Ormai, quando piove, nemmeno gli operai del cantiere popolano più il centro per migranti di Gjadër, costruito nel nord dell’Albania, in una zona desolata, in base al protocollo firmato dalla premier Giorgia Meloni e dall’omologo Edi Rama.

Dopo le pronunce dei giudici di Roma, che hanno mostrato le grandi criticità sul piano del diritto dell’intero progetto – costato circa un miliardo di euro – i centri sono sostanzialmente deserti. Oltre ai richiedenti asilo, ad aver lasciato il presidio fino a data da destinarsi, anche un centinaio di agenti delle forze dell’ordine e diversi operatori di Medihospes, la cooperativa a cui il Viminale ha affidato la gestione delle strutture.

«Il centro è vuoto, i poliziotti fanno il loro dovere ma non c’è nulla da fare», racconta la co-presidente di Volt Italia Daniela Patti, che ha visitato l’area lo scorso 22 novembre, con una delegazione di europarlamentari del partito paneuropeo. Gli agenti della polizia, dei carabinieri e della penitenziaria si sono trasformati in vigilantes, spiega Patti, e in meno di cento sono rimasti a presidiare i prefabbricati. L’ente gestore invece garantisce il presidio e la manutenzione ordinaria a Gjadër con sette operatori, mentre a Shëngjin ne è rimasto uno.

I dipendenti della cooperativa che sono rientrati in Italia, si apprende, dovrebbero essere ricollocati in altri progetti con una vaga prospettiva di ritorno in Albania in primavera, in attesa della decisione della Corte di giustizia dell’Ue chiamata a risolvere il contrasto tra norme interne ed europee. Una pronuncia che potrebbe richiedere da due mesi a due anni. Medihospes ha però assunto del personale albanese, «un centinaio di addetti», riporta Patti, impegnato per ora nella formazione.

«Solo il personale medico svolge attività nel centro – spiega – perché deve essere garantito il servizio per gli agenti. L’Italia ha assicurato di non gravare sul sistema sanitario albanese». Vista la massiccia fuga dall’Albania, il Viminale sembra aver perso le speranze anche di fronte all’udienza in Cassazione del 4 dicembre, che deciderà sul ricorso del ministero contro le non convalide dei trattenimenti della sezione specializzata di Roma. La Cassazione, con ogni probabilità, sceglierà di attendere la pronuncia della Corte Ue. E, quindi, il governo ha inserito l’ennesimo tentativo di salvare il progetto nel decreto Flussi, approvato alla Camera e passato al Senato: cambiare i giudici con la speranza di arrivare a un esito diverso, prevedendo un trasferimento di competenze, per le convalide dei trattenimenti dei richiedenti asilo, dalle sezioni specializzate in materia migratoria alle Corti d’appello. Corti non specializzate, già in affanno. «Un disastro annunciato», hanno avvertito 26 presidenti di corte d’appello in una lettera.

Il progetto va avanti

Non è chiaro, però, perché per il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi,i centri fuori dal territorio italiano continuano a essere un modello per l’Europa e per questo, nonostante gli ostacoli, «il progetto Albania prosegue». Lo ha garantito anche il ministro degli Esteri albanese Igli Hasani, ospite al Mediterranean Dialogues 2024 di Ispi: «Non penso che progetti grandi come questi possano collassare, sono sicuro che proseguirà». Un terzo della struttura di Gjadër è ancora in costruzione e, nonostante le criticità emerse con i primi trasferimenti di migranti, i lavori non sono stati interrotti: agli oltre 60 milioni di affidamenti diretti già raccontati da Domani, si sono aggiunti ulteriori contratti di affidamento diretto nei mesi di ottobre e novembre assegnati dal ministero della Difesa, tramite l’articolazione SegreDifesa.

Un contratto da 423mila euro per «la realizzazione di una struttura di chiusura verticale del Cpr di Gjadër», non è dato sapere l’aggiudicatario. 18.750 euro per il «servizio di progettazione deposito scia anticendio per il gruppo elettrogeno presso Shëngjin», anche in questo caso senza vincitore dell’appalto, mentre un contratto di oltre 213mila euro è stato affidato per i «servizi di ristorazione ed alberghieri» a Shëngjin. Nessun aggiudicatario. «Durante la visita hanno confermato», racconta Patti, «che non sono state fatte gare d’appalto».

Nessun contratto

Intanto si presume che anche l’ente gestore continuerà a essere pagato per tutto l’inverno per la manutenzione e il presidio delle strutture. Già negli allegati all’avviso di manifestazione di interesse pubblicato a marzo, si prevedeva la «temporanea inattività» dei centri durante la quale «l’ente gestore assicura i livelli essenziali di pulizia e il ripristino della normale funzionalità della struttura» entro al massimo 8 ore.

Ma, come rivelato da Altreconomia e confermato agli eurodeputati, non sarebbe ancora stato siglato un contratto tra la cooperativa e la prefettura, nonostante l’assegnazione dell’appalto risale a maggio. Il Viminale fa sapere che l’attività è stata avviata con un’esecuzione anticipata del contratto. Non abbiamo ricevuto risposte alle nostre domande, né da Medihospes né dalla prefettura. Intanto la visita degli eurodeputati ha portato una novità nelle giornate di chi presidia il centro.

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