Il nuovo format è per gran parte il frutto del lavoro di Čeferin e Agnelli, prima che i due diventassero acerrimi nemici. Ci saranno più squadre (36 invece di 32), più partite (189 invece di 125), più soldi. Ed è soprattutto questo che conta, perché in fondo, la mossa di provare a creare la Super Lega di fatto ha costretto l’Uefa a concedere ai club un rilevante aumento del montepremi
Com’erano patinati, sei anni fa, Aleksander Čeferin e Andrea Agnelli. Elegantissimi, uno seduto accanto all’altro nel set approntato dalla Bbc nella sede dell’Uefa, al cospetto di Richard Conway che li intervistava.
Guardavano al 2024, alla nuova Champions League che nascerà ufficialmente nel pomeriggio di giovedì 29 agosto con il sorteggio dei gironi (ore 18, al Grimaldi Forum di Montecarlo), ma allora era già stata concepita. «Più aperta, apprezzata da club e federazioni, più interessante e più inclusiva», nelle parole del presidente Uefa, sguardo sicuro diretto al giornalista e, di fatto, agli spettatori.
Rapida pausa, il volto si gira verso destra, cenno d’intesa verso Agnelli – allora presidente dell’Eca, e amico – e sorriso di chi la sa lunga: «Ma non posso dire di più, non possiamo dire di più, se non che la nostra visione del futuro del calcio è simile, se non esattamente la stessa».
Com’erano patinati, sei anni fa, Aleksander Čeferin e Andrea Agnelli, e com’erano fasulli. E fa un certo effetto riascoltare oggi quell’intervista del novembre 2018 (che nasceva, peraltro, con l’intento di smentire qualsiasi ipotesi di Superlega: «A fiction» per Ceferin; «never discussed, never been involved», giurò Agnelli), conoscendo ciò che è accaduto poi e andando a fondo su pensieri, parole, opere e omissioni dell’uno e dell’altro.
La nuova Champions
Non senza perdite, anche di credibilità, oggi in piedi ne è rimasto soltanto uno, eppure il nuovo format della Champions League è per gran parte il frutto del gioco che i due fecero sul tavolo comune. Utilizzando poi altri compagni e altre carte su un tavolo diverso, per poi trovarsi irriducibili e feroci nemici quando, nell’aprile 2021, la coincidenza temporale – ovviamente non casuale – vide il coming out appunto della Superlega e l’annuncio ufficiale della nuova formula della Champions.
Quella con più squadre (36 invece di 32), più partite (189 invece di 125), più soldi; ed è soprattutto questo che conta, perché in fondo, per eterogenesi dei fini, la mossa di allora di Agnelli, col favore delle tenebre, di fatto costrinse l’Uefa a concedere ai club un rilevante aumento del montepremi della competizione.
Eccolo qui: circa 2,5 miliardi di euro da distribuire alle 36 società iscritte e, considerando che il montepremi per Europa League e Conference League non arriva a 900 milioni e l’Uefa conta di ricavare 4,4 miliardi all’anno tra diritti tv e partnership, alla confederazione resterebbe oltre un miliardo, che è tantissimo, ma è verosimilmente meno di quanto Nyon si sarebbe tenuta se non ci fosse stato lo strappo, poi rattoppato, della Superlega.
Questo, naturalmente, a prescindere da ciò che, attraverso i vari passaggi tra tribunali spagnoli e Corte di giustizia europea, è stato poi definito, ovvero l’illegittimità del preventivo regime autorizzatorio da parte della confederazione per quanto concerne le competizioni continentali per club, e dai cambi di format e strategia dell’ente (A22 Sports Management) che, oggi, promuove l’idea della European Super League.
