In base ai primi accertamenti, a cui non ha fornito supporto l’Oim, si tratterebbe di cittadini provenienti da paesi considerati sicuri – Egitto, Bangladesh, Costa d’Avorio e Gambia – maggiorenni e non in condizioni di vulnerabilità. Entro 48 ore sei giudici della Corte d’appello di Roma dovranno decidere se convalidare o meno il trattenimento
Il terzo tentativo di riattivare i centri per migranti in Albania è stato fatto dal governo a pochi giorni dalla liberazione e dal rimpatrio del capo della polizia di Tripoli Njeem Osama Almasri Habish, con un volo dei servizi segreti italiani, accusato di crimini contro l’umanità dalla Corte penale internazionale per tortura, stupri, violenza sessuale, commessi in Libia dal febbraio 2015, anche nei confronti di migranti che si sono poi imbarcati verso l’Italia.
Dopo i due trasferimenti fallimentari con il pattugliatore Libra, che hanno coinvolto in tutto 24 migranti, poi fatti rientrare in Italia, il governo ha deciso di accettare il rischio e trasferire nei centri albanesi 49 richiedenti asilo, nonostante la Corte di giustizia dell’Unione europea non abbia ancora deciso sui ricorsi fatti dai giudici italiani in materia di paesi sicuri.
Questa volta è stato il pattugliatore Cassiopea, arrivato a Shëngjin intorno alle 7.30 del 28 gennaio, a portare verso le coste albanesi i naufraghi – sottoposti al pre-screening – a cui potrebbero essere applicate le procedure accelerate di frontiera. Si tratta di uomini, maggiorenni, dichiarati non in condizioni di vulnerabilità e provenienti da paesi considerati dall’esecutivo sicuri. La maggior parte proviene dall’Egitto e dal Bangladesh, come era accaduto nei trasferimenti precedenti, alcuni invece dal Gambia e dalla Costa d’Avorio. Il pattugliatore, arrivato nella notte, è rimasto in rada fino allo sbarco, avvenuto in mattinata. Cassiopea si trova ancora in zona, in attesa di altre disposizioni del ministero dell’Interno, che potrebbe chiedere di portare i richiedenti asilo che vengono dichiarati incompatibili con il trattenimento nei centri albanesi in Italia.
Ci sono però due nuovi elementi che caratterizzano questa operazione: la selezione dei migranti è avvenuta senza il supporto dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e a decidere sui trattenimenti in Albania saranno i giudici della Corte di appello di Roma.
Le organizzazioni internazionali
Sono due le organizzazioni internazionali che assistono alle procedure di trasferimento dei migranti in Albania. Mentre l’Oim aiuta il governo nell’implementazione dell’accordo, effettuando lo screening delle vulnerabilità e individuando le nazionalità, l’Unhcr esercita un ruolo di monitoraggio.
In questa ultima operazione è mancato però l’intervento dell’Oim, per un problema con il rinnovo del contratto. Un numero nettamente superiore di persone trasferite rispetto al passato non sarebbe però riconducibile all’assenza di Oim, si apprende, ma a un cambiamento nelle modalità operative di screening.
È quindi possibile che uno screening più accurato sia assicurato nel centro di Shëngjin, e che vengano quindi individuate eventuali condizioni di vulnerabilità sul territorio albanese. Questo significa che, prima ancora che la palla passi ai giudici per la decisione sul trattenimento, alcuni migranti potrebbero fare ritorno, perché le procedure accelerate di frontiera non sono applicabili nei loro confronti.
L’Unhcr invece ha rinnovato l’accordo con l’esecutivo per altri sei mesi. Da quanto apprende Domani, i primi tre mesi di lavoro, in cui sono state effettuate due operazioni, non sono stati sufficienti per fare delle valutazioni strutturate sull’operazione. Il team dell’agenzia dell’Onu, che si occupa di monitorare le operazioni nell’ambito del protocollo Italia-Albania con missioni ad hoc, è composto dalle sei alle otto persone in totale, che operano sia durante le procedure di pre-screening in mare, sia nei centri di Shëngjin e Gjadër, dopo lo sbarco.
