Diverse organizzazioni di persone con background migratorio e alcuni partiti come Più Europa hanno depositato il quesito referendario mercoledì 4 settembre. Dopo i tempi di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, inizierà la raccolta delle 500mila firme. Si chiede di ridurre gli anni di residenza da 10 a 5 necessari per poter fare richiesta
«Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione” e lettera f) della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza?”. È questo il quesito referendario depositato mercoledì mattina in Cassazione da un insieme di associazioni, partiti politici e singole personalità politiche e istituzionali.
L’articolo 9 della legge sulla cittadinanza, che risale al 1992, richiede 10 anni di residenza legale in Italia per poter presentare domanda di cittadinanza. Questo periodo è riferito ai cittadini di paesi fuori dall’Unione europea, mentre per i cittadini comunitari sono sufficienti quattro anni. Se si voterà “sì” al referendum abrogativo che verrà pubblicato in Gazzetta ufficiale si contribuirà a ridurre la residenza da 10 a 5 anni, così come accade in altri paesi europei e come accadeva anche in Italia prima dell’approvazione della legge ancora in vigore.
La legge del 1992 «ha introdotto un’irrazionale penalizzazione per i cittadini di qualsiasi stato extra Ue», scrivono gli organizzatori della campagna, quando si passò dall’esigere almeno 5 anni all’esigerne almeno 10, «inserendo una facilitazione a 4 anni per i cittadini degli stati Ue, che ovviamente presentano un numero inferiore di domande, visto che la cittadinanza europea si aggiunge alla cittadinanza degli altri stati Ue».
A promuovere il referendum abrogativo, per cui saranno necessarie 500mila firme, associazioni che rappresentano persone con background migratorio come Italiani senza Cittadinanza, Conngi, Idem Network, organizzazioni come Libera, Gruppo Abele, A Buon Diritto, Società della Ragione, e partiti Più Europa, Possibile, Partito Socialista, Radicali Italiani, Partito della Rifondazione Comunista. Anche personalità come Mauro Palma, ex garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, l’ex senatore Luigi Manconi, l’ex parlamentare Pippo Civati hanno sostenuto l’iniziativa.
Alla retorica del «prima gli italiani», rispondiamo con «italiani prima» e con «la speranza e il messaggio positivo delle figlie e dei figli d’Italia», spiega il deputato e segretario di Più Europa Riccardo Magi all’uscita dalla Cassazione, invitando «tutti coloro che si sono detti favorevoli alla riforma della cittadinanza durante il mese di agosto» a firmare per il referendum abrogativo. La riforma della legge «non riguarda solo chi vive questa condizione, ma il futuro dell’Italia», prosegue Magi, precisando che questa «riforma ragionevole» avrebbe un impatto maggiore rispetto allo ius scholae.
Nella serata di mercoledì anche il Partito democratico ha assicurato – in una dichiarazione di Marwa Mahmoud, responsabile Partecipazione e Formazione politica, e Pierfrancesco Majorino, responsabile Politiche migratorie e Diritto alla casa – la firma al referendum. Mahmoud e Majorino hanno poi aggiunto che serve «una nuova legge coraggiosa e ambiziosa che chiedono da tempo associazioni e movimenti», di cui hanno discusso con un vasto gruppo di associazioni e movimenti, molti di persone con background migratorio. Per questo, scrivono, «presenteremo una nuova proposta di legge», a partire dalla mozione presentata alla Camera, «per una riforma organica» che garantisca a chi nasce o cresce in Italia il riconoscimento della cittadinanza.
Anche Arci ha deciso di aderire e sostenere l’iniziativa, con l’impegno, «nel poco tempo che ci separa dalla fine di settembre, attraverso la sua rete di circoli e comitati presenti in tutte le regioni», di contribuire «a raggiungere l’obiettivo, impegnativo ma possibile, di mezzo milione di firme».
Oltre due milioni di persone
«Questo è un appello rivolto agli italiani e alle italiane, a quel popolo che abbiamo vicino nelle scuole, al lavoro, con cui condividiamo delle ambizioni», dice davanti alla Corte di cassazione Simohamed Kaabour, di Idem Network e un’iniziativa dal basso perché l’Italia riconosca e capitalizzi l’investimento che ha fatto su di noi, che ci siamo formati in questo paese». Le Olimpiadi, prosegue Kaabour, «sono uno dei tanti esempi di quanto l’investimento sulle persone può rendere». L’iniziativa costituisce «solo il primo passo, un passo importante, in prospettiva di cambiare e riformare la legge», spiega poi Daniela Ionita presidente e portavoce dell’associazione Italiani senza cittadinanza.
Dimezzando i tempi necessari per poter presentare la domanda si amplia il bacino dei possibili richiedenti. In Italia sono circa 2,3 milioni i cittadini di origine straniera titolari di un permesso di soggiorno di lungo periodo, rilasciato proprio a chi è soggiornante da almeno 5 anni ininterrotti e rispetta una serie di altri requisiti come sul reddito, sulla conoscenza della lingua italiana e sull’assenza di condanne o carichi pendenti. Se lo ius scholae aprirebbe la possibilità di richiedere la cittadinanza a circa 500mila persone, la riduzione degli anni di residenza avrebbe un impatto maggiore, su 2,3 milioni di persone appunto, a cui devono essere aggiunti i figli e le figlie minori conviventi – circa 500mila – che la acquisirebbero automaticamente qualora i genitori ne fossero titolari.
La lega
Nonostante l’abbaglio estivo sullo ius scholae da parte dell’alleato di governo, il leader di Forza Italia Antonio Tajani, il segretario della Lega continua a percorrere la via della chiusura. Interpellato alla Camera dopo il vertice del partito Matteo Salvini ha spiegato: «Noi stiamo lavorando alla revoca della cittadinanza per gli stranieri che commettono reati gravi».
Una possibilità che esiste già ed era stata introdotta da Salvini, quando era al Viminale, con i decreti sicurezza, relativa solo nei casi di condanna definitiva per reati collegati al terrorismo. La norma è rimasta in vigore anche dopo le modifiche ai decreti sicurezza introdotte dall’ex ministra dell’Interno Luciana Lamorgese.
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