Nella città ligure si compì un evento straordinario: rispetto alla vulgata di chi ha attribuito il merito della Liberazione all’intervento degli Alleati, qui la vittoria sui nazi-fascisti fu conseguita invece ad opera dell’ insurrezione popolare guidata dai partigiani. La città insorse sotto la guida da chi credeva nelle idee di chi aveva scritto il Manifesto di Ventotene
Si spera che ogni intento polemico non si palesi nell'80° anniversario della Liberazione, anche perché l'ultima provocazione risale a poco più di un mese fa: una rilettura di parte del Manifesto di Ventotene ad uso nel dibattito politico è stato l'ultimo atto dell' eterno “processo alla Resistenza”. Quel momento fondativo della Repubblica è da troppo tempo un “imputato a vita”, non solo nei processi ai partigiani celebratisi nel dopoguerra, ma anche nelle ricostruzioni e nel discorso pubblico dei nostri tempi: è la tesi richiamata anche dalla storica Michela Ponzani in Processo alla Resistenza. L'eredità della guerra partigiana nella Repubblica 1945-2022, edito da Einaudi.
A partire dai richiami alla "guerra civile” (Pavone, Montanelli, Cervi), alla “fine della Patria” (Galli della Loggia) e all'”Italia allo sbando” (Aga Rossi), si è arrivati alla sofferta denuncia del “Sangue dei vinti” (Pansa): tra eterogenesi dei fini e damnatio memoriae tutto ha finito per alimentare le narrazioni dell'anti-resistenza. Il valore condiviso della lotta al nazi-fascismo è diventato secondario: sono state rimarcate le stragi compiute dai partigiani, le violenze e le rivalità interne alle fazioni.
E soprattutto sono imperanti i mainstream revisionisti: 1) anche i repubblichini di Salò meritano la memoria perché nella guerra civile si ritenevano “patrioti” dalla parte giusta (non conta la complice adesione ad un regime criminale con diretta responsabilità nella guerra, negli omicidi e nelle persecuzioni degli oppositori, come nelle leggi “fascistissime” sulla razza); 2) la Resistenza - come d'altronde il Risorgimento - non vide di fatto un coinvolgimento popolare ma fu un movimento circoscritto a qualche migliaio di combattenti, anch'essi responsabili di atrocità; 3) la leadership del movimento fu di un gruppo che mirava a instaurare un regime comunista, e questo fu evitato solo con la vittoria conseguita soprattutto ad opera dagli alleati.
Almeno un'altra storiografia ha dato luce a pagine trascurate della Resistenza, come quelle del sacrificio di chi aveva salvato gli ebrei, degli internati che non aderirono alla Repubblica di Salò, delle stragi e dei martirii come quelli del vice brigadiere dei carabinieri Salvo D'Acquisto e di tanti altri militari del Regio Esercito che a titolo individuale o con intere unità decisero di combattere contro i nazi-fascisti. In questa prospettiva anche la storia dell'insurrezione di Genova può quindi contribuire a ritrovare la vera prospettiva sulla dignità di quanti combatterono per la Resistenza.
Il modello Genova
Non è casuale dunque la scelta del presidente Sergio Mattarella di commemorare il 25 aprile in occasione dell'80° anniversario della Liberazione a Genova, Città Medaglia d'Oro al Valor Militare per il contributo dato alla Resistenza. Il significato della lotta di Genova si rinviene nel giudizio degli storici, tra cui figura la meritoria ricostruzione di Marcello Flores e Mimmo Franzinelli Storia della Resistenza (Laterza), in particolare nel capitolo La liberazione 'modello' Genova. Si tratta di un episodio emblematico in cui è emersa - come riconosciuto dagli stessi Alleati - la capacità delle formazioni partigiane di insorgere insieme al popolo genovese e di liberarsi «con proprie forze», tanto che «la resa tedesca avvenne nelle mani del Cln» e il generale tedesco Meinhold dovette riconoscere la propria sconfitta nelle mani di un operaio, Remo Scappini.
Non fu comunque un fatto occasionale, perché rispondeva alla strategia del movimento della Resistenza italiana che in quel periodo non condivise del tutto - sebbene con le cautele del caso - le direttive degli alleati. In generale gli anglo-americani volevano che il movimento partigiano si limitasse a colpi di mano e sabotaggi senza che diventasse un vero e proprio esercito di liberazione nazionale “istituzionalizzato”.