La formula
Intanto, però, è il giorno di Čeferin, della nuova Champions e di una formula non esattamente intuitiva con la quale i tifosi dovranno fare i conti. La sostanza è che di fatto spariscono i gironi, perché la prima fase vedrà le 36 squadre, suddivise per il sorteggio in 4 fasce da 9 in base al loro coefficiente Uefa (ovvero i risultati europei ottenuti nelle ultime cinque stagioni), dovranno affrontare ciascuna otto avversarie – due per ogni fascia – in altrettante partite di sola andata, quattro in casa e altrettante in trasferta: i risultati comporranno una graduatoria unica e complessiva che qualificherà direttamente agli ottavi di finale le prime otto, mentre le classificate dal nono al ventiquattresimo posto si scontreranno (nona contro ventiquattresima, decima contro ventitreesima ecc.) per gli altri otto posti che daranno accesso alla fase a eliminazione diretta.
In buona sostanza, solo otto squadre, quelle classificate dal venticinquesimo posto in poi, usciranno dopo le prime otto partite della prima fase. Nessuna, comunque, retrocederà in Europa League: chi esce, stavolta, esce e basta.
Tuttavia, la superclassifica che ne uscirà rende, abbastanza inevitabilmente, più complicato seguire il meccanismo, soprattutto per un tifoso, perché trovarsi in una graduatoria nella quale sono inserite anche squadre che non si affronteranno sul campo non è di così immediata comprensione.
Esigenze economiche
Ma il punto non è quello: la nuova Champions non nasce per esigenze di semplicità, ma economiche, e allora pazienza se non basterà un’occhiata veloce per capire. Detto ciò, anche per questo non è detto che la formula piaccia e che, alla fine di questo ciclo triennale (che scadrà nel 2027), non si decida per un ulteriore cambiamento.
Tra l’altro, la Champions League 2024-2025 sarà appunto la prima edizione a prendere il via dopo la già citata pronuncia della Corte di giustizia europea, recepita dai tribunali comunitari, e ciò significa che ha un potenziale rivale che, più o meno silente, comunque oggi ha spazio di manovra nel suo lavoro di lobby e convincimento, prim’ancora che di organizzazione sul campo.
Si prospetta, pertanto, un triennio piuttosto interessante, ma almeno oggi certi discorsi possono essere messi in disparte, perché poi, con cinque italiane iscritte alla competizione, gli occhi saranno tutti sul sorteggio, sulle sue suggestioni, sulle speranze di gloria e i castelli in aria che ciascuno ha diritto di fare, se tifoso di un’Atalanta che una coppa europea al cielo l’ha alzata a maggio (ma si è arresa all’onnipotente Real in Supercoppa), di un Bologna al debutto, di un’Inter che ancora pare la squadra italiana più attrezzata in Europa, di una Juventus che ritorna sui campi internazionali dopo essere stata punita e mondata dai residui andreagnelliani – in parte anche per la vendetta giurata da Čeferin – o di un Milan ancora indecifrabile.
Al via il 17 settembre
Cinque mesi di partite (si comincerà il 17 settembre e la prima fase terminerà non più a dicembre, ma a fine gennaio; finale a Monaco di Baviera il 31 maggio 2025) in cui tutto sarà possibile, ma nei quali non ci saranno derby tra club della stessa nazione.
O, almeno così ci piace credere, perché poi l’aumento delle partite rende la vita più semplice a chi ha più mezzi e più possibilità: sarà anche più inclusiva, la nuova Champions, ma in certi contesti se ci si chiama Real Madrid, Manchester City, Paris Saint-Germain o Bayern Monaco si è, orwellianamente, un po’ più uguali degli altri.
E infatti la presenza del debuttante Girona, emanazione di City Football Group, la holding calcistica foraggiata da denaro emiratino proprietaria appunto del Manchester City, sta lì a confermare che per gli amici le regole si interpretano: le squadre, infatti, si potranno anche tranquillamente affrontare perché i dirigenti, pensate un po’, sono diversi.
Più affascinante, piuttosto, è il ritorno dell’Aston Villa, che a certi livelli non si vedeva addirittura dai tempi in cui la competizione nemmeno si chiamava Champions League e l’unica cosa uguale era il trofeo.
© Riproduzione riservata