Ivan Lendl si è nascosto per anni sui campi da golf della Florida e del Connecticut prima di ricomparire nel mondo del tennis. Per portare Andy Murray alla vittoria di Wimbledon, fra l’altro. Yannick Noah, dopo aver smesso di giocare, si è cimentato un po’ con tutto assistendo un figlio che è diventato cestista di un certo livello in Nba: ha scritto libri su sé stesso e ha cantato e suonato vestendo i panni di un post-Bob Marley di accettabile successo.

Dalla prossima stagione (lui che è stato anche il capitano di Davis capace di riportare l’insalatiera a Parigi, primo a riuscirci dopo i fasti di les Mosquetaires) tornerà in gioco e sarà capitano della formazione europea in Laver Cup al posto di Bjorn Borg.

Nessuno di loro però, e nessuno dei tanti big che la storia del tennis ha proposto nel corso degli anni, una volta terminata la carriera si è impadronito del business tennistico. Ognuno ha cercato la sua strada per trovare un punto di equilibrio fra la saturazione che il tennis produce in chi ha preso a racchettate una pallina da quando era bambino e la dipendenza che quella saturazione produce: allontanarsi dai campi ma senza abbandonarli del tutto.

Dietro l’angolo

Come non cedere invece alla tentazione di immaginare che i protagonisti della più potente dittatura mai vista in campo sportivo nell’ultimo ventennio, in futuro si ritrovino a essere i dominatori anche in cabina di regia? Roger Federer, Rafa Nadal, Novak Djokovic, Andy Murray: la loro epoca è al lumicino come dimostra il fatto che per la prima volta dal 2003 nessuno di loro ha vinto un titolo Slam. Lo svizzero celebra in questi giorni i due anni dal suo ritiro, Rafa (che in quell’occasione pianse tenendo per mano l’amico rivale) non si è presentato a Berlino per la Laver Cup 2024, chissà se e quando lo rivedremo.

Murray ha chiuso. Resta Nole che ha conquistato l’oro olimpico e almeno un’altra stagione la disputerà con l’unico obiettivo dei tornei Slam e magari della Davis. Ma il tennis si “libererà” davvero di loro o in un prossimo futuro li ritroveremo a gestire il mondo che hanno dominato in campo come pochi prima di loro?

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Roger

La Laver Cup è una creatura di Roger Federer (e del suo manager Tony Godsick) che ha acquisito la qualifica di torneo Atp ma non assegna punti. Roger l’ha immaginata come una versione tennistica della Ryder Cup di golf, ma mentre i golfisti quando gareggiano in quell’ambito si scannano per davvero, in Laver Cup prevale il clima di raduno fra amici o presunti tali: una via di mezzo fra torneo ed esibizione di stralusso che però rappresenta la testa di ponte di Federer nella “dirigenza” del tennis. Roger la saturazione non l’ha mai provata e ha smesso perché le ginocchia gli hanno imposto uno stop.

Se fosse stato sano sarebbe ancora in campo. È lui però il maggior indiziato per un ruolo, all’interno del portafoglio delle sue attività, da leader tennistico e forse non solo. È un marchio straglobale, si è issato al ruolo di sportivo-Stato (non “di” Stato), è il volto della Svizzera in ambito turistico e pure commerciale. Pochi giorni fa lo si è visto in un promo dedicato a promuovere l’autunno nei boschi della Confederazione in compagnia di Mads Mikkelsen.

Sui social ha furoreggiato un suo filmato in cui palleggia provando lo slice di rovescio durante un evento organizzato dalla sua storica azienda di forniture tecniche: è bastato vederlo con una racchetta in mano per far sognare a qualcuno un suo rientro. La Laver Cup ha rinnovato l’accordo con l’Atp per i prossimi 5 anni: al termine dei quali o diventerà un evento organico al circuito (con assegnazione punti) oppure qualcos’altro: un qualcos’altro che potrebbe anche trascinare Roger a compiti di maggior impegno nello sport mondiale.

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Novak

Nole Djokovic dal canto suo è assai meno global e pure meno glamour. Ha interpretato sempre con grande applicazione il ruolo di testimonial pubblicitario. Dalla campagna per una casa automobilistica in cui il sé stesso bimbo rinunciava al violino per la racchetta, ha tratto il gesto che esegue quando qualcuno lo contesta. Ma a prevalere nel suo futuro saranno due componenti: le radici e il desiderio di essere concorrente di Federer.

Il primo fattore è sotto gli occhi di tutti: Nole, che non è esagerato definire un tennista “di” Stato, è legato alle vicende politiche della Serbia più di quanto si creda, oltre a essere in ottimi rapporti con l’attuale presidente Vucic. La sua posizione da no-vax o nei dintorni gli è costata una valanga di critiche, ma quelle stesse posizioni ne hanno fatto un simbolo per milioni di persone. Non sono pochi coloro che vedono in lui una figura prossima a seguire in Serbia le impronte di George Weah nella transizione dallo sport alla politica: magari non diventerà presidente, ma la sua attenzione al sociale (oltre che al business) è evidente. L’altro fattore ha origine nella storia stessa di Nole e di Roger.

Lo svizzero ha fondato un evento che produce soldi a palate, Nole si è inventato una corrente interna e rivale della Atp, il sindacato della Ptpa, il cui obiettivo è spingere le organizzazioni dei giocatori a guardare con maggiore attenzione anche (e soprattutto) chi è fuori dai primi 100, quelli che faticano a sbarcare il lunario. Il suo slogan potrebbe essere la frase che ha rivolto ai figli Stefan e Tara, per sua indicazione privi di smartphone: «Voglio che acquistino consapevolezza di cosa accade intorno: non è necessario seguire il gregge». Si potrebbe introdurre un dibattito sul significato della parola gregge ma il senso è chiaro. In più Nole mai ha accettato del tutto il fatto che pur essendo lui il più vincente di sempre non è mai stato e mai sarà il più amato. In cima rimane Roger, perfino a due anni dal ritiro.

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Andy e Rafa

E Rafa? Troppo facile limitarsi allo stereotipo dello spagnolo che ama andare a pesca, si gusta le partite del Real e diventa un perfetto pater familias. Intanto c’è da capire se si concederà di restare in campo per un’altra stagione dopo che questa ha avuto un gusto amaro. Difficile non pensare che Rafa resterà dei quattro l’uomo più “di campo”. Impegnato certo ad allevare nuovi cloni (evoluti) di sé ma pure disponibile a scendere dalla barca da pesca e uscire dall’Accademia di Maiorca per essere coinvolto dall’amico Roger in un progetto più grande.

Con un ruolo magari operativo ma che gli permetterebbe di essere comunque sempre presente nel mondo di cui non può e non vuole fare a meno. Del gruppo di fenomeni il più incerto è Sir Andy Murray che potrebbe essere quello più sorprendente. Pur non avendo le idee chiare, ha annunciato che gli piacerebbe provare a diventare «allenatore ma anche non di tennis».

Certo ci saranno telecronache, comparsate, ruoli da talent interpretati ovunque, ma è complicato non immaginare che quattro così non siano destinati solo a questo. Dovrà esserci molto di più. O forse siamo noi a sperare che sia così, chissà.

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