Inoltre, nell'inverno del 1944 gli alleati, nonostante la posizione divergente di Churchill che guardava con attenzione al fronte italiano per la progressiva avanzata a est dell'Armata Russa, considerarono di fatto la priorità del fronte francese: a giugno 1944 c'era stato lo sbarco in Normandia e nell'agosto erano sbarcati in Costa Azzurra invece che in Liguria. Il proclama “Alexander” decideva dunque la sospensione dell'offensiva contro la Linea Gotica e quindi anche delle azioni dei partigiani a ridosso del fronte appenninico.
Il Cln nazionale aveva un'altra visione politica, preoccupato che in questo modo potesse affievolirsi la spinta del movimento che puntava al consenso del popolo e a risvegliare la coscienza nazionale: l'insurrezione generale era nell'obiettivo della Resistenza, come fu chiarito nella circolare Longo in cui si definiva come caratteristica fondativa del movimento partigiano «l'iniziativa dal basso e la solidarietà popolare e nazionale». Napoli, Roma e Firenze avevano avuto così importanti insurrezioni popolari contro l'occupante, ma la loro liberazione era avvenuta soprattutto per il contributo determinante dell'avanzata degli Alleati.
Genova rappresentò un altro scenario: come tratteggiato anche nella Breve storia dell'insurrezione di Genova pubblicata nel 1960 da Paolo Emilio Taviani - esponente dei democratici cristiani nel CLN genovese - la liberazione della città ligure è il risultato di una rivolta popolare eccezionale, pianificata e attuata da mesi. Genova può così rappresentare un esempio della forza identitaria, popolare e nazionale della Resistenza, peraltro anche per la partecipazione delle sue più ampie componenti ideologiche.
L'insurrezione finale
Dall'estate del 1944 a Genova sono attive più di 40 Sap, le Squadre di azione partigiana riconducibili alle Brigate Garibaldi del Partito comunista, ma ci sono anche le Brigate Mazzini, Giustizia e Libertà, Matteotti e Giovane Italia, riconducibili alla composita area liberale, socialista, repubblicana e azionista, come ancora la brigata liberale Crosa, le brigate Patria Cozzo e Da Pozzo di orientamento democristiano, e le formazioni anarchiche e libertarie Malatesta, Pittaluga e Pisacane. Non mancano compagini del tutto spontanee come la Banda Raffe, formata da portuali, ricordata per aver preso il controllo dei caruggi e della zona di Principe.
Accanto al Comitato di Liberazione sono sorti spontaneamente anche numerosi comitati di delegazione, di rione, di azienda, dove i partiti svolgono un'azione fattiva di propaganda, di ricerca di fondi, di assistenza alle vittime politiche, e organizzano manifestazioni, scioperi, occupazioni e presidi a tutela delle fabbriche e dei trasporti, mentre i partigiani possono dedicarsi agli atti di sabotaggio più rischiosi.
Nell'aprile 1945 i tempi sono maturi per l'insurrezione finale, che si compie tra la sera del 23 e il 26 aprile 1945: sarà l'unico caso europeo in cui le forze della Resistenza riusciranno a sottomettere una grande unità tedesca, senza alcun intervento diretto degli Alleati.
La sera di lunedì 23 aprile, le autorità fasciste fuggono dalla città e il generale germanico Meinhold fa sapere al cardinale arcivescovo Pietro Boetto che le truppe tedesche avrebbero abbandonato la città e la provincia in quattro giorni, che non l'avrebbero distrutta, se non in qualche impianto bellico, purché avessero potuto attuare indisturbati i loro movimenti.
La Curia informa il Cln che si riunisce in segreto presso la chiesa di San Nicola alle 21. Forti delle bande partigiane presenti in città già pronte ai combattimenti, alcuni vogliono iniziare l'azione prima dell'arrivo degli alleati, anche per affermare una capacità di forza combattente autonoma (pure ideologicamente).
Altri invece vorrebbero assecondare sia la cautela degli alleati (oltre alle ragioni già dette sulla tregua dell'inverno del 44, per loro era da scongiurare l'insurrezione, temendo anche che il Cln sfuggisse al controllo come accadeva in Grecia) sia la ritirata del nemico: c'è la concreta possibilità di un bagno di sangue per la popolazione civile, considerata la superiorità delle truppe tedesche dotate di artiglieria pesante e con un rapporto di forze di circa 7 a 1.
Ma mentre la riunione è in corso, arriva il deflagrare delle esplosioni e l'eco dei combattimenti dal ponente cittadino delle fabbriche genovesi: il movimento partigiano più combattivo si è già mosso.
