Un serpentone ha attraversato una città ancora dormiente. Attiviste, studentesse e studenti, semplici curiosi. Tutti insieme per ricordare i «104 femminicidi, lesbicidi e trans*cidi del 2024». «La cultura patriarcale non si sconfigge con le leggi, ma finanziando i centri anti-violenza, aprendo e non chiudendo i consultori, portando l’educazione del rispetto nelle scuole»
Paolo è lo storico fioraio di piazza Vittorio, a Roma. La mattina dell’8 marzo ha tirato su la saracinesca del suo chiosco e l’ha tinto di giallo, mettendo nei vasi una grande quantità di mimose. Ma le «signore dicono che loro i fiori non li compreranno», ha spiegato Paolo mentre la piazza, punto di partenza del corteo organizzato dalla rete Non una di meno per l’8 marzo, iniziava a gremirsi. «Non abbiamo bisogno di mimose - ha replicato a Domani Sonia del gruppo transfemminista -. Questo non è un giorno di festa, ma di sciopero, di lotta».
Al grido di «insieme siam partite, insieme torneremo», il serpentone di manifestanti - hanno partecipato in 20mila in base a quanto fa sapere Non una di meno - ha così attraversato di buon mattino una città ancora dormiente. Attiviste, studentesse e studenti, semplici curiosi. Tutti insieme per ricordare i «104 femminicidi, lesbicidi e trans*cidi del 2024» e quanta strada ancora si debba percorrere per contrastare il patriarcato.
«ERGASTOLO? NON SERVE»
Le riflessioni di chi ha partecipato al corteo non potevano che partire dalla proposta di legge contro i femminicidi varata dal governo. «Non abbiamo bisogno dell’ergastolo - ha dichiarato Leonia Vattani, della rete consultori Lazio - Si tratta di una mera bozza che ancora una volta ci mette davanti all’attività propagandista dei nostri governanti».
Analoga l’opinione di un’altra delle attiviste di Non una di meno, Maria Righi. «La cultura patriarcale non si sconfigge con le leggi, ma finanziando i centri anti-violenza, aprendo e non chiudendo i consultori, portando l’educazione del rispetto nelle scuole», ha chiosato l’attivista. In testa al corteo, c’era anche la parlamentare dem Cecilia D’Elia. Un cardigan fucsia e tanta voglia di partecipare. «Anche io credo - ha detto a Domani - che non si abbia bisogno dell’ergastolo, quanto di giustizia. Prima tuttavia di prendere posizione bisognerà leggere attentamente la proposta di legge sui femminicidi, che comunque è un piccolo passo in avanti per sradicare la cultura della violenza. Poi certo - ha concluso D’Elia - esistono tanti altri progetti di legge, come quelli sull’educazione affettiva nelle scuole, che non riusciamo a discutere in aula».
E mentre Rumore di Raffaella Carrà veniva trasposta in Lis, la parola è passata anche i collettivi studenteschi, oltre alle referenti di molte altre associazioni femministe. Dietro a un lungo striscione, alle bandiere della Palestina e a una gigantografia del ministro Valditara in versione sceriffo, ecco Leonardo del liceo Cavour (in mattinata anche un sit in davanti al Mim). «La vera emancipazione non è avere una premier donna - ha affermato - ma sarebbe avere una premier donna transfemminista. Cosa che evidentemente Meloni non è».
DAI CONSULTORI AL PRECARIATO
Ogni tappa della manifestazione fondamentale per ricordare temi spinosi. Tra questi la carenza dei consultori in Italia. «A livello nazionale la situazione è tragica - ha detto l’attivista Graziella Bastelli -, negli ultimi 10 anni sono stati chiusi più di 230 consultori pubblici e sono stati aperti più di 200 consultori privati, affidati a lobby cattoliche e antiabortiste. Su Roma viene dichiarata - ha continuato Bastelli - la presenza di 110 consultori ma in realtà le strutture non arrivano a 60». Poi la denuncia del precariato e della disparità salariale. Lungo via Merulana anche Lucia, assegnista di ricerca a Pisa. «Noi ricercatori - ha affermato - viviamo una situazione di totale instabilità, abbiamo una data di scadenza che non ci consente di crearci un futuro. E contro la riforma Bernini, che acuisce tutta questa precarietà, vogliamo protestare: l’appuntamento è il 20 marzo per una mobilitazione nazionale». Si lotta, si sciopera.
Non solo l’8 marzo dunque. In mezzo al corteo, che è arrivato fino al Circo Massimo e nel pomeriggio a Largo Argentina, con protesta contro Luca Barbareschi innumerevoli striscioni. «Scrivi quando torni a casa», si è letto ad esempio su un cartello. «Il motivo? L’abbiamo scritto perché - ha detto un’altra attivista - non ci sentiamo sicure per le strade, nelle aule delle nostre scuole ed università e sui posti di lavoro. Ma la soluzione non è di certo l’esercito in strada».
Oltre a Roma sessanta le piazze in Italia dove si è protestato. «In realtà - ha concluso Graziella Bastelli - noi lottiamo ogni giorno. Per la cultura del rispetto, per un sistema sanitario che tenga in considerazione i diritti di tutti, perché le donne non guadagnino il 20 per cento in media in meno degli uomini. C’è molto ancora da fare». E Righi ha fatto eco: «Oggi come oggi queste mimose non sono altro che fiori secchi». Le signore hanno detto che loro quei fiori non li avrebbero comprati.
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