stephan Weil primo ministro della Bassa Sassonia (che detiene una partecipazione del 20 per cento in VW), anche lui come Scholz appartenente all’Spd: «Servono soluzioni alternative alla chiusura degli stabilimenti», ha dichiarato.
Il ceo di Volkswagen Thomas Blume non intende però fare passi indietro: «La Germania, come sede aziendale, sta perdendo terreno in termini di competitività. Di conseguenza, l’azienda deve agire ora con decisione». La “macchina del popolo” si trova di fronte a un bivio epocale.
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