In quattro anni la società è passata dall’Eccellenza alla Serie C. Il club vivaio della Lombardia, dove in mezzo secolo sono cresciuti Dossena, Caracciolo e Rovella, aveva una prima squadra solo tra i Dilettanti. I presidenti Montini e Gallazzi hanno deciso di investire su una prima squadra per non veder partire di continuo i loro giovani. Qui gioca il fratello dell’interista Dimarco perché «fanno le cose per bene». Con il sogno di andare in B
Passione, lealtà, impegno e disciplina. Forse sta tutto qui il segreto dell’Alcione, la terza squadra di Milano a raggiungere i professionisti, dopo Inter e Milan. Quattro valori così interiorizzati da essere scritti sulle porte degli spogliatoi. Quello dell’Alcione è un piccolo mondo antico in tinta arancio-blu, i colori sociali. In quattro anni la società è passata dall’Eccellenza alla Serie C. Da club vivaio della Lombardia con una prima squadra nei dilettanti, a sorpresa della terza serie professionistica italiana.
Fino a maggio la società era conosciuta in regione quasi solo per tre nomi: Beppe Dossena, Andrea Caracciolo e Nicolò Rovella, i tre giocatori partiti da questo angolo di Milano e arrivati in Serie A. Il ragionamento che ha condotto i due presidenti, Marcello Montini e Giulio Gallazzi, a investire nei senior è stato semplice: perché rischiare di disperdere il talento prodotto e veder partire tantissimi giovani?
Gli impianti
Il progetto si è sviluppato intorno alle strutture. Prima la creazione di un campo in sintetico e di una palestra, poi il rinnovo degli spogliatoi. Da settembre l’Alcione gioca a Sesto San Giovanni, ma nei prossimi giorni saranno presentati due piani per un nuovo stadio.
«Per capire la serietà di un club basta guardare al centro sportivo» spiega il direttore sportivo Matteo Mavilla, il dirigente che nel 2021 ha riportato il Seregno in C dopo 39 anni. Rispetto all’esperienza in Brianza, nella scorsa stagione ha avuto un budget inferiore per costruire una squadra da promozione. L’ordine era chiaro: C sì, ma con i ragazzi.
L’età media degli orange è molto bassa: 23,7 anni con il 35enne Marconi, una vita tra C e B in piazze importanti come Pisa e Avellino, che alza decisamente il conto. È come se l’Alcione fosse diventato grande senza perdere la sua essenza di bambino. È un posto dove si divertono tutti, dove certo i risultati contano ma conta soprattutto il modo in cui si raggiungono. «Arriviamo da tre sconfitte di fila – rivela l’allenatore Giovanni Cusatis – per noi non è cambiato niente, andiamo in campo sempre con il nostro stile, fatto di tecnica e velocità».
Tutto passa dal rapporto tra Mavilla e Cusatis, due uomini taciturni, introversi e concentrati sul proprio lavoro. «Qui torno a casa col sorriso dopo gli allenamenti», rivela il mister che ha assaggiato la B e la Championship (seconda divisione inglese) da vice di Giuseppe Sannino. Il settimo posto non interessa, non si guarda alla classifica, negli uffici non è neanche appeso il calendario del girone A. «Non ci aspettavamo un inizio del genere, ma conosciamo i nostri limiti, vogliamo crescere con i tempi giusti» ripetono tutti.
All’allenamento del mercoledì pomeriggio ci trovi sempre le stesse facce, gli anziani in pensione, gli abitanti della zona. Sul finire della seduta si fermano anche i genitori che accompagnano i figli. Vivaio e prima squadra, tutto nello stesso km quadrato, serve a creare fidelizzazione, educa. L’esempio è fondamentale. Calciatori di Serie C che si gonfiano da soli i palloni, sistemano il materiale, scaricano le borse nel magazzino dopo le partite. Non è comune. Qui accade perché lo hanno imparato da piccoli. L’Alcione è un accademia di calcio che ce l’ha fatta. Il significato dell’insegnamento si nota anche in campo, la scelta di Cusatis è mirata in quest’ottica.
L’allenatore assomiglia a un coach di basket, dà continue indicazioni, si sofferma, analizza ruoli e funzioni dei giocatori, mostra il corretto svolgimento dell’esercizio e la giusta postura del corpo. Nulla si dà nulla per scontato, perfino nella scelta dei calciatori. «Prima che al professionista guardiamo alla persona – confessa Mavilla – perché sono le qualità morali dei nostri dipendenti che hanno creato l’identità di questa società».
Forse il riassunto migliore del mondo Alcione l’ha dato Christian Dimarco, fratello dell’interista Federico, terzino anche lui, svelando di aver scelto gli arancioblù perché «fanno le cose per bene». Fare le cose bene, con passione, lealtà, impegno e disciplina è come sognare, non costa niente e porta lontano. Magari alla Serie B che in via Kennedy non nomina nessuno ma tutti sussurrano.
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