Sono decine i lavoratori indiani ed in qualche caso bengalesi vittime di caporalato nel basso piacentino. È quanto emerge dall’indagine condotta dalla procura della Repubblica di Piacenza (dr. Antonio Colonna) a seguito di attività investigativa svolta dai carabinieri di Cortemaggiore, supportati dal Nucleo ispettorato del lavoro di Piacenza.

Nelle prime ore della mattina dello scorso 19 marzo, i militari hanno eseguito due arresti, nel comune piacentino, nei confronti di due persone: K.B., 53 anni, e S.K., 27, entrambi di nazionalità indiana e da tempo residenti in Italia. Non è invece noto se vi siano ulteriori persone iscritte nel registro degli indagati.

L’indagine, iniziata nell’estate del 2024 da una semplice perlustrazione della campagne dove si era notata una massiccia presenza braccianti indiani, ha consentito di far emergere un sistema organizzato di intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo, concentrato principalmente nel settore agricolo ed in particolare nella raccolta di ortaggi.

I due arrestati, attraverso la cooperativa denominata “Europa Indiana Società Cooperativa”, reclutavano lavoratori stranieri, approfittando della loro vulnerabilità economica e sociale. L’avvicinamento dei lavoratori avveniva già nello stato del Punjab (India) attraverso una fitta rete di collaboratori dei due arrestati.

Un’esistenza da bracciante

Le vittime di questo sistema, una volta entrate in Italia, in ragione della loro condizione di clandestinità e del loro stato di bisogno, venivano avviate all'attività di braccianti presso imprese agricole italiane, dietro promessa della loro regolarizzazione amministrativa.

Secondo quanto accertato dagli investigatori, i lavoratori venivano impiegati nei campi del piacentino e costretti a turni di lavoro pesantissimi: fino a dieci ore al giorno, sette giorni su sette, senza il riconoscimento del riposo settimanale obbligatorio.

La paga oraria, compresa tra i 5 e i 6 euro all’ora, è risultata nettamente inferiore ai minimi stabiliti dai contratti collettivi nazionali; la retribuzione mensile era di conseguenza estremamente bassa, in molti casi inferiore ai 500 euro mensili.

Per ripagare le somme pretese dai due caporali per l’agognato permesso di soggiorno e per la regolarizzazione amministrativa (fino a 10.000 euro), i braccianti erano costretti a subire decurtazioni dai già miseri stipendi, con la scusa di coprire costi legati a documenti, permessi e alloggi fatiscenti messi a disposizione dalla cooperativa stessa.

Ovviamente gli investigatori hanno rilevato anche violazioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, altro elemento che ha portato la magistratura piacentina a contestare ai due arrestati il reato di illecito sfruttamento della manodopera (il cosiddetto caporalato).

Condizioni da incubo

Ai lavoratori non era mai stata fornita alcuna formazione specifica in materia di salute e sicurezza sul lavoro, né dispositivi di protezione individuale obbligatori, ad eccezione di semplici guanti di base. Inoltre erano sprovvisti di visite mediche preventive e periodiche, come previsto dalla legge. Le condizioni igienico-sanitarie sia degli ambienti di lavoro che degli alloggi risultavano estremamente precarie, con seri rischi per la salute e l'incolumità dei lavoratori stessi.

I braccianti venivano quotidianamente trasportati sui luoghi di lavoro con veicoli intestati alla cooperativa gestita dai due caporali.

Durante l'operazione, oltre agli arresti, le forze dell'ordine hanno effettuato il sequestro preventivo di tre furgoni utilizzati per il trasporto dei lavoratori e di alcune abitazioni che risultavano in condizioni di estremo degrado.

Le testimonianze raccolte dai Carabinieri hanno evidenziato anche continui ricatti e intimidazioni: i lavoratori che chiedevano retribuzioni arretrate o che provavano a far valere i propri diritti venivano minacciati di licenziamento o di essere sfrattati dagli alloggi occupati.

Ai due arrestati, oltre all’intermediazione illecita ed allo sfruttamento lavorativo, vengono anche contestati i reati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina – previsto dall’articolo 12 del Testo Unico in materia di immigrazione e del 377 del codice penale, ossia il reato di "intralcio alla giustizia".

Uno dei due caporali, K.B. avrebbe minacciato i lavoratori sfruttati anche nei giorni immediatamente precedenti all'esame testimoniale che li avrebbe riguardati, nel caso avessero testimoniato contro di lui.

L’indagine potrebbe riservare ulteriori novità, tanto in ordine all’ ingresso in Italia delle vittime della tratta, spesso arrivate con permessi di lavoro stagionali, quanto in relazione a complicità delle quali avrebbero goduto i due arrestati.

Il ruolo degli imprenditori agricoli

Al di là di quelli che saranno gli esiti dell’inchiesta, c'è da domandarsi come sia stato possibile che imprenditori agricoli italiani, i cui prodotti rientrano anche nella cosiddetta filiera di qualità, abbiano potuto ricorrere a fantomatiche cooperative per avvalersi di braccianti agricoli; questo senza effettuare alcuna verifica preventiva in ordine alla cosiddetta idoneità tecnico professionale dei somministratori di manodopera.

Certamente si dimostra ancora una volta che il caporalato non è una problematica riguardante solo le regioni del Sud Italia, ma rappresenta una realtà tristemente diffusa anche al Nord, in ogni ambito lavorativo: tessile, dell’arredamento, struttura di ricovero di anziani non autosufficienti, autotrasporto.

L’indagine fa emergere un’ulteriore problematica: quella relativa al fallimento dell’attuale regolamentazione dei flussi di ingresso di cittadini stranieri per esigenze lavorative. Come sia possibile che un imprenditore italiano possa assumere un lavoratore straniero senza averlo mai incontrato prima resta un enigma difficile da decifrare.

Ancora più difficile è comprendere perché prima di approvare nuovi flussi di ingresso il governo non si sia preoccupato di regolarizzare quanti già oggi continuano a vivere nel territorio italiano in condizione di clandestinità, pur lavorando. Un modo questo per favorire indirettamente il caporalato e la concorrenza sleale fra imprese, a scapito di quelle che leggi le rispettano.

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