Quando l’Europa si muove è efficace. Per il 2023 bisogna puntare a riformare il patto di stabilità. In materia di politica estera, invece, manca il coraggio di prendere decisioni importanti ma non è facile far andare 27 paesi nella stessa direzione.
Intervistato da Mattia Ferraresi durante la festa di Domani a Parma, il sottosegretario degli Affari esteri e della cooperazione internazionale con la delega agli italiani all'estero, Vincenzo Amendola, ha parlato di politica estera europea, di Erdogan e di immigrazione.
Vincenzo Amendola si definisce un europeo «non appagato» di alcune scelte politiche prese da Bruxelles, ma si dice soddisfatto di due importanti «imprese collettive» accadute nell’ultimo anno come risposta alla pandemia. La prima è la campagna vaccinale europea che è arrivata a una media di oltre 75 per cento di cittadini vaccinati, con picchi più alti in alcuni paesi, tra cui l’Italia. La seconda impresa è il grande investimento economico del NextgenerationEu. Secondo Amendola si tratta di due grandi risultati ottenuti unendo soldi e ricerca e dando vita a una struttura solida per la diffusione dei vaccini.
Il patto di stabilità
Questo significa che quando l’Europa si muove è efficace, sostiene il sottosegretario. Ma questo non accade sempre, più volte ai funzionari di Bruxelles è mancato il coraggio di fare grande passi in avanti e Amendola spera che non sarà così nel 2023 quando rientrerà nuovamente in vigore il piano di stabilità ora “accantonato” per far fronte all’emergenza economica dovuta al Covid-19. Altrimenti si «rischia di tornare a logiche economiche ristrettive» che rischierebbero di bloccare la crescita del pil dice. Ma è proprio sul patto di stabilità che l’Italia, anche con l’aiuto del commissario europeo, Paolo Gentiloni, proverà a intavolare una discussione europea per una nuova riforma. Sono temi importanti di cui l’attuale classe politica italiana deve occuparsene, piuttosto che discutere della riforma della legge elettorale in un momento in cui non c’è priorità secondo Amendola.
Politica estera e di difesa comune
La politica estera comune europea è sempre finita sotto dure critiche da parte dell’opinione pubblica e degli stessi leader europei per via della sua “debolezza” e “incertezza” nei momenti in cui è necessario prendere una decisione univoca e di grande peso. Secondo Amendola è un elemento fisiologico. Non è facile far andare nella stessa direzione 27 paesi diversi. «Non è un problema di risorse, non è un problema di tecnica ma di scelta. La scelta di fare politica estera insieme» dice il sottosegretario. Questo si riflette anche nel dossier migratorio: «Nel 2021 c’è bisogno di uscire dai nostri confini, di non dividerci tra chi costruisce muri e chi non, altrimenti rimarremo sempre osservatori come lo scorso agosto» dice Amendola. Il riferimento chiaro ed esplicito è alla presa di Kabul da parte dei talebani dove l’Europa è stata un attore invisibile, pubblicando i soliti “sterili” statement di condanna come accaduto durante la guerra in Siria.
La prossima Italia in Europa
«Con questo governo siamo usciti dagli stereotipi di politica estera degli ultimi anni. A Bruxelles si va per vincere nei negoziati e non per urlare o per sbattere i pugni sul tavolo. Il Covid ci ha dimostrato che essere da soli non porta a niente», dice Amendola dal palco di Parma rispondendo alle domande di Mattia Ferraresi.
Il sottosegretario riconosce che oggi il continente è espressione di una grande democrazia liberale ma si trova a vivere in un contesto economico e geopolitico di cui bisogna tenerne conto: «L’idea di sovranismo non ti porta a niente, perché isolarsi non rafforza ma indebolisce il tuo interesse nazionale».
In questo è importante sfruttare l’occasione e diventare un punto di riferimento in un’Europa in un momento in cui la Germania è ancora alla ricerca di una squadra di governo ufficiale e la Francia entrerà in nuove elezioni presidenziali che si prospettano molto competitive per l’attuale presidente Emmanuel Macron.
Il dialogo con la Turchia
«L’idea di democrazia di Putin non è accettabile per noi, così come la Turchia di queste ore, ma noi come Europa non possiamo bloccarci» dice Amendola rimarcando la necessità di dialogare anche con interlocutori che hanno un’idea di democrazia diversa dalla nostra.
È il caso di Erdogan che ha espulso dieci ambasciatori occidentali tra cui anche quelli di Germania, Francia e Stati Uniti per aver firmato un appello in cui si chiedeva la scarcerazione di un noto filantropo. Dialogare con il presidente turco è diventato sempre più complicato afferma Amendola, così come vedere la Turchia all’interno dell’Unione in un futuro prossimo vista anche la sua uscita dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Per il sottosegretario questo è anche il risultato di «una tendenza delle classi europee occidentali a non reagire con forza». Non solo in tema di diritti ma anche nei dossier più delicati come quello sulla crisi climatica.
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