Da quando sono nati i Cav hanno svolto un ruolo fondamentale sul territorio: negli anni la loro presenza sul piano nazionale è aumentata e sono stati erogati più finanziamenti pubblici, ma non è abbastanza. Siamo ancora lontani dallo standard minimo stabilito dalla Convenzione di Istanbul
Secondo gli ultimi dati Istat il 31,5 per cento delle donne tra i 16 e i 70 anni (6,78 milioni di persone) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2 per cento (4,35 milioni) ha subìto violenza fisica, il 21 per cento (4,52 milioni) violenza sessuale, il 5,4 per cento (1,15 milioni) stupro (652mila) o tentato stupro (746mila). Per questo motivo luoghi come i centri antiviolenza (Cav), spazi di donne che accolgono altre donne che subiscono violenza da parte di uomini, sono fondamentali.
I Cav offrono diversi servizi, dall'assistenza legale alla formazione e al sostegno psicologico, generalmente in orario diurno. In media sono aperti 5 giorni a settimana per circa 6 ore al giorno, al di fuori dell’orario di apertura quasi tutti i centri garantiscono un numero in caso di emergenza.
La maggior parte dei Cav italiani (il 64 per cento) sono privati, contro un 36,9 per cento che ha capo un ente locale. Ciò non significa però che non beneficino di fondi pubblici: nel 2023 solo l’1,7 per cento dei centri ricevevano un finanziamento esclusivamente privato, mentre solo il 3,9 per cento non ne riceveva affatto.
Chi si rivolge ai Cav
La maggior parte delle donne che si rivolgono ai Cav hanno in media tra i 40 e i 49 anni (29,2 per cento), e tra i 30 e i 39 anni (25,6 per cento). Le donne con meno di 29 anni costituiscono il 19,2 per cento, tra queste le giovanissime sono lo 0,5 per cento. Ha tra i 50 e i 59 anni il 17,5 per cento delle donne, il 6,1 per cento tra i 60 e i 69 anni, mentre le ultrasettantenni sono il 2,5 per cento. Si tratta in prevalenza di donne italiane (71,7 per cento), mentre il 28,3 per cento di nazionalità straniera.
Da queste risulta che
una quota rilevante di donne quando ha iniziato il percorso viveva con i figli (55,4 per cento) o con il partner (45,2 per cento) o con altri familiari o parenti (17,1 per cento), mentre solo l’11,4 per cento viveva da sola. In media le donne che si rivolgono a un centro hanno un titolo di studio medio alto (64,5 per cento), mentre il 45,4 per cento delle donne hanno un diploma di scuola secondaria di II grado. Il 19,1 per cento ha un diploma di laurea o un dottorato.Il 40 per cento delle donne ha un’occupazione stabile, il 25 per cento è in cerca di lavoro o della prima occupazione, mentre solo il 6,4 per cento è casalinga. I dati permettono di fare un quadro della situazione economica delle richiedenti aiuto: il 44,1 per cento delle donne ha dichiarato di non essere autonoma economicamente, un valore che sale a più del 90 per cento per quelle in cerca di prima occupazione, all’83,3 per cento delle disoccupate, al 89,3 per cento delle studentesse e al 83,3 per cento delle casalinghe.
12.696 donne hanno detto di subire anche violenza economica, come per esempio l’impossibilità di usare il proprio reddito o di conoscere l’ammontare del denaro disponibile in famiglia. In altri casi invece sono escluse dalle decisioni su come gestire il denaro familiare.
Nel complesso, il 74 per cento delle donne presenta almeno una delle seguenti caratteristiche: non sono autonome economicamente, sono arrivate al Cav con una richiesta di supporto all’autonomia, al lavoro o di natura economica, hanno subito violenza economica o hanno usufruito del servizio di supporto all’autonomia da parte del Cav.
COME SI DISTRIBUISCONO SUL TERRITORIO
Secondo i dati pubblicati da Istat, nel 2023 in Italia erano attivi 404 centri antiviolenza. Il 36,9 per cento era nel nord (21,5 per cento nel nord-ovest e 15,3 per cento nel nord-est), il 31,4 per cento nel sud, per il 21 per cento nel centro e il restante 10,6% nelle isole. Tra il 2022 e il 2023 vi è stato un aumento del 4,9 per cento, mentre rispetto al 2017, l’aumento è stato del 43,8 per cento.
Rapportando il numero di Cav alla popolazione femminile emerge un’offerta di protezione per le donne pari a 0,13 ogni 10mila donne a livello nazionale, valore che sale a 0,18 al Sud e a 0,14 nel centro, mentre è più basso nel nord-est (0,11) e nel nord-ovest (0,11). È in linea con il valore nazionale l’offerta dei Cav nelle Isole (0,13 per 10mila donne).
Nonostante sia innegabile riscontrare un netto miglioramento e una maggiore capillarità sul territorio dei centri antiviolenza in Italia, i dati ci dicono che non è abbastanza. Come raccontato in precedenza da Domani per la convenzione di Istanbul – ratificata nel 2011 – sarebbe previsto uno standard minimo di un centro anti violenza ogni 50mila donne dai 14 anni in su.
Infine, nel 2023 si sono riscontrati numeri più alti per quanto riguarda le richieste di aiuto: 31.500 donne hanno avviato un percorso per uscire dalla spirale della violenza, anche se il 26,3 per cento lo ha interrotto entro un anno.
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