La resa nelle mani del Cln
All'alba del 24 aprile, a maggioranza e non all'unanimità secondo la prassi, viene deciso di stilare un manifesto in cui si incita la popolazione all'insurrezione e le unità combattenti ad entrare in azione. Si tratta in sostanza di una ratifica politica e unitaria del CLN del moto insurrezionale già in atto, quando almeno 20 mila genovesi si uniscono in qualche modo alle bande partigiane: i fascisti svaniscono temendo ritorsioni, ma rimangono le truppe tedesche.
Emerge però la capacità militare delle forze di liberazione, che trovano appoggi interni nelle varie sedi istituzionali che vengono attaccate: alle dieci del mattino del 24 aprile il Palazzo del Comune, l'azienda dei telefoni, la questura, le carceri di Marassi sono occupate. Il Comando militare del Cln ha fatto interrompere – con l'abbattimento dei tralicci – la circolazione ferroviaria in tutta la Liguria e verso il Piemonte, impedendo i movimenti ferroviari delle truppe germaniche in ritirata. Anche le locomotive sono state private di parti essenziali (bielle, valvole, ecc.) per evitare la cattura delle macchine da parte dei tedeschi.
I comandi tedeschi si trovano isolati nei posti di comando con i collegamenti telefonici tagliati e anche le strade ordinarie bloccate, e presidiate dai partigiani. Un emissario delle forze tedesche informa la Resistenza dell'intenzione di bombardare la città se non viene loro concesso il transito verso la pianura Padana.
Alla minaccia il Cln comunica che avrebbe risposto passando per le armi come criminali di guerra tutti i prigionieri tedeschi, il cui numero raggiungeva ormai il migliaio. Il generale Meinhold, convintosi dell'impossibilità e dell'inutilità di forzare il blocco partigiano (gli alleati erano ormai vicini) la sera del 24 chiede di incontrarsi con il Cln.
Il successo della Resistenza è palpabile: anche la Curia prende atto che la resa incondizionata è l'unica soluzione possibile. Il 25 aprile il generale Meinhold firma l'atto di resa di poche righe, con inequivocabili condizioni: «1) Tutte le forze armate germaniche di terra e di mare alle dipendenze del sig. Generale Meinhold si arrendono alle Forze Armate del Corpo Volontari della Libertà alle dipendenze del Comando Militare per la Liguria; 2) La resa avviene mediante presentazione ai reparti partigiani più vicini con le consuete modalità e in primo luogo la consegna delle armi; 3) Il Cln per la Liguria si impegna ad usare ai prigionieri il trattamento secondo le leggi internazionali, con particolare riguardo alla loro proprietà personale e alle condizioni di internamento».
Nei reparti della Kriegsmarine, comandata dal capitano di vascello Max Berninghaus, si decide la condanna a morte di Meinhold sconfessandone la capitolazione: i combattimenti si protraggono fino a tutto il 26 quando in serata arrivano le avanguardie delle truppe alleate che entrano in città la mattina del 27. «A wonderful job», così gli ufficiali americani della Divisione Buffalo entrati a Genova definiscono la liberazione della città trovandosi di fatto il lavoro già compiuto.
La nascita della Repubblica
L'insurrezione genovese avrebbe inciso su tutto il corso della guerra in Italia: erano state distrutte o disperse due divisioni tedesche, che avrebbero potuto ritirarsi sul Po, difendere Milano e Torino, e organizzarsi poi sull'Adige. Milano invece poteva insorgere senza preoccuparsi che sopraggiungessero truppe tedesche dal sud, mentre le divisioni tedesche del Piemonte sarebbero rimaste isolate, e facilmente contrastate dai contingenti partigiani delle Langhe e delle Alpi.
Per Taviani 300 morti e 3000 feriti furono il contributo di sangue che Genova pagò per la sua insurrezione, «ma fra tutte le morti di una guerra inutile e rovinosa, queste sono state certo le più preziose, perché hanno riscattato l'onore d'un popolo, che sembrava smarrito nelle ore infauste dell'8 settembre».
La Storia dell'Italia democratica può dunque ricordare l'insurrezione e la liberazione di Genova come una vittoria popolare e tutta italiana della Resistenza. I revisionismi storici qui non reggono: chi a Genova nel 1945 si è sacrificato perché ha creduto nella libertà aveva le stesse idee di chi ha scritto nel 1941 il Manifesto di Ventotene credendo nei comuni destini di una «pace giusta» per l’Italia e l’Europa.
Sono le stesse idee di chi ha costruito la Repubblica e varato la Costituzione, su cui si reggono ancora i nostri diritti e la libertà.
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