La competenza
Dopo circa due giorni di navigazione sul Cassiopea, i richiedenti asilo passano prima dal centro di identificazione e fotosegnalamento di Shëngjin, cittadina portuale a 60 chilometri a nord di Tirana, e in seguito a Gjadër, un paese situato a circa venti chilometri nell’entroterra. Qui sono presenti un centro di trattenimento per richiedenti asilo, un centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) e un piccolo penitenziario.
È il primo trasferimento da quando il governo ha modificato la competenza sui trattenimenti, passata dalle sezioni specializzate in materia migratoria dei tribunali civili – accusate di contrastare la politica dell’esecutivo – alle Corti d’appello.
«Un disastro annunciato», avevano avvertito 26 presidenti di corte d’appello in una lettera, perché, già in affanno, rischiano di raggiungere gli obiettivi del Pnrr. A decidere sui trattenimenti entro 48 ore dovrebbero essere sei giudici, probabilmente gli stessi che erano stati aggiunti alla sezione specializzata proprio per l’attuazione del protocollo e avevano, per questo, partecipato a corsi di formazione in materia. Se confermato, gli stessi che in alcuni casi avevano firmato i provvedimenti di sospensione e rinvio alla Corte di giustizia dell’Ue, e quindi fatto rientrare i migranti in Italia.
Non è chiaro quindi perché il governo abbia deciso di riprendere i trasferimenti, con il rischio di veder rientrare tutto il gruppo, ancora una volta, e di leggere decisioni simili a quelle precedenti. Di certo, ha interpretato le ordinanze della Corte di cassazione pubblicate a dicembre a proprio favore: la Corte ha stabilito che è compito del governo stilare la lista dei paesi di origine considerati sicuri, ma è dovere-potere dei giudici valutare caso per caso. L’udienza della Corte di giustizia dell’Ue è invece prevista per il 25 febbraio, ma non si avrà una decisione prima della primavera, si presume ad aprile.
Nei giorni in cui si è registrata l’impennata di arrivi a Lampedusa – solo nel weekend circa 1.500 – il governo ha deciso di riprovarci, a costo di alzare sempre di più il livello dello scontro con la magistratura, qualora il potere giudiziario non dovesse assecondare le volontà dell’esecutivo.
Il monitoraggio
La deputata del Partito democratico Rachele Scarpa è andata in Albania per monitorare le procedure dopo lo sbarco: «Vogliamo capire come è stata condotta la fase di selezione perché crediamo ci sia il rischio di ulteriori violazioni dei diritti», ha detto Scarpa, che si trova a Shëngjin con alcuni rappresentanti del Tavolo asilo e immigrazione. Composto da diverse organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti delle persone straniere, aveva già denunciato «le numerose violazioni del diritto internazionale e di quello nazionale, nonché dei diritti fondamentali delle persone che il governo italiano trasferisce forzosamente dal Mediterraneo centrale fino all’Albania».
Il governo «sta nuovamente sperimentando il modello albanese con fini puramente propagandistici da un lato, e innalzando lo scontro con la magistratura dall’altro, senza attendere la pronuncia della Corte di giustizia europea per proseguire le operazioni», ha dichiarato il Tavolo in un comunicato stampa.
Anche per il segretario di +Europa, Riccardo Magi, il governo con questa terza operazione, prima ancora della decisione dei giudici europei, cerca lo scontro con la magistratura: «Diranno che i magistrati hanno deciso contro la convalida dei fermi per vendetta rispetto alla separazione delle carriere», ha detto Magi fuori da Montecitorio.
Un’operazione che, secondo Magi, sta assumendo «contorni grotteschi: mentre Meloni manda 49 migranti a Shëngjin, in Italia ne sbarcano 3mila, il 130 per cento in più rispetto all’anno precedente. Nessun effetto deterrenza sugli arrivi e tantissimi soldi degli italiani buttati. Invece che scimmiottare le politiche di Trump, è ora che Meloni prenda atto che si tratta di una farsa e dichiari il fallimento dell’esperienza albanese